IL DOLORE CREA L’INVERNO di Matteo Porru

Sai che differenza c’è tra un ricordo e un rimpianto, Boris? (…) <<Mah, che il ricordo lo vedi e il rimpianto lo senti?>>. <<Forse, dice Legasov, e beve, <<ma io ho un’altra teoria>>. <<Cioè?>>. <<Il ricordo si muove, il rimpianto no: è freddo, fermo e preme su tutto. Il ricordo lo puoi cancellare, modificare. Il rimpianto rimane, non va mai via, non si copre, non si arrende>>.


Trama

Intorno c’è solo neve. E bianco. La neve copre le cose, le case, le persone. Anzi, alle persone la neve cade dentro e il freddo le circonda ma, soprattutto, si diffonde nelle ossa, negli occhi e nei pensieri. Elia Legasov è nato in un paese circondato dal bianco, e da lì non è mai andato via. Il suo lavoro è spalare la neve, liberare strade su cui nessuno camminerà. La neve è sua amica, fino a quando non lo tradisce. Finché non fa emergere qualcosa dalle sue profondità. Qualcosa che ha a che fare con la sua famiglia e che doveva restare sepolto. Da quel momento, nella mente di Elia si affollano ricordi che aveva soffocato. Parlano di un padre, scomparso tanti anni prima, e di una madre, partita per sempre. Sono parole dolci, gesti delicati, sorrisi sinceri. Ma anche duri come il ghiaccio. E dolorosi. Elia capisce allora che quello che si dice dei membri della sua famiglia è vero: la neve non li protegge, ma li tenta, li provoca, per vedere se sono capaci di dimenticare, perché tutti dimenticano, ma i Legasov ricordano, sempre. Ora è venuto il suo turno di ricordare. Qualunque sia il prezzo. Qualunque cosa venga a galla. Perché è nelle case che il passato nidifica. È nelle famiglie che si riproduce, nei giorni bianchi e nei giorni neri. Perché il dolore crea l’inverno. Ma ogni inverno è diverso da quello precedente e da quello successivo.


Recensione

Dimenticare o ricordare. Matteo Porru, classe 2001, fa oscillare la sua penna tra queste due estremità, tra questi due opposti, che a volte sono una scelta dell’uomo e a volte sono una necessità dettata dall’istinto di sopravvivere ad un passato che annienta.

Dimenticare o ricordare. Accogliere il passato o rifiutarlo. Se ammettiamo che ognuno è frutto di ciò che è stato, di ciò che è sedimentato, strato dopo strato, sulla propria coscienza, allora dimenticare è negare se stessi concedendoci il privilegio di nascere e rinascere infinite volte. E ricordare è portare il peso del passato sulle spalle. Peso o esperienza. In ogni caso qualcosa di immutabile che va digerito e interiorizzato.

La neve è ciò che copre e nasconde. Se vivi nell’estremo nord del mondo, lo sai bene. In quel nulla, fatto di accecante candore, dentro ad una vita schiacciata dalla ripetizione degli eventi e dall’inclemenza degli elementi, la neve cade per nascondere tutto. E si dimentica, nell’intento di provare a sopravvivere. Se stessi, il proprio vuoto, le solitudini che si inerpicano dentro ai cuori, inaridendoli, l’ambiente inospitale in cui persino il cielo cade, certi giorni.

Ma Elia Legasov non può dimenticare. Lui spala la neve, nelle strade desolate di Jievnibirsk.

Toglie uno strato, e un altro. Toglie, elimina e ricorda. Una missione che da sempre investe la sua famiglia. La sua vita è scandita dal “bestione”, che lui guida ogni giorno. E’ solo ormai e gli rimangono solo un paio di amici, anche loro accerchiati dagli urli della solitudine. Vivi senza sapere cosa farsene di una vita che si srotola sempre uguale, chiusa nel riserbo del gelo e dell’inverno artico.

Ma un giorno arriva un gruppo di forestieri. Cercano il petrolio. Si scava e si scopre un corpo sotterrato nella neve.

Lo spettro del passato è inarrestabile. La sua voce scuote la comunità. Spinge per uscire allo scoperto. Cadono le cateratte che tengono fermi i ricordi. Il fragore è assordante. Ciò che rivelerà cambierà ogni cosa per sempre.

Il romanzo di Porru ha echi profondi, che risuonano sulla coltre innevata. Porru descrive un inferno sulla terra che non serba pietà per nessuno. Un luogo che sembra esistere solo per annientare. Un luogo in cui l’uomo è solo con se stesso, a combattere con il presente che schiaccia e i fantasmi che premono per uscire allo scoperto ma sono ibernati sotto lo strato di ghiaccio perenne.

Ma anche in un deserto di bianco gelido e sferzante l’uomo costruisce la sua esistenza sulle scorta della sua storia personale. Impara dall’esperienza, cerca il calore di un abbraccio, tesse una ragnatela di sfuggenti relazioni. Dimentica ma è costretto a ricordare. I segreti che tengono insieme i brandelli di una famiglia e il ricordo indelebile di una pugnalata, che sanguina ancora.

Sono i recessi della coscienza umana quelli che Porro indaga, con una lucida analisi e un disincanto che non ci si aspetta da un ragazzo di poco più di vent’anni. Il resto è una storia vecchia di secoli. Quella che si appoggia sulle scelte dell’uomo riguardo al suo passato: ricordare o dimenticare.

L’ambiente avverso contribuisce a corroborare l’idea di un’esistenza tirata al limite, dove ogni elemento gioca per appesantire lo scorrere del tempo e per far risuonare le grida del passato, indimenticabile ma anche foriero di inaspettati risvolti. Quelli che non si sono conosciuti per scelta e forse era meglio conoscere.


L’autore

A soli diciotto anni, Matteo Porru ha vinto il premio Campiello Giovani. Per la stampa è uno dei venticinque under-25 più promettenti al mondo. Ora arriva in libreria con un romanzo sospeso nel tempo e nello spazio che parla di legami familiari, rimpianti e vissuti indelebili. Un romanzo che ci ricorda che siamo tutti fatti di carne e neve.



  • Casa editrice: Garzanti
  • Genere: narrativa
  • Pagine: 159

IL PALAZZO DI CARTA di Miranda Cowley Heller

 
In alto, sopra la duna più elevata, appare una stella nel cielo, inizialmente debole, ma poi sempre più intensa finché non diventa un gioiello brillante. Eppure so che è la morte quella che vedo. L’ultimo tremolio prima del buio. Il gemito silenzioso.  La bellezza incespicante. Una fiamma disperata – possente, trascendente –  che combatte per il suo ultimo respiro.

Trama

Una bracciata dopo l’altra, il viso esce dall’acqua per cercare aria e poi torna a inabissarsi. Elle adora nuotare davanti alla casa di famiglia a Cape Cod. Ma quel giorno è diverso dagli altri. Perché Elle la sera prima ha fatto una scelta che ha cambiato tutto. Ha fatto l’amore con Jonas, l’uomo che, se tanti anni prima le cose fossero andate diversamente, ora sarebbe il suo compagno. Eppure, quel futuro non si è realizzato e il cuore di Elle si è aperto a Peter, suo marito, con cui ha avuto tre figli meravigliosi. Con lui è felice, ma il pensiero di Jonas non l’ha mai abbandonata. Ora Elle ha solo ventiquattr’ore per prendere la decisione che potrebbe stravolgere la sua vita; per farlo, non può ignorare la colpa che la unisce e la divide da Jonas. È il loro passato, è ciò che li ha allontanati, ma è un segreto che riecheggia nel presente. E ora tutto potrebbe tornare a galla come il fondale sabbioso che, durante una tempesta, affiora in superficie. Elle sa che cosa comporterebbe. Sa che non è sola e che le conseguenze delle sue azioni peserebbero sulle persone che ama di più. Come sa che le scelte ormai alle spalle non sono giuste né sbagliate. Le scelte davvero importanti sono quelle che si hanno davanti.


Recensione

All’inizio è stato un vago scetticismo. Un’irrazionale reticenza a gettarsi in una lettura venata di rosa, un colore che non amo e che non contamina (quasi) mai le mie letture.

Poco dopo, scorse le prime pagine, è giunta improvvisamente la consapevolezza di essere già coinvolta, legata a quattro mani a Elle e alla sua vita. Un’impressione che non è più mutata. Che è cresciuta, avviluppandomi ad una storia avvincente, intrecciata a quella di una famiglia complicata e ai luoghi aspri, incontaminati e pittoreschi di Cape Cod.

La scrittura ipnotica e avvolgente di Miranda Cowley Heller ha fatto il resto. Pulita, profonda, empatica. Con un utilizzo superlativo  della prima persona, scende nei recessi di Elle e dona al lettore la sua visione, il suo intimo, ogni angolo, anche il più nascosto, dei suoi pensieri e delle sue sensazioni. Impossibile rimanervi indifferente. Impossibile non amare questa prosa che scava dentro ogni cosa, e tira fuori ogni umore e ce lo dona, senza riserve.

La storia di Elle parte dalla sua infanzia e giunge all’età adulta. Attraversa la recente storia americana, le mode, la musica, gli abbagli degli anni ottanta e l’implosione dell’età adulta, quando i sogni si sfaldano e il peso delle scelte fatte sembra insostenibile. Una famiglia che sembra segnata dall’onta dell’abuso, che incede faticosamente cercando di pulirne il ricordo. Che nasconde, che cela l’errore nascondendolo nei recessi insondabili della coscienza. E un luogo magico, Back Woods, che anno dopo anno accoglie i membri di questa famiglia. Li ricompatta, li cura, rinsalda i loro rapporti in un miscuglio di acqua, sale, sabbia, tramonti e ricordi.

A Back Woods c’è il Palazzo di Carta, una casa di vacanze sulle rive di uno stagno, che d’inverno cade in un sonno letargico e che d’estate si desta al chiasso di bambini, madri e padri, che giungono in vacanza in  quel lembo di terra aspra e salina. Il Palazzo di Carta è un luogo magico, misterioso quanto basta quando d’inverno il bosco se lo riprende in scacco e pieno di luce e di promesse d’estate, quando si può scorazzare scalzi, fare il bagno nelle acque gelide dello stagno e scaldarsi al fuoco dei falò la sera, sulla spiaggia davanti all’immensità dell’oceano. Un posto così non può essere che il luogo del cuore, per Elle e per la sua tumultuosa famiglia. Elle vi ha conosciuto il suo primo amore, Jonas. Ma vi ha anche seppellito il ricordo di un errore inconfessabile, che ha allontanato Jonas da Cape Cod.

La storia di una famiglia spesso è una storia di ritorni. Drammi che si consumano in silenzio e che tornano a riscuotere un pedaggio amaro. A volte, per non turbare un equilibrio fragile si sceglie il silenzio. A volte, per non morire, si sceglie di dimenticare. La storia di una scelta, che potrebbe aprire strade sconosciute per Elle. La voglia di cambiare e la paura di farlo. L’ombra di un rimpianto che deve essere neutralizzata, a tutti i costi.

Miranda Cowley Heller è abilissima nel tessere la trama di questa famiglia e nel descriverne i sentimenti. La vicenda che narra si srotola senza attrito e attraversa decenni di storia e di esperienze, che hanno la forza tumultuosa di un uragano nel modificare i destini delle persone e nel tracciare i percorsi imprevedibili di un amore che sembra immortale. Eppure il richiamo della realtà è forte quanto il sogno e a volte anche di più.

Una lettura che passa a pieni voti il mio gradimento, per l’ambientazione pittoresca e irresistibile e per i personaggi meravigliosamente caratterizzati. Consigliatissima a chi desidera immergersi in una storia familiare complessa e ingombrante, a chi annusa l’aria cercandone la vena salina e trae ossigeno dalla natura, nella sua espressione selvaggia e primordiale. A chi resiste alla vertigine camminando in bilico sul baratro. E a chi sogna sui passi di un grande amore, che resiste al tempo e alle ingiurie della vita.


L’autrice

Miranda Cowley Heller è cresciuta a New York. Dopo la laurea a Harvard, ha scritto molte serie di grande successo per il canale HBO. Divide il suo tempo tra Londra, Cape Cod e Los Angeles. Il palazzo di carta è il suo romanzo d’esordio.


  • Casa Editrice: Garzanti
  • Traduzione: Stefano Beretta
  • Genere: narrativa straniera
  • Pagine: 394

QUESTIONI DI SANGUE di Anna Vera Viva

 
Sarebbe mai stato all’altezza del compito che gli era stato affidato? Quanto ancora ci sarebbe voluto per sopprimere il marchio del sangue che lo trascinava inevitabilmente verso scorciatoie a dir poco discutibili? Avrebbe mai domato la sua natura sanguigna e fallibile? Quella natura che, pur cercando di nascondersi, bramava una giustizia sommaria, rapida e conclusiva?
Adesso che l’aveva avuta non si dava pace. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso, ecco cosa poteva essere stato il suo intervento. La Sanità, l’aveva capito, viveva di un equilibrio tutto suo, e lui con la sua inesperienza era arrivato a turbarlo.


Trama

Il rione Sanità è un’isola. Un lungo ponte lo divide dal resto di Napoli. Qui, i vivi e i defunti convivono da secoli e non vi è posto, più di questo, in cui morte e vita siano così strettamente intrecciate. Ed è qui che, dopo quarant’anni, due fratelli si rincontrano. Raffaele, dato in adozione giovanissimo alla morte della madre, ci torna come parroco della basilica di Santa Maria alla Sanità. Peppino, invece, è il boss del quartiere. Due uomini che non potrebbero essere più diversi l’uno dall’altro. Eppure, il richiamo del sangue, ineludibile, li unisce. Un legame che è fonte di pericolo e tormento per entrambi. Quando la morte colpisce e un cadavere viene ritrovato in un appartamento del rione, le indagini, suffragate da un testimone poco affidabile, seguono un unico binario. Quell’omicidio fa tirare un sospiro di sollievo a tante persone, ma Raffaele non si lascia abbindolare. Decide di rivolgere il suo sguardo, esperto della vita, proprio tra la sua gente, anche se questo significa guardare qualcuno di molto, forse troppo, vicino a lui. Ma Raffaele non si è mai fermato davanti a nulla e non inizierà adesso. Sa bene che le sue indagini possono compromettere un equilibrio basato su regole non scritte e allo stesso tempo inderogabili, ma deve andare avanti. Per – ché la Sanità è un’isola e per navigare il mare che la circonda ci vogliono coraggio, passione e un concetto diverso di verità. Nel suo romanzo, Anna Vera Viva ci guida in uno dei rioni più affascinanti del nostro paese. E, attraverso la potenza del sangue, ci fa conoscere l’animo umano e le sue contraddizioni. Dopo aver letto questo libro, l’eterno scontro tra bene e male avrà un sapore nuovo.


Recensione

Il sangue, principe dei fluidi. Dispensatore di vita e di morte. Simbolo di qualcosa di atavico, oscuro, spaventoso, indispensabile.  Il sangue, quello che unisce due persone in un vincolo quasi sacro e sicuramente inviolabile. Il sangue denso, scuro e metallico che scorre da una ferita, la vita che vola via con esso, la violenza di uno strappo. L’arroganza di chi pretende di governare il flusso di questa linfa vitale, che spaventa i deboli di stomaco, impressiona i fatalisti e inebria i sadici.

Il sangue. C’è forse un umore più simbolico? Vitale? Allegorico? Catartico?

Anna Vera Viva sembra ammaestrare il sangue in ogni sua accezione. Lo ammansisce, gli dà una guida da seguire, lo ricopre di significati e costruisce per lui una trama in cui possa avere un ruolo da protagonista.

“Questioni di sangue” parla di legami, tra uomini e donne, e tra questi e i luoghi, il cui ricordo è un marchio a fuoco sulla carne. Napoli è il luogo da cui tutto parte e in cui tutto fa ritorno. Un luogo catalizzatore di bellezza e di miseria. Di solidarietà e di rancori. Un luogo che il sangue ha colonizzato, fino a impregnare la terra nel profondo. Napoli e la sua gente, colorata, chiassosa, superstiziosa. Gente che si arrangia per campare, le cui vite fanno capolino dai bassi, casupole che affacciano sui vicoli, bui ma pieni di vita. Gente povera, spesso poco istruita, che imbastisce la propria vita sulla saggezza popolare e su consuetudini antiche, codici d’onore di un passato che non vuole morire.

Napoli in realtà è circoscritta al Rione Sanità, luogo che in passato dispensava salubrità ai suoi abitanti, ma anche miracoli. Luogo che si espande sopra terra, con i suoi vicoli colorati e sotto terra, con le sue catacombe, antichi cimiteri che tutt’oggi non hanno perduto la loro fascinazione quasi magica. Un Rione in cui la Camorra trova terreno fertile e distoglie spesso i giovani dalla buona strada, indirizzandoli verso la malavita.

Peppino Annunziata è il boss della Sanità. Un uomo dal passato tormentato, le cui mani si sono macchiate del sangue dei nemici ma che è sensibile alla bellezza in ogni sua forma e che possiede un suo codice d’onore. Don Raffaele invece è il parroco della Sanità, un uomo imponente, la cui insubordinazione gli è costata il trasferimento in quella zona di Napoli contraddistinta da miseria e delinquenza diffusa. Animato da buone intenzioni, vuole dare nuova linfa al rione, portando tra la popolazione la speranza e la fiducia nel bene. Predicando tra la gente la possibilità di poter decidere della propria vita, una vita da vivere nell’onestà. Eppure Napoli per il prete è anche un ricordo della sua infanzia. Un’infanzia trafitta dalla perdita. Napoli è una calamita, che inconsapevolmente ma con una forza disumana lo ha tratto a sé per riportarlo alle sue origini.

Alla Sanità la gente ha bisogno di un conforto. Perché c’è un uomo prepotente  e crudele che semina discordia e paura.  E quando muore assassinato per mano ignota, Raffaele si troverà ad indagare per proprio conto, aiutato dalla sua perpetua, Assuntina,  abile cuoca e pettegola fenomenale, che non vede l’ora di ficcare il naso negli affari degli altri in modo, per così dire, legalizzato.

Ed ecco che “Questione di sangue”  si tinge di giallo. E poi di nero, perché Anna Vera Viva si fa l’artefice di una discesa nell’animo umano, nelle sue sfaccettature, quelle buone e quelle meno buone, che possono farti ribellare e compiere azioni inattese e insensate.

Cosa ho amato di questo romanzo? Beh, molte cose, in verità. I colori di Napoli e della sua gente, che trova sempre il modo per sopravvivere e sdrammatizzare. L’ironia pungente, il suono cadenzato del suo dialetto, subdolo incantatore, che ti catapulta davanti ad un mare azzurro e al Vesuvio maestoso che fa da cornice.

I profumi dei vicoli, la cucina sublime di Assuntina, che ci delizia e ci fa immaginare sapori, consistenze e umori di cibi meravigliosi. La gente che campa come può, perché per vivere dignitosamente tutto è permesso. Che fa capolino dai bassi, che solo chi è di Napoli può trasformare con l’immaginazione in regge e ville da capogiro.

La scrittura di Anna Vera Viva è un tripudio di vitalità e di emozioni. Un torrente in piena che travolge il lettore e lo trascina con sé. Una prosa evocativa, che cattura ogni umore, odore, sensazione che risale dai vicoli della Sanità.

E il sangue, che tutto governa e a cui tutto fa capo. Il sangue, che denuda l’animo umano e lascia scoperta ogni pulsione, ogni contraddizione dell’uomo.

Una cosa è certa. Voglio tornare alla Sanità. Da Peppino, da Raffaele, da Assuntina.  E da Carmela, da Totore, da Rosetta e da tutti i derelitti che sopravvivono agli sgambetti di un destino avaro.

Ritrovarli. Consolarli. Salvarli. Dalla malavita, dalla malasorte e anche da se stessi. Tornare, si. Chissà che non sia possibile, un giorno….


L’autrice

Anna Vera Viva, salentina, si trasferisce a Napoli nel 1982. Scrive da molti anni ed è sceneggiatrice di docufilm e cortometraggi tra cui La consegna e Specchio delle mie brame, candidati al David di Donatello. Le sue passioni sono viaggiare e gironzolare per musei e gallerie d’arte contemporanea. Soggiorna spesso a Parigi e tra le montagne abruzzesi.


  • Casa Editrice: Garzanti
  • Collana: Narratori Moderni
  • Genere: Noir
  • Pagine: 250