
Sarebbe mai stato all’altezza del compito che gli era stato affidato? Quanto ancora ci sarebbe voluto per sopprimere il marchio del sangue che lo trascinava inevitabilmente verso scorciatoie a dir poco discutibili? Avrebbe mai domato la sua natura sanguigna e fallibile? Quella natura che, pur cercando di nascondersi, bramava una giustizia sommaria, rapida e conclusiva?
Adesso che l’aveva avuta non si dava pace. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso, ecco cosa poteva essere stato il suo intervento. La Sanità, l’aveva capito, viveva di un equilibrio tutto suo, e lui con la sua inesperienza era arrivato a turbarlo.
Trama
Il rione Sanità è un’isola. Un lungo ponte lo divide dal resto di Napoli. Qui, i vivi e i defunti convivono da secoli e non vi è posto, più di questo, in cui morte e vita siano così strettamente intrecciate. Ed è qui che, dopo quarant’anni, due fratelli si rincontrano. Raffaele, dato in adozione giovanissimo alla morte della madre, ci torna come parroco della basilica di Santa Maria alla Sanità. Peppino, invece, è il boss del quartiere. Due uomini che non potrebbero essere più diversi l’uno dall’altro. Eppure, il richiamo del sangue, ineludibile, li unisce. Un legame che è fonte di pericolo e tormento per entrambi. Quando la morte colpisce e un cadavere viene ritrovato in un appartamento del rione, le indagini, suffragate da un testimone poco affidabile, seguono un unico binario. Quell’omicidio fa tirare un sospiro di sollievo a tante persone, ma Raffaele non si lascia abbindolare. Decide di rivolgere il suo sguardo, esperto della vita, proprio tra la sua gente, anche se questo significa guardare qualcuno di molto, forse troppo, vicino a lui. Ma Raffaele non si è mai fermato davanti a nulla e non inizierà adesso. Sa bene che le sue indagini possono compromettere un equilibrio basato su regole non scritte e allo stesso tempo inderogabili, ma deve andare avanti. Per – ché la Sanità è un’isola e per navigare il mare che la circonda ci vogliono coraggio, passione e un concetto diverso di verità. Nel suo romanzo, Anna Vera Viva ci guida in uno dei rioni più affascinanti del nostro paese. E, attraverso la potenza del sangue, ci fa conoscere l’animo umano e le sue contraddizioni. Dopo aver letto questo libro, l’eterno scontro tra bene e male avrà un sapore nuovo.
Recensione
Il sangue, principe dei fluidi. Dispensatore di vita e di morte. Simbolo di qualcosa di atavico, oscuro, spaventoso, indispensabile. Il sangue, quello che unisce due persone in un vincolo quasi sacro e sicuramente inviolabile. Il sangue denso, scuro e metallico che scorre da una ferita, la vita che vola via con esso, la violenza di uno strappo. L’arroganza di chi pretende di governare il flusso di questa linfa vitale, che spaventa i deboli di stomaco, impressiona i fatalisti e inebria i sadici.
Il sangue. C’è forse un umore più simbolico? Vitale? Allegorico? Catartico?
Anna Vera Viva sembra ammaestrare il sangue in ogni sua accezione. Lo ammansisce, gli dà una guida da seguire, lo ricopre di significati e costruisce per lui una trama in cui possa avere un ruolo da protagonista.
“Questioni di sangue” parla di legami, tra uomini e donne, e tra questi e i luoghi, il cui ricordo è un marchio a fuoco sulla carne. Napoli è il luogo da cui tutto parte e in cui tutto fa ritorno. Un luogo catalizzatore di bellezza e di miseria. Di solidarietà e di rancori. Un luogo che il sangue ha colonizzato, fino a impregnare la terra nel profondo. Napoli e la sua gente, colorata, chiassosa, superstiziosa. Gente che si arrangia per campare, le cui vite fanno capolino dai bassi, casupole che affacciano sui vicoli, bui ma pieni di vita. Gente povera, spesso poco istruita, che imbastisce la propria vita sulla saggezza popolare e su consuetudini antiche, codici d’onore di un passato che non vuole morire.
Napoli in realtà è circoscritta al Rione Sanità, luogo che in passato dispensava salubrità ai suoi abitanti, ma anche miracoli. Luogo che si espande sopra terra, con i suoi vicoli colorati e sotto terra, con le sue catacombe, antichi cimiteri che tutt’oggi non hanno perduto la loro fascinazione quasi magica. Un Rione in cui la Camorra trova terreno fertile e distoglie spesso i giovani dalla buona strada, indirizzandoli verso la malavita.
Peppino Annunziata è il boss della Sanità. Un uomo dal passato tormentato, le cui mani si sono macchiate del sangue dei nemici ma che è sensibile alla bellezza in ogni sua forma e che possiede un suo codice d’onore. Don Raffaele invece è il parroco della Sanità, un uomo imponente, la cui insubordinazione gli è costata il trasferimento in quella zona di Napoli contraddistinta da miseria e delinquenza diffusa. Animato da buone intenzioni, vuole dare nuova linfa al rione, portando tra la popolazione la speranza e la fiducia nel bene. Predicando tra la gente la possibilità di poter decidere della propria vita, una vita da vivere nell’onestà. Eppure Napoli per il prete è anche un ricordo della sua infanzia. Un’infanzia trafitta dalla perdita. Napoli è una calamita, che inconsapevolmente ma con una forza disumana lo ha tratto a sé per riportarlo alle sue origini.
Alla Sanità la gente ha bisogno di un conforto. Perché c’è un uomo prepotente e crudele che semina discordia e paura. E quando muore assassinato per mano ignota, Raffaele si troverà ad indagare per proprio conto, aiutato dalla sua perpetua, Assuntina, abile cuoca e pettegola fenomenale, che non vede l’ora di ficcare il naso negli affari degli altri in modo, per così dire, legalizzato.
Ed ecco che “Questione di sangue” si tinge di giallo. E poi di nero, perché Anna Vera Viva si fa l’artefice di una discesa nell’animo umano, nelle sue sfaccettature, quelle buone e quelle meno buone, che possono farti ribellare e compiere azioni inattese e insensate.
Cosa ho amato di questo romanzo? Beh, molte cose, in verità. I colori di Napoli e della sua gente, che trova sempre il modo per sopravvivere e sdrammatizzare. L’ironia pungente, il suono cadenzato del suo dialetto, subdolo incantatore, che ti catapulta davanti ad un mare azzurro e al Vesuvio maestoso che fa da cornice.
I profumi dei vicoli, la cucina sublime di Assuntina, che ci delizia e ci fa immaginare sapori, consistenze e umori di cibi meravigliosi. La gente che campa come può, perché per vivere dignitosamente tutto è permesso. Che fa capolino dai bassi, che solo chi è di Napoli può trasformare con l’immaginazione in regge e ville da capogiro.
La scrittura di Anna Vera Viva è un tripudio di vitalità e di emozioni. Un torrente in piena che travolge il lettore e lo trascina con sé. Una prosa evocativa, che cattura ogni umore, odore, sensazione che risale dai vicoli della Sanità.
E il sangue, che tutto governa e a cui tutto fa capo. Il sangue, che denuda l’animo umano e lascia scoperta ogni pulsione, ogni contraddizione dell’uomo.
Una cosa è certa. Voglio tornare alla Sanità. Da Peppino, da Raffaele, da Assuntina. E da Carmela, da Totore, da Rosetta e da tutti i derelitti che sopravvivono agli sgambetti di un destino avaro.
Ritrovarli. Consolarli. Salvarli. Dalla malavita, dalla malasorte e anche da se stessi. Tornare, si. Chissà che non sia possibile, un giorno….
L’autrice
Anna Vera Viva, salentina, si trasferisce a Napoli nel 1982. Scrive da molti anni ed è sceneggiatrice di docufilm e cortometraggi tra cui La consegna e Specchio delle mie brame, candidati al David di Donatello. Le sue passioni sono viaggiare e gironzolare per musei e gallerie d’arte contemporanea. Soggiorna spesso a Parigi e tra le montagne abruzzesi.
- Casa Editrice: Garzanti
- Collana: Narratori Moderni
- Genere: Noir
- Pagine: 250
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