Intervista a Sonia Aggio

Torino, 21 maggio 2023

Ho incontrato Sonia Aggio al Salone del Libro di Torino. Lei, reduce dalla presentazione del suo romanzo Magnificat, eppure fresca e sorridente (e giovane, tanto tanto giovane!). Io, un paio di generazioni di vantaggio ( quel vantaggio temporale che è tuttavia un palese svantaggio quanto a freschezza e vitalità) già stremata dai ritmi esigenti del Salone, una fisarmonica di emozioni che mi lascia spesso con il fiato corto.

Sonia è una giovanissima autrice ma la sua penna appare già navigata, con quel timbro che è un soffio d’aria fresca e al tempo stesso l’eco di un gusto antico per il passato e per le vicende della sua terra, il Polesine, da sempre legata ai capricci del grande fiume che la governa.

Magnificat è la sua opera prima, un omaggio alle sue radici, alla determinazione della sua gente, gente semplice che da sempre convive con una natura capricciosa ed imprevedibile.

Sonia concede un giusto tributo alla forza e alla furia della natura, che da sempre governa la vita, premendola di credenze e di superstizioni, quelle che cercano di rabbonirne gli umori e indovinarne gli intenti più reconditi.

E lo fa con la storia di due ragazze, che crescono insieme finché un evento misterioso non le divide per sempre.


In Magnificat ho colto molto forte il richiamo e la potenza della natura, imprevedibile, capricciosa e imperativa. Come anche una forte allusione al sacrificio, inteso come obolo da versare per rabbonirla. Come vedi il rapporto tra l’uomo e le forze naturali?

Si tratta indubbiamente di un rapporto non paritario. La Natura è più forte, imprevedibile, ma molto spesso questo suo aspetto viene dimenticato o sottostimato dagli esseri umani. Anche senza scomodare le manifestazioni più intense della Natura, come i terremoti o le eruzioni vulcaniche, mi sembra che nella nostra società sia sempre più rara la capacità di interpretare la Natura e i suoi fenomeni. In Magnificat ho dato voce a personaggi che non hanno perso questa capacità, e che per questo hanno un rapporto intenso e simmetrico con il mondo che li circonda.

Descrivi il fiume, in questo caso il Po, come una sorta di divinità malevola, che concede all’uomo ma che soprattutto toglie. Cosa ti trasmette il fiume, la pioggia, l’acqua?

In realtà, nel romanzo il fiume è divino, ma non malevolo – la sua potenza e il suo fascino stanno proprio nel suo essere indifferente alle emozioni e alle volontà umane. Si tratta inoltre di un elemento legato alla Storia, un palcoscenico e un attore che ha attraversato epoche diverse. Ho sempre trovato molto affascinante questa dimensione “eterna”, così come trovo consolante sapere che il fiume è esistito ed esiste a prescindere da noi.

Hai indirettamente vissuto, dai racconti della tua famiglia, l’alluvione del 51?

In realtà no, perché la parte materna della mia famiglia si è trasferita in Polesine nel 1954, all’indomani dell’alluvione, mentre i nonni paterni se ne sono andati prima che potessi ascoltare le loro testimonianze.

Cosa rappresentano Norma e Nilde?

Nilde e Norma rappresentano semplicemente due caratteri molto diversi, che però trovano il modo di incastrarsi e di restare vicine nonostante i difetti reciproci. Fino all’incidente in bicicletta, che scatena il conflitto tra loro, una personalità esplosiva come quella di Norma convive agevolmente con quella delicata e sensibile di Nilde.

C’è una storia della tua infanzia o una credenza che ti ha ispirato?

Sicuramente la leggenda legata alla Madonna della Vigna, che infatti è un elemento importante del libro. Sono stata influenzata poi da casi di cronaca, spesso molto tragici, legati all’annegamento di donne e bambini in Polesine. Ne ho sentito parlare da bambina, e questo ha lasciato un segno importante.

Gli avvenimenti tragici di questi giorni sembrano ribadire con forza che la natura tiene salde le redini del destino dell’uomo. C’è un parallelismo con la storia che racconti?

Nel mio romanzo non c’è alcun insegnamento, perché credo che la narrativa non sia il mezzo adatto a questo scopo. Magnificat non è una cautionary tale. Semplicemente racconto un evento eccezionale – e qui mi preme sottolineare l’aggettivo. Ciò a cui stiamo assistendo in queste settimane, invece, rischia di diventare una terribile consuetudine. Le somiglianze tra le alluvioni della Romagna e l’alluvione del 1951 non devono nascondere dietro il velo della “calamità” gli urgenti interventi di prevenzione che possiamo e dobbiamo attuare.


Il romanzo

È il 1951. In un piccolo casolare nella campagna del Polesine, dove i temporali ingoiano all’improvviso i cieli luminosi e il granturco cresce alto e impenetrabile, vivono Norma e Nilde, due cugine cresciute come se fossero sorelle dopo che un bombardamento durante la guerra ha ucciso le loro madri.
Nilde è una ragazza riservata e timorosa di tutto e la sua ansia aumenta quando Norma inizia a comportarsi in maniera strana. Da quando è caduta dalla bicicletta mentre raccoglieva le ciliegie, sua cugina non sembra più la stessa: scompare senza motivo ogni volta che scoppia un temporale, è scontrosa, non le parla, impedendole persino di avvicinarsi. Nilde prova a seguirla nei campi, ascolta le voci che circolano in paese, ma non riesce a capire perché la sua Norma, il suo punto di riferimento nella vita, bella come la Madonna del Magnificat che le loro madri tanto veneravano, le stia facendo questo.
Cosa spinge Norma ad allontanarsi da Nilde e a fuggire come una bestia selvatica al primo rombo di tuono? Cos’è successo quel pomeriggio lungo l’argine del fiume? Perché tra di loro quell’abisso improvviso di silenzi e bugie?
Il legame indissolubile che lega le due protagoniste verrà messo a dura prova da inquietanti apparizioni e inspiegabili fughe in una storia perturbante fatta di assenze e di mistero. Sullo sfondo, una terra magnetica, insidiosa come il fiume che la attraversa: quel Po che la rende fertile ma che talvolta la travolge per riprendersi tutto.
Un libro intenso e visionario in grado di scandagliare i segreti della natura e dell’animo umano. L’esordio straordinario di una giovanissima autrice.

L’autrice

Sonia Aggio è nata a Rovigo nel 1995, è laureata in Storia e lavora come bibliotecaria. I suoi scritti sono stati segnalati più volte dalle giurie di premi importanti come il Premio Calvino e il Premio Campiello Giovani. Tra il 2018 e il 2020 ha collaborato con il lit-blog «Il Rifugio dell’Ircocervo» e, nel tempo, ha pubblicato diversi racconti su «Lahar Magazine», «L’Irrequieto», «Narrandom» e «Altri Animali». Magnificat è il suo primo romanzo.


Ringrazio molto Sonia Aggio per l’intervista, il sorriso e la disponibilità.

Ringrazio la casa editrice Fazi Editore per la bella opportunità.

STREGA di Johanne Lykke Holm

Ogni notte pensavo al mio assassino. Immaginavo una fila di belle donne. Alle loro spalle una sfilza di donne brutte. Alle loro spalle le donne stupide, le donne intelligenti, le donne con le guance paffute. Vedevo donne orrende, donne vecchie, donne con le mani vuote senza anelli. Ero sicura che ci fosse un assassino ad aspettarci tutte. Me lo figuravo in abito marrone e camicia fantasia. Lo evocavo.

Avevo sempre pensato che sarei diventata un bel cadavere Avrei fatto attenzione a non essere brutta nel momento in cui accadeva, a non diventare una vittima brutta, sdraiata lì a bocca aperta in un vestito ereditato, una fallita nella morte quanto nella vita Dentro di me c’era un meccanismo che immergeva tutto in una luce scintillante, quel meccanismo che collega la morte con il bello e il bello con la morte. 


5 maggio 2023

Oscuro, tenebroso, abbacinante. Un ambiente chiuso, quasi fuori dalla realtà, stretto tra il fitto del bosco e le montagne che si svettano altissime. Una sorta di labirinto, che sembra voler attirare a sé nove giovanissime ragazze, che giungono all’Hotel Olympic come cameriere stagionali.

L’atmosfera dell’albergo è claustrofobica. La struttura è sinistra e decadente. Solitaria, remota, quasi irraggiungibile, come Strega, il paese a valle che sembra spuntare dal niente. E come il vicino Monastero, ulteriore barriera che trasuda mistero e afflizione.

Tra le mansioni quotidiane che le ragazze devono padroneggiare si insinua fin da subito qualcosa di oscuro, un lampo rosso che sembra avvolgere tutto, qualcosa che striscia, che si affaccia, che spaventa.

Le ragazze sono un corpo unico, si muovono insieme, e insieme trascorrono le loro giornate. Fanno persino gli stessi sogni,e presto diventa evidente che esse stesse hanno significato solo se compatte. Un esercito silente che sembra abbarbicarsi sempre più strettamente a quell’ambiente, che assomiglia sempre di più ad una gabbia.

L’attesa degli ospiti è spasmodica. Il tempo è dilatato, le visioni, gli odori, gli umori sono portati al parossismo dall’immobilità, dall’attesa, dallo spavento che nasconde il domani.

La permanenza all’Olympic finisce presto per cancellare ogni ombra del passato delle ragazze. Ogni legame è sciolto, mentre sale all’apice il legame sempre più stretto tra loro. Che non è complicità ma paura.

Quando una di loro scompare ogni sensazione, ogni spavento, qualsiasi sussurro e qualsiasi sensazione diventa un macigno che schiaccia e toglie il fiato. Le percezioni, l’abbaglio degli incubi, il sentore di qualcosa che deve accadere,le atmosfere, diventano psichedeliche, dense di immagini colme di orrore, sgomento e perdizione.

Le ragazze diventano agnelli sacrificali. Nei loro occhi solo immagini di morte, quella che in qualche modo esse si meritano in quanto femmine. Il racconto diventa chiaramente l’allegoria di un mondo patriarcale che colpisce senza motivo. Colpisce per distruggere, per cancellare.

Solo la fuga può mettere in salvo le ragazze. Una fuga che richiede coraggio, consapevolezza e accettazione di una condizione che può solo implodere.

“Strega”, quarto capitolo della serie #lefuggitive è un romanzo corale, a differenza dei tre romanzi che lo hanno preceduto. Vi si parla di condizione femminile partendo dal basso, da una base infida e scivolosa in cui stagna una moltitudine di donne che vaga senza meta nella palude della solitudine, dell’incomprensione, dell’odio.

Il linguaggio che utilizza Johanne Lykke Holm è pieno di simbolismo e trasuda nubi oniriche e abbacinanti. Tutto il nucleo della narrazione è concentrato nelle sensazioni della protagonista Rafa, attraverso le quali il lettore ricostruisce l’ambiente fisico e sensoriale del romanzo. Una lettura che diffonde vibrazioni ovunque, che affascina il lettore, lo ipnotizza e lo spaventa.

Davvero brava l’autrice, che costruisce un castello delle streghe, un labirinto di specchi in cui ogni sentore è un’eco che rimbalza tra le pagine e crea rimbombi inattesi.

Un romanzo che non passa inosservato e che sottolinea l’amara sorte della donna, che è sempre o strega o santa, senza via di mezzo. Un destino davvero complicato da rovesciare, che lascia unico scampo nell’evasione, fisica e mentale.


Trama

Rafaela ha diciannove anni quando raggiunge la città di Strega, sulle Alpi, per lavorare all’hotel Olympic come cameriera. I giorni sono scanditi da una ferrea routine dettata da Rex, Toni e Costas, le tre istitutrici, che insegnano a Rafaela e alle altre ragazze a lavare, cucinare e preparare le camere. Ma gli ospiti tardano ad arrivare, e l’albergo rimane vuoto. Nell’attesa, le ragazze si prendono cura l’una dell’altra mentre camminano nel bosco, fumano di nascosto e ammirano le montagne, ma nel loro addestramento si insinuano regole sempre più rigide che condizionano gesti, comportamenti e desideri. Rafa e le altre cominciano a sentirsi un solo corpo, ad avere tutte gli stessi incubi. Finché l’arrivo dei primi ospiti fa precipitare gli eventi: Cassie, una delle ragazze, scompare e l’atmosfera a Strega diventa sempre più inquietante per Rafa, che insieme all’amata Alba inizia a meditare la fuga. Strega è una moderna fiaba gotica, un’inquietante allegoria della cultura patriarcale, fatta di riti e sacrifici tramandati da una generazione all’altra. Con una scrittura suggestiva e sensuale, Johanne Lykke Holm racconta della violenza che si insinua nella vita delle giovani donne, e del coraggio necessario per spezzare quella catena di sottomissione e ritrovare la libertà. Questo libro è per chi quando osserva la luna ha voglia di assaggiarla, per chi ha sognato di liberare le ancelle da Gilead, per chi si siede sempre in bilico sul davanzale della finestra, e per chi ha trovato la forza di liberarsi delle aspettative degli altri, trasformando la propria vita in una foto in bianco e nero che lentamente prende colore.


L’autrice

Johanne Lykke Holm (1987) è una scrittrice e traduttrice svedese. Strega è il suo primo romanzo, vincitore dell’English PEN Award e selezionato per il Nordic Council Literature Prize e per lo European Union Prize for Literature. È considerata una tra le più promettenti scrittrici emergenti svedesi.


  • Casa Editrice: Enne Enne Editore
  • Traduzione:  Andrea Stringhetti
  • Genere: narrativa straniera
  • Pagine: 192
  • Prezzo:
  • E 18,00

OSCURA E CELESTE di Marco Malvaldi

“Io stimo più il trovar un vero, benché di cosa leggiera, che ‘l disputar lungamente delle massime questioni senza conseguir verità nessuna”. Galileo Galilei.


02 maggio 2023

Eppur si muove…

Chi non associa questa frase iconica al grande scienziato Galileo Galilei?

Una frase che con tutta probabilità Galileo non pronunciò mai, ma che simboleggia da allora la cieca ostinazione di chi nega l’evidenza.

E l’evidenza era, per il grande genio toscano, che la Terra girasse intorno al sole. Inconfutabile verità che l’osservazione scientifica serviva a Galileo su un piatto d’argento.

La supremazia del sistema eliocentrico, oggetto della celeberrima opera di Galileo “Dialogo sopra i due massimi sistemi” fu croce e delizia per lo scienziato toscano che , ottenuto l’imprimatur dal Papa per la pubblicazione del libro, si servì dell’epidemia di peste del 1630 per dare alla stampa la sua opera a Firenze anziché a Roma e aggirare, in qualche modo, i veti della curia romana.

L’epilogo della vicenda è cosa nota: Galileo fu costretto all’abiuro e finì i suoi giorni ad Arcetri, vicino a Firenze, confinato nella sua dimora.

Perché vi sto raccontando cose che già ben saprete?

Perché c’è un altro toscano dei giorni nostri, uno scrittore poliedrico e prolifico, con trascorsi da scienziato egli stesso, che cavalca la memoria di Galileo Galilei e ci regala un viaggio a ritroso nel tempo, catapultandoci proprio ad Arcetri, nell’anno 1631, mentre la peste infuria su Firenze e attanaglia le sue genti nelle restrizioni più variegate e fantasiose tese a circoscrivere il contagio. Una sorta di lock down di recentissima e infausta memoria.

Ad Arcetri, nel 1631, troviamo un Galileo già attempato, che sta ultimando la sua opera più importante. Un’opera rivoluzionaria e pericolosa per la Chiesa, poiché mina le fondamenta del sistema tolemaico che vuole la Terra immobile e al centro dell’universo.

Galileo è irremovibile. L’esperienza, l’attenta osservazione dei fatti, gli dà ragione. Non c’è altro da aggiungere, se non il morbo che rende gli spostamenti più complicati e Roma, con la sua censura, ancora più lontana da Firenze.

E il Galileo Galileo di Marco Malvaldi (il toscano vivente, per capirci!) è un vero toscano di altri tempi. Buontempone, amante del vino, ironico, sarcastico, tagliente. Un genio che sa usare le parole per colpire l’interlocutore, a suon di deduzioni e verità scientifiche.

Un vero leader, per dirla con una parola dei nostri tempi, che sa essere terreno e materiale quanto basta per farsi intendere da tutti. Dalla serva (la Piera, un capolavoro di becerismo toscano e di idioma coloritissimo allo stato puro) a sua Altezza Serenissima Cosimo de’ Medici. Nel mezzo c’è una variegata umanità. Uomini di Chiesa, Ispettori Sanitari, Santi Inquisitori, Madri Badesse e Monache di vario rango, tra le quali anche le stesse figlie di Galileo, Suor Maria Celeste e Suor Arcangela, al secolo Virginia e Livia Galilei. Il tutto ricostruito con grande rispetto per la Storia e un pizzico (o forse dovrei dire una o più manciate) di tagliente ironia e di vertadera toscanità.

Oscura e celeste, ultima fatica di Marco Malvaldi per Giunti Editore, in libreria dal 26 aprile, è un meraviglioso giallo storico in cui personaggi storici del calibro di quelli sopra menzionati si muovono alla ricerca della verità sulla morte di una Suora del convento di San Matteo, ad Arcetri.

Un caso assai intricato, se si pensa che la scena del delitto è il Convento, dove le verità vengono spesso celate anziché svelate. Un Convento che peraltro si è attirato dicerie poco edificanti, tali da giustificare l’astio divino, di cui la peste è il mesto e lugubre emissario, secondo il pensiero dell’epoca.

Un caso delicato, se si pensa che la vittima è una giovane professa, amante della scienza e vicina a Galileo stesso.

Mentre il Galileo nazionale, affaticato dagli anni e dalla vista offuscata ma sempre più deciso a scoprire la verità (quella che muove i corpi celesti e quella, più terrena della morte di Suor Agnese) lavora per dare alla stampa il suo trattato rivoluzionario e getta un occhio attento al Convento e alle dinamiche spesso oscure che governano i rapporti tra le Suore, il caso si dipana pian piano fino a mostrare la sua vera natura.

Galileo riuscirà a togliersi un bel macigno dalla scarpa ma le sorti del suo trattato saranno piuttosto avverse, come ben sappiamo.

Cosa rende Oscura e celeste un romanzo da leggere immediatamente?

La sua brillante impalcatura, che lascia intravedere un giallo piuttosto intricato. La sua ambientazione, fedele alla Storia del tempo. Un Galileo Galilei in grande spolvero, arguto, tagliente, l’incarnazione della toscanità fatta persona. Un vero e proprio omaggio alla terra toscana e ai suoi abitanti, dei quali anche la sottoscritta fa orgogliosamente parte.

Insomma, per me una lettura meravigliosa, che ha l’unica pecca di essere troppo breve, troppo appetitosa, una lettura che si divora e che immediatamente si vorrebbe leggere da capo (e pensate che io non l’abbia fatto, per caso??)

Bravo Marco Malvaldi, che padroneggia Storia e storia senza inciampo alcuno. Che non teme di far scendere Galileo e la sua gloriosa biografia ad un livello tale da renderlo fruibile a tutti, senza temere, per questo, di intaccare la sua figura e il suo genio sconfinato.

Galileo Galilei diventa uno di noi in altre parole, senza smettere mai i panni del grande scienziato. E se non è magia, questa….

Marco Malvaldi nasconde la sua bacchetta magica nella manica, come un asso pronto a calarsi sul tavolo verde. Magia o ingegneria, non cambia il risultato. Oscura e celeste è uno dei romanzi più godibili di quest’anno. E lo dico adesso, che è solo aprile.


Trama

L’Europa è in guerra, le risorse scarseggiano ed è in corso una pandemia: no, non stiamo parlando di attualità ma dell’anno 1631. A Firenze la peste infuria, il Granduca dà disposizioni per limitare i contagi ma c’è chi sa trarre beneficio dalle situazioni di emergenza: tra gli altri, un “filosofo naturale” che con la scusa del morbo ha ottenuto di stampare il suo ultimo libro in città anziché a Roma, eludendo gli accaniti controlli dell’Inquisizione. È Galileo Galilei, l’uomo che con il suo “cannone occhiale” ha scoperto le fasi di Venere e i satelliti di Giove, che fa esperimenti sul pendolo e sulla caduta dei gravi e adesso sta per pubblicare il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo: un’opera scritta in volgare affinché tutti possano capire che non l’uomo con i suoi dogmi bensì il Sole sta al centro dell’universo. La vista di Galileo, però, è sempre più appannata, e le sue minute devono essere trascritte per il tipografo dalla figlia Virginia, che ha preso il velo nel convento di San Matteo in Arcetri. E come osservando attentamente la Luna si scopre che è coperta di macchie, così anche un luogo di preghiera, a frequentarlo assiduamente, rivela aspetti inattesi: c’è chi dice, per esempio, che alcune sorelle “ricevano”; che in una cella il lume rimanga acceso troppo a lungo; che una notte si sia udito il suono di un corpo che cade… Galileo dovrà portare luce in un mistero più buio di una notte senza stelle, ma nulla può fermarlo perché lui sa che ogni cosa illuminata ha una parte oscura: sta a noi capire da che lato osservarla. E quando arriviamo a vederla nella sua interezza, ci avviciniamo alla nostra natura celeste. 

Marco Malvaldi torna al giallo storico riportando in vita il padre della scienza moderna: un toscano verace, amante del vino e della tavola, incline alle facezie ma capace di volgere il proprio straordinario ingegno alla conoscenza, consegnandoci gli strumenti attraverso cui pensare il futuro.


L’autore

Marco Malvaldi, (Pisa, 1974), chimico e scrittore, ha esordito nel 2007 per Sellerio con La briscola in cinque, primo degli otto volumi dedicati ai “vecchietti del BarLume”, divenuti nel 2013 una serie televisiva e seguiti da una lunga serie di romanzi e di saggi di divulgazione scientifica. Per Giunti ha pubblicato La misura dell’uomo (2018) e – a quattro mani con Paolo Cintia – Rigore di testa (2021). I suoi ultimi libri, scritti insieme a Samantha Bruzzone, sono Chi si ferma è perduto (Sellerio, 2022) e La molla e il cellulare (Raffaello Cortina, 2022).


  • Casa Editrice: Giunti Editore
  • Genere: Giallo Storico
  • Pagine: 352
  • Prezzo: E 19,00

SULLA TUA PELLE di Andrea Tortelli

I tempi e i luoghi si muovono. Ma la tragedia rimane ferma e i protagonisti di questa assurda vicenda sono due e mezzo. C’è lei, a cui va un pensiero. C’è lui, un uomo “normale” che ha agito da mostro. Il mezzo sono io, il giornalista, che ora racconto i fatti per come li ho vissuti, anche se “risolvere” una storia così complessa e drammatica con le parole è un po’ come inchiodare le farfalle della vita a un’asse di legno.


19 Aprile 2023

Diversi sono gli elementi che mi hanno colpito di questo reportage, naturalmente al netto dell’orrore che ho provato nel rivivere così da vicino la terribile storia di Carol Maltesi, uccisa a 26 anni da chi le stava vicino e oltraggiata in mille modi, non ultimo l’atteggiamento del suo carnefice che, dopo la sua morte e avendo accesso a tutti i suoi dispositivi, si spacciava per lei con amici e parenti.

Carol Maltesi era giovane e desiderava ciò che tutti noi desideriamo: essere amata, essere accettata, essere capita, anche nelle scelte personali che aveva fatto, scelte che sono state giudicate, l’ultima lama inflittale da chi ha pensato che in fin dei conti quella morte atroce se la fosse cercata.

Una storia di cronaca che è quello che è: una vicenda oscura, nera come l’inferno, capace di gettare ombre lunghissime sul nostro tempo, quello in cui tutti si vedono attraverso i social ma nessuno si conosce davvero. Un tempo fatto di solitudini, di ricerca del proprio posto in un mondo sempre più arido e affamato.

La storia di Carol scorre a ritroso attraverso i suoi post su Facebook, dove si interroga sulla vita, sui rapporti con gli altri e su i suoi desideri più intimi. Le sue parole restano fissate e indelebili e restituiscono un’immagine del tutto diversa da quella della porno attrice Charlotte Angie.

Una storia troncata bruscamente mentre i pochi amici, la famiglia e i semplici conoscenti la credono viva. Perchè oggi esisti se sei connesso, come qualcuno già ci ha fatto cinicamente notare.

Ecco il succo di questa brutta storia. La solitudine, l’identità sociale, il vissuto virtuale dato in pasto ad un pubblico disinteressato e crudele. La morte che può essere nascosta solo grazie ad un semplice messaggio di testo. La morte vera, che in fondo è il prezzo che si paga per quel successo raggiunto in modi che fanno discutere il popolo benpensante che sta dietro ad una tastiera.

E poi lui, l’eroe di questa storia. Andrea Tortelli, giornalista di una testata web, che da solo riesce a dare un nome e un volto alla donna trucidata e dissacrata e al suo assassino. In una sola giornata, tra un pasto e un sonnellino del figlioletto di due anni, Tortelli risolve il caso. E restituisce dignità a Carol Maltesi, scrivendo la sua storia con discrezione e rispetto.

Tortelli è la voce narrante e la linea di congiunzione tra Carol e la gente comune. Lui, che lavora precariamente dietro ad un lap top, nell’intento di rendere giustizia ad una categoria di giornalisti spesso considerato di serie B.

Un gran bel lavoro, Andrea. Il lavoro fatto bene di chi si è preso a cuore una ragazza morta troppo presto. Di chi ogni giorno lotta contro mille avversità, spesso dal tavolo della sua cucina (tra la postazione di lavoro e le notizie ci passa in mezzo la vita). Di chi restituisce e allevia. Di chi scopre e guarisce. E vede al di là delle immagini patinate scoprendone la vera e intima identità.


Trama

Il 20 marzo 2022, lungo una strada di montagna in provincia di Brescia, viene ritrovato il corpo di una donna uccisa, smembrata e chiusa in sacchi neri. Gli inquirenti dichiarano che è difficile risalire all’identità della vittima ma rivelano la presenza sui suoi resti di alcuni tatuaggi. Intanto il giornalista Andrea Tortelli è in smart working: che nel suo caso significa gestire quasi da solo una testata di informazione online, dalla scelta della linea editoriale alla gestione dei problemi tecnici e amministrativi fino alla redazione dei pezzi, e nel frattempo occuparsi del figlio piccolo. Non ha perso, però, la passione per il giornalismo fatto bene, quello che verifica ogni notizia, si pone domande e cerca le risposte. È così che, pochi giorni dopo e in meno di ventiquattr’ore, armato solo di computer e smartphone, Andrea riesce a risalire all’assassino, a chattare con lui, a dare un nome alla vittima: Carol Maltesi, nota come Charlotte Angie, mamma, attrice, giovane donna dai sogni troppo grandi, morta ormai da mesi nel silenzio più assordante. Da questo momento per le forze dell’ordine non è difficile arrestare il colpevole, ma questo, si sa, non è che il primo passo per comprendere il senso di una storia. Le indagini dei magistrati chiariranno i fatti, ma per Andrea Tortelli non è possibile smettere di pensare a quella ragazza morta troppo presto, cercare di conoscerla anche se ormai è tardi. Sulla tua pelle è dunque il resoconto di un caso da manuale di giornalismo investigativo – che ha suscitato l’interesse dei media di tutto il mondo, dal «Telegraph» al «New York Post», dall’«Abc» alla «Rtl» tedesca – e la storia di una donna che ha cercato la propria strada nel nostro mondo indifferente e al tempo stesso giudicante. Un racconto che rende omaggio a una ragazza che cercava la felicità e che ci insegna come i social, dietro le loro foto patinate, non siano altro che un luogo dove ciascuno di noi cerca di uscire dalla propria solitudine.


L’autore

ANDREA TORTELLI vive a Brescia, ha 44 anni e scrive sui giornali da quando ne aveva 17. Ha collaborato con case editrici locali, uffici stampa e testate nazionali. È direttore del giornale online «BsNews.it», che ha contribuito a fondare. Esperto di web e di social media, gestisce diverse community online, tra cui la più grande comunità italiana di giornalisti sui social. Appassionato di poesia, ha pubblicato quattro raccolte tra cui una guida in versi dedicata alla sua città.


  • Casa Editrice: Giunti Editore
  • Genere: Reportage
  • Pagine: 192
  • Prezzo: E 16,00

IN CERCA DI JANE di Heather Marshall

Se ho imparato qualcosa da questa storia, è che non bisogna avere segreti. Vanno in cancrena come ferite, e una volta che il danno è fatto ci mettono ancora di più a guarire. E’ un danno permanente, e invalidante, e di certo non voglio questo, per te.


16 aprile 2023

Proprio in questi giorni, mentre l’Italia si trova a parlare del neonato lasciato nella culla della vita di un ospedale di Milano, io leggevo questo bel romanzo, trovandomi, non a caso, a navigare dentro quel mare sconfinato e a volte insidioso che è il tema della maternità.

Un tema di cui non mi stanco mai, perché tanto c’è da dire. Molte sono le sue facce. Alcune vivaci e levigate, altre spigolose, ingannatrici, subdole. Facce che fanno discutere, che provocano fratture e spargono a volte dolore e incomprensione.

La donna e la maternità non sono mai argomenti compenetranti. Donne si è per nascita, madri si è per scelta. E non basta, naturalmente. Tra l’essere madre e il non esserlo c’è un mare infinito di situazioni, di possibilità. C’è felicità e c’è dolore. C’è il graffio del rimpianto e il balsamo della speranza. E la voce di chiunque voglia giudicare. Una donna attira sempre uno sguardo su di sé, e non sempre benevolo, sia che sia madre, sia che non lo sia. E non c’è una ricetta, uno schema collaudato. Per chi giudica ma anche per noi stesse. Costrette a filtrare la nostra vita attraverso il fine setaccio delle nostre scelte. Subìte o costruite che siano.

Il corpo della donna è un campo minato. L’occhio del ciclone di molti desideri, anche discordanti.

Ma deve essere chiaro come il sole che è la donna che deve decidere per il proprio corpo. Decidere se dare alla luce oppure no, Esercitare un diritto, attraverso l’aborto. Ma anche attraverso la vita e l’accoglienza insita in una adozione. O attraverso il gesto estremo di rinuncia, quando una madre si fa da parte per donare al figlio un’opportunità, come ha fatto la mamma del piccolo di Milano, il giorno di Pasqua.

Nessuno osi giudicare una madre. Quella che lo è ma non avrebbe voluto. Quella che decide di non esserlo. Quella che vorrebbe ma non può. Quella che decide di abortire e quella che ricorre all’adozione. Quella che si arrende e quella che lotta. Nessuno si erga a giudice.

Ecco, se il tema vi sta a cuore ( e come può non essere così?) prendete in considerazione la lettura di questo romanzo. Perché tra questa pagine vi ritroverete. Perché qui dentro c’è un pezzo di tutte noi, uno spicchio di vita, un desiderio, un timore o un sogno infranto.

L’autrice tesse le fila di una trama coinvolgente ed estremamente verosimile. Al centro di tutto c’è una dottoressa che aiuta le donne in difficoltà ad abortire, mettendo la sua stessa vita a repentaglio. Per anni, attraverso una fitta rete clandestina, le donne potranno esercitare un sacrosanto diritto a salvaguardia del loro corpo, attraverso la pretesa di disporre di esso senza che un giudice o un macellaio imponga la sua voce. Fino a quando questo diritto sarà legge.

Una battaglia che dura decenni, mentre altrove un neonato viene strappato dal seno della propria madre nubile e dato forzatamente in adozione. Mentre una donna lotta per diventare madre ricorrendo alla fecondazione assistita. Mentre una ragazza scopre di essere stata adottata e cerca le proprie origini.

Come questi destini potranno incontrarsi lo scoprirete leggendo. Attraverso un’esperienza piena, toccante ed emozionante, ognuna di queste donne vi lascerà qualcosa. E vi farà riflettere sull’estrema difficoltà di essere donne, oggi come ieri, in una società che da sempre pretende di sapere cosa è meglio per noi. Cosa dobbiamo desiderare, come dobbiamo vivere. In quale modo farci accettare e come tacitare le voci che urlano istruzioni e dogmi nella nostra testa, senza curarsi delle nostre aspirazioni e dei nostri sentimenti.


Trama

La vita di Nancy Mitchell è costruita interamente su un segreto, anche se lei ancora non lo sa. Un segreto che comincia a Toronto, nell’ottobre del 1960. È un giorno con il cielo pieno di nuvole quello in cui Evelyn Taylor arriva, scortata dal padre, dinanzi ai maestosi cancelli del St. Agnes. Non sa che i mesi che trascorrerà lì, aspettando il suo bambino senza padre tra gli sguardi ostili delle suore, cambieranno il suo destino. Quel bambino, Evelyn lo terrà tra le braccia solo un attimo, e poi le sarà portato via per sempre. Ma quell’attimo significherà tutto. Dieci anni dopo, nella Toronto degli anni Settanta, una dottoressa si dedica ad aiutare giovani donne ad abortire. Non è sola: con lei c’è un’intera rete clandestina di infermiere e ginecologhe a disposizione di chi ha bisogno di loro. Una rete che ha un nome in codice: Jane. Se sei disperata e non sai cosa fare, chiedi di JanePrima o poi la troverai.Molti anni dopo, la vita di Nancy Mitchell viene ribaltata dalle fondamenta: una lettera recapitata con sette anni di ritardo arriva infine, per vie del tutto inusuali, a destinazione, sconvolgendo ogni sua certezza. E permettendole di ritrovare, forse, qualcuno che pensava di aver perduto per sempre. Bestseller a sorpresa che ha commosso i lettori canadesi, e che sarà presto tradotto in tutto il mondo, ispirato a eventi realmente accaduti, In cerca di Jane intreccia meravigliosamente le vite di tre donne, raccontandone in realtà molte di più, mentre i segreti e le speranze che ogni vita nasconde vengono pian piano portati alla luce.

L’autrice

Canadese, ha lavorato diversi anni nella comunicazione prima di concentrarsi sulla sua vera passione, la scrittura. Il suo esordio, In cerca di Jane, in corso di traduzione in quindici paesi, appena uscito si è posizionato al primo posto assoluto delle classifiche canadesi, rimanendo in vetta per diciassette settimane e diventando un vero e proprio caso editoriale.


  • Casa Editrice: Piemme
  • Traduzione: Annalisa Carena
  • Genere: narrativa straniera
  • Pagine: 400
  • Prezzo: E 20,00

MI LIMITAVO AD AMARE TE di Rosella Postorino

Io ero una delle tante. Ero Andromaca, Ecuba, Cassandra, ero una delle Sabine. Ero minorenne. Tu l’hai mai fatto l’amore, amica mia? Me lo immaginavo diverso. Com’è possibile che siano identici i gesti dell’amore e del sopruso? L’uniforme garantisce l’anonmato, e loro non sono che ragazzi, cercano la ninna-nanna fra le nostre gambe. Bisognerebbe cucirle, le donne. Rifondare un mondo senza madri.


Si esiste interi solo prima di nascere. Ma quello strappo è la vita.
Omar ha dieci anni e passa le giornate alla finestra sperando che sua madre torni: da troppi giorni non viene, e lui non sa più nemmeno se è viva. Suo fratello gli strofina il naso sulla guancia per fargli il solletico, ma non riesce a consolarlo. Senza la madre il mondo svapora. Solo Nada lo calma, tenendolo per mano: soltanto lei, con i suoi occhi celesti, è per Omar un desiderio.
Ha undici anni, sulla fronte una vena che pulsa se qualcuno la fa arrabbiare, e un fratello, Ivo, grande abbastanza da essere arruolato. Nada e Omar sono bambini nella primavera del 1992, a Sarajevo.
Per allontanarli dalla guerra, una mattina di luglio un pullman li porta via contro la loro volontà. Se la madre di Omar è ancora viva, come farà a ritrovarlo? E se Ivo morisse combattendo? In viaggio per l’Italia, lungo strade ridotte in macerie, Nada conosce Danilo, che ha mani calde e una famiglia, al contrario di lei, e che un giorno le fa una promessa.
Nessuna infanzia è spensierata, ciascuno di noi porta con sé le sue ferite, ma anche quando ogni certezza sembra venire meno, possiamo trovare un punto fermo attorno al quale far girare tutto il resto.
Mi limitavo ad amare te entra nelle fibre del lettore colpendo quel punto come una freccia. Ispirato a una storia vera, è un romanzo di ampio respiro, di formazione, di guerra e d’amore, che si colloca a pieno titolo nella tradizione del grande romanzo europeo.
Con la sua scrittura precisa e toccante, Rosella Postorino torna a indagare le nostre questioni private, quelle che finiscono per occupare il centro dei pensieri e delle azioni degli esseri umani anche nel mezzo dei rivolgimenti storici più scioccanti. Così, mentre infuria il conflitto che per primo in Europa ha spezzato una lunga pace, ecco che ci interroghiamo sull’“inconveniente di essere nati”. Come si diventa grandi quando da piccoli si è stati amati malamente? E chi può mai dire di essere stato amato come e quanto avrebbe voluto? Nada, Omar e Danilo scoprono presto nel legame che li unisce, e che li spinge a giurarsi fedeltà eterna oppure a tradirsi, la più grande risorsa per una possibile salvezza.


Cosa è rimasto in noi della Guerra dei Balcani? Qualche eco, ormai fioca. Eppure al di là del mare il cielo si screziava di rosso, sotto i lampi delle bombe. Eppure c’era morte, distruzione, orrore nell’aria. La stessa aria che respiravamo anche noi, a pochi chilometri, oltre il mare. Una guerra tra fratelli, divisi dalla relgione, dall’etnia, dal pensiero politico. Assedio, fame, sangue. Civili in balia dell’odio, quello che non conosce balsamo, che non sa sfogare se non con la morte, che è droga, eccitazione, oblio.

Una guerra che prese in scacco gli anni novanta e li cancellò per sempre dai ricordi dei bosniaci, stretti sotto i tiri dei cecchini. Chiusi in casa, dietro ai vetri scheggiati, sporchi. Ovunquemacerie fumanti e cadaveri lasciati in strada, come un macabro monito.

E al di là del mare, c’era chi alzava gli occhi al cielo, mentre un Caccia solcava un celeste sbiadito, verso i cieli grigi di Sarajevo. Anche i salvatori sgancavano le bombe, portavano morte e oltraggi innominabili alla popolazione. Salvatori incapaci sia di fermare le ostilità, sia di fornire aiuto alle vittime. E ordigni che calarono dal cielo finchè l’ultimo anelito di violenza si alzò da quella terra martoriata, rossa di sangue innocente.

Rosella Postorino ambienta il suo ultimo romanzo a Sarajevo e dà voce ai bambini di quegli anni. Bimbi che videro l’orrore più aberrante e che subirono lo strappo più doloroso, quello dalla loro terra e dai loro fragili ricordi.

Questa è la storia di alcuni di loro. La Guerra li destò dal candore dell’infanzia e tolse loro il conforto di un abbraccio. La Guerra li portò al di là del mare, verso una nuova vita. Ma la vita non si veste mai di nuovo, casomai dimentica, almeno per il tempo necessario a crescere. Dopo la memoria si ridesta, e con essa la voglia di tornare.


Non so quale alchimia si nasconda nella penna di Rosella Postorino. Sta di fatto che il suo ultimo romanzo, nonché il primo di suo che io abbia letto, contiene una polvere finissima che si appiccica alle ciglia e entra nei polmoni, colonizzando l’intero organismo. Entra e non esce. Contamina ogni anfratto, si insinua dentro gli umori e vi di discioglie, per cambiare per sempre il colore e la forma dell’anima.

La Guerra non è mai stata così cattiva, sadica, annientante. Capace di controvertire l’ordine naturale delle cose, quelle per cui un bambino debba crescere nell’amore, potendosi fidare delle braccia e del cuore di sua madre. Sentendosi protetto e sicuro nell’idea che la madre sia forte, giusta. Un baluardo che cade, pur di garantire l’incolumità di suo figlio.

Ma a Sarajevo, negli anni della guerra, questa verità è una menzogna. E i bambini sono soli, a fare i conti con un conflitto che capovolge l’intera visione della vita, quella che il bambino conosce come l’unica vera.

Non c’è madre, non c’è padre. Solo le bombe che illuminano un cielo grigio e l’urgenza di partire, lontano dalla guerra e dalla morte.

Una partenza che è strappo. Cambiamento, che fa rima con tradimento, quello nei confronti di una madre perduta, da ritrovare. C’è chi non dimentica e chi invece ha bisogno di ricominciare.

E in una terra straniera si diventa grandi, ascoltando le eco di un conflitto che, al di qua del mare, sembra quasi invenzione. Si cresce sapendo di portare su di sé un marchio, quasi un disonore. Per ciò che non si è e per ciò che si è lasciato indietro.

Si cerca una strada in un deserto di emozioni e di ricordi, sempre più fallaci ma la tempo stesso vivi e crudeli come non mai. A volte è in pianura, liscia come olio seppur scivolosa. A volte è un tornante dietro l’altro e sassi, buche e polvere fitta.

I bambini di Sarajevo sono cresciuti ma il vuoto dentro di loro è ancora una voragine da riempire.

E come colmarla solo Dio lo sa. Riempire un vuoto a volte significa diventare così pesanti da non poter più spiccare il volo. Oppure dimenticare.

Rosella Postorino racconta la guerra con gli occhi dei bambini. Una guerra tremenda, che ha visto l’orrore dilagare e il mondo far da spettatore. A raccontare atti innominabili, così orrendi da rendere inutile qualsiasi parola. La perdita dell’innocenza, di quella scintilla senza la quale l’uomo si trasforma nel peggiore dei carnefici.

Una lama che gioca a incidere la pelle e gioisce per ogni cicatrice che lascia. Una penna che diffonde struggente poesia mentre lacrima sangue.

Una prosa sublime, pura e lancinante come una pugnalata. Dove il dolore sfoga nell’addio ed è espiazione perfetta per ogni sbaglio. Dove annientarsi è l’unica medicina, per il male che punisce un bambino, tagliandone radici e germogli.


Rosella Postorino (Reggio Calabria, 1978) è cresciuta in provincia di Imperia, vive e lavora a Roma. Ha esordito con il racconto In una capsula, incluso nell’antologia Ragazze che dovresti conoscere (Einaudi Stile Libero, 2004). Ha pubblicato i romanzi La stanza di sopra (Neri Pozza, 2007; Feltrinelli, 2018; Premio Rapallo Carige Opera Prima), L’estate che perdemmo Dio (Einaudi Stile Libero, 2009; Premio Benedetto Croce e Premio speciale della giuria Cesare De Lollis) e Il corpo docile (Einaudi Stile Libero, 2013; Premio Penne), la pièce teatrale Tu (non) sei il tuo lavoro (in Working for Paradise, Bompiani, 2009), Il mare in salita (Laterza, 2011) ed è fra gli autori di Undici per la Liguria (Einaudi, 2015). 

Con Le assaggiatrici (Feltrinelli, 2018), romanzo tradotto in oltre 30 lingue, ha vinto il Premio Campiello 2018 e diversi altri prestigiosi premi letterari, quali il Premio Rapallo, il Premio Chianti, il Premio Lucio Mastronardi Città di Vigevano, il Premio Pozzale Luigi Russo, il Premio Wondy e, per l’edizione francese del romanzo (La Goûteuse d’Hitler, ed. Albin Michel), il Prix Jean Monnet. Da questo romanzo verrà tratto un film, per la regia di Cristina Comencini.


  • Casa Editrice: Feltrinelli
  • Genere: narrativa
  • Pagine: 349


PERSONCINE di Maria Messina

“Hai capito, Geniù? Te la senti di fare il tuo dovere come io, e tua madre, e la buon’anima di tuo padre, l’abbiamo sempre fatto?” Gènia fece segno di si con il capo. E con la stessa sottomissione, ascoltò tutti gli avvertimenti e i consigli che le fecero. Si, lo sapeva bene come doveva comportarsi…. Ubbidiente, sicuro…. rispettosa…. Non si sarebbe lagnato nessuno. Poi si mise lo scialletto nuovo e seguì la madre.


Trama

Personcine di Maria Messina è uno spaccato delle realtà più umili dell’Italia rurale di inizio Novecento. Pubblicata nel 1921, questa raccolta di racconti presenta l’infanzia come tema chiave. Bambini e ragazzi vengono ritratti in scene di vita quotidiana, manifestando la tenerezza e l’innocenza della giovinezza come tesori inestimabili in grado di donare significato profondo agli episodi più semplici e genuini. La sensibilità dell’autrice dialoga in maniera non banale con la letteratura per ragazzi del Primo Dopoguerra: Maria Messina affianca i valori tradizionali del patriottismo e del rispetto dell’autorità a preziosi spaccati di ciò che la naturalezza di un bambino può insegnare alla società sua contemporanea. Altro tema ricorrente tra le righe è il punto di vista femminile nell’Italia dell’epoca e l’importanza dello sguardo profondo e comprensivo della donna di tutte le età.


Recensione

Riscoprire certe meraviglie del passato è sempre esaltante. La casa editrice 13Lab sembra decisamente impegnata e senza dubbio vincente in questa crociata non semplice e, dal mare nostrum dei romanzi dimenticati e degli autori di perduta memoria, riesce immancabilmente a tirare fuori la perla, la chicca, il gioiello che in questo modo torna a brillare, a riflettere la luce e a donare nuove impressioni al lettore.

Nel caso dell’uscita di oggi, 14 marzo, c’è anche di più, perchè insieme al fulgore di un romanzo pubblicato nel 1921, 13Lab festeggia la sua autrice, Maria Messina, che nacque a Palermo proprio il 14 marzo di 136 anni fa. Un’autrice a torto dimenticata se escludiamo alcune ripubblicazioni delle sue opere avvenuta negli anni 80. Nonostante Maria Messina si fosse fatta portavoce scomoda delle istanze femminili dell’epoca, vessillo di tutte le donne che agli albori del XX secolo ancora vivevano schiacciate tra le anguste pareti domestiche, segregate e mute. I suoi scritti risentono pienamente delle prerogative dell’epoca, dentro ad una Sicilia chiusa e perbenista in cui la donna è una creatura vinta, che ritaglia un suo spazio chiudendosi in se stessa, un tutt’uno con il focolare che custodisce e del quale è schiava.

In Personcine sono i fanciulli i messaggeri ai quali Maria Messina affida i propri pensieri, attraverso una serie di racconti in cui il tipico candore dell’infanzia, la semplicità con cui il bambino guarda alla vita e il mondo degli adulti, costituiscono una chiave di lettura portatrice di verità e di saggezza. I bambini spesso sono sottovalutati dai grandi. Le loro esigenze, i loro desideri bistrattati e non presi sul serio, perchè l’infanzia è un contenitore di spensieratezza e di fugacità, che fa dell’abilità di dimenticare la sua forza. Eppure i bambini sanno sopportare e trarre il bello anche dalle esperienze più tremende. Sanno rassegnarsi, sanno adattarsi e spesso insegnano a chi sta loro di fronte, con l’innocenza e la semplicità che li contraddistingue.

I bimbi di Maria Messina sono piccoli adulti in miniatura che affrontano la vita con onestà intellettuale, grazia infinita e grandissima speranza. Sono profondi, altruisti e spontanei e sono attori straordinarie di vita, colmi di qualità che non avremmo mai pensato potessero possedere.

Un raccolta di racconti in cui spunta una morale ad ogni giro di pagina. In cui specchiarsi e cercare di imparare a vivere. Un esempio di resilienza e di fortitudine per noi grandi, che sottovalutiamo i nostri bimbi senza rammaricarci di ciò che il tempo ci ha fatto lasciare indietro.


L’autrice

Maria Messina fu una grande scrittrice di cui, dopo la morte avvenuta nel 1944, si perse il ricordo. La memoria letteraria è stata molto avara nei suoi confronti, solo dopo la ristampa di alcune sue opere nel 1980 e l’attenzione di Leonardo Sciascia, si aprì uno squarcio sul silenzio che la circondava.
Era nata a Palermo il 14 Marzo del 1887 da Gaetano e Gaetana Valenza Traina. Nel 1903 si trasferì con la famiglia a Mistretta e lì visse fino al 1909. La maggior parte delle sue opere risentono delle atmosfere di quel luogo, nel cuore dei Nebrodi, della provincia messinese. In seguito si spostò in varie parti d’Italia per seguire il padre che era un ispettore scolastico: in Umbria, nelle Marche, in Toscana e infine si stabilì a Napoli.
A vent’anni fu colpita dalla sclerosi multipla, malattia che la costrinse a condurre una vita schiva, quasi sempre tra le pareti domestiche.
Intrattenne intensi rapporti epistolari con Giovanni Verga ed Ada Negri. Quest’ultima curò la prefazione ad una sua raccolta di novelle del 1918 Le briciole del destino e pur non avendola mai incontrata le scrive: “Mia piccola sorella Maria, non ti conosco fisicamente ma mi sembra di conoscere bene la tua grande anima”.
Tra le sue raccolte di novelle ricordiamo Pettini fini del 1909, Piccoli gorghi del 1911 e Personcine e Ragazze siciliane del 1921.
Fu anche autrice di libri per ragazzi e ragazze: CenerellaI figli dell’uomo sapienteIl galletto rosso e blu e Il giardino dei Grigoli.


  • Casa Editrice: 13Lab
  • Collana: Myosotis
  • Genere: classico
  • Pagine: 149

RAGAZZE PERBENE di Olga Campofreda

Le donne della mia famiglia sono boccioli di rosa selvatica a cui è stato imposto di fare i gerani. E’ stato così anche per me e per Rossella. Come gerani siamo state curate per essere esposte sui balconi di casa, sotto lo sguardo dei vicini, a esaltare il buon nome dei nostri padri.


Trama

Nelle città di provincia le ragazze perbene si assomigliano tutte. Per sottrarsi a un futuro già raccontato, Clara si trasferisce a Londra, dove insegna italiano a ricchi expat e si trova intrappolata nel vortice degli incontri online. Ma il matrimonio della bellissima cugina Rossella, inseparabile compagna d’infanzia diventata poi modella di abiti da sposa, la richiama a Caserta. Clara si trova così ancora immersa nel mondo da cui è fuggita: all’addio al nubilato della cugina rivede le vecchie compagne di scuola, e nei giorni successivi incontra Luca, lo sposo, con cui aveva stretto in passato un’amicizia clandestina. All’improvviso, però, Rossella scompare senza lasciare traccia. E Clara, convinta che la cugina nasconda qualcosa, scopre nel suo diario un segreto impossibile da confidare, che minaccia il futuro radioso che Rossella ha sempre incarnato. Olga Campofreda toglie il velo sulle seconde vite e i desideri nascosti delle ragazze perbene, i cui destini sono specchio di una femminilità che parla di sacrifici e rinunce, di principi azzurri e segreti, di infelicità che si tramandano nel tempo, di madre in figlia. E racconta la storia di una ragazza che si ribella a sogni e consuetudini già logore, per inventare una strada nuova, tutta sua, da costruire con consapevolezza giorno dopo giorno.

Questo libro è per chi si perde a immaginare le storie dei personaggi ritratti nei quadri, per chi ha passato lunghi pomeriggi ad ascoltare Baby one more time sul walkman, per chi ha scoperto il piacere tra le mani di un estraneo, e per i fiori veri che sbocciano nelle città di plastica, semplici e fragilissimi, e per questo meravigliosi.


Recensione

Lo stigma della ragazza perbene. Chi di noi non l’ha subìto, in vita sua?

Quell’attributo, non meglio specificato, che ci ha fatto inevitabilmente sentire inadeguate. Imperfette. Da migliorare.

Più brave, più obbedienti, più educate, più studiose, più carine, più di noi. Sempre di più, per raggiungere quell’ideale che ci ha fatto tremare in più di un’occasione. Quel modello che ci avrebbe fatto meritare l’amore, la realizzazione, il riconoscimento pubblico delle nostre virtù.

Una cosa, questa, tutta femminile. Relegata al mondo delle femmine, quelle che devono dimostrare di valere, sempre.

E’ inutile negare, sappiatelo. Questa lettura riaprirà in voi, care lettrici imperfette, vecchie ferite. Che, diciamocela tutta, non sono mai rimarginate.

Perchè il confronto con la figlia dell’amica, con la compagna di classe, con la vicina di casa brucia ancora sulla pelle. Quella che avete sempre considerato insipida, melliflua, senza nerbo. Era, è stata ed è tuttora meglio di voi. Voi, che non vi siete sposate, non avete fatto bambini, non avete avuto quella vita da manuale che una ragazza perbene si merita. Voi che avete vagabondato nel limbo del vago, dell’indefinito. Del poi si vedrà. Voi che siete state, siete e sarete deludenti, infelici, incomplete.

Ad Olga Campofreda è bastato poco per toccare i nostri nervi scoperti. Con la storia di Clara, colei che fugge lontano e si lascia alle spalle la provincia italiana e con quella di Rossella, che la natura ha dotato di un aspetto angelico, destinata per questo ad incarnare un ideale di femminilità passiva, basata interamente sulla bellezza e l’idealizzazione della figura femminile, quella destinata al grande amore e ad immolarsi all’altare, al soldo del primo amore.

Entrambe infelici, entrambe depositarie di segreti. Ognuna con il suo fardello, perfezione e imperfezione, due contrari che sono invece concetti vicinissimi e speculari.

A Londra Clara insegue relazioni senza spessore. Si accontenta di una professione che le faccia sbarcare il lunario e sembra aver rinunciato ai suoi sogni. Poi il matrimonio di Rossella la riporta a casa. Dove le ragazze per bene, una dopo l’altra, perdono il loro fulgore, la loro copertura, l’alone di perfezione e di felicità che le incorniciava. Tutte, perfino Rossella, che ha più di un segreto da digerire.

Olga Campofreda confeziona il primo romanzo italiano della collana Le fuggitive. Olga dipinge un acquarello spietato, quello che raffigura la gabbia dorata in cui il tempo e la tradizione imprigionano le ragazze, togliendo loro la voglia di essere se stesse e quella di spogliarsi delle vesti che non le raffigurano e non le rendono giustizia.

Olga Campofreda celebra i desideri di tutte le donne come legittime propaggini del loro essere. Come l’estremo pretesto per deviare da quella strada maestra che secoli di patriarcato hanno segnato per le donne di tutto il mondo. Da quella strada, consumata dai passi di migliaia di donne, Olga fa partire tanti viottoli, impervi tratturi difficili da intraprendere, ma le uniche vie che portano a realizzare quei desideri che rendono la nostra vita unica e degna di essere vissuta.

Un percorso ad ostacoli che mette in conto la difficoltà di non essere capita, di essere additata, criticata, screditata da tutti. Ma un destino di infelicità attende chiunque non dia retta al proprio cuore e alle proprie inclinazioni. Che sia una ragazza perbene oppure no.


L’autrice

Olga Campofreda vive a Londra, dove lavora come ricercatrice in Italian e Cultural studies e insegna scherma per la nazionale inglese Under 20. Nel 2009 ha esordito con La confraternita di Elvis (ARPANet) e i suoi racconti sono apparsi su riviste e blog letterari. Tra le sue ultime pubblicazioni: A San Francisco con Lawrence Ferlinghetti (Giulio Perrone Editore 2019) e il saggio su Pier Vittorio Tondelli Dalla generazione all’individuo (Mimesis 2020). È co-autrice del podcast The Italian Files e insieme a Eloisa Morra cura Elettra, una serie antologica di racconti sul rapporto tra padri e figlie (effequ).


  • Casa Editrice: Enne Enne Editore
  • Collana: Le Fuggitive
  • Genere: narrativa italiana
  • Pagine: 215

LA CASA DEL DESTINO di Jessie Burton

E in quel momento Thea capisce cosa fare. Quell’intuizione la calma. E’ un rischio, e potrebbe non funzionare, ma nessun altro lo correrà perlei e nessuno comunque dovrebbe o potrebbe farlo, Il problema è suo e soltanto suo.


Trama

1705, nell’età d’oro di Amsterdam Thea Brandt compie diciotto anni ed è pronta a diventare una donna adulta. È innamorata di Walter, il pittore teatrale che progetta di sposare, ma a casa i problemi economici sono all’ordine del giorno: suo padre Otto e la zia Nella sono costretti a impegnare i mobili per rimpinguare le finanze malferme dei Brandt. Nella è determinata a salvare l’onore della famiglia – in un mondo dove comandano le regole sociali e l’apparenza – e spera di trovare a Thea un marito che le garantisca un futuro florido. La felicità sembra finalmente
bussare alla loro porta quando arriva l’invito per il ballo più esclusivo di Amsterdam: si affacciano nuove speranze, e la promessa di un avvenire radioso. Anche perché Nella non ha mai dimenticato il misterioso miniaturista che è entrato nella sua vita diciotto anni prima per giocare con il suo destino. Adesso, forse, è tornato per lei.

Jessie Burton ci riporta nel mondo incantato del miniaturista, protagonista del suo esordio best seller, in un romanzo travolgente sull’ambizione e il riscatto, sui sogni e i segreti che li avverano, con una donna determinata a prendere in mano fino in fondo la propria vita.


Recensione

Un ritorno attesissimo. Una storia che si svolge ad Amsterdam agli inizi del 1700, l’epoca d’oro della capitale olandese, centro degli scambi commerciali e vessillo delle opportunità nascenti dal lavoro e dalla vivacità economica e sociale di un popolo.

Il cuore pulsante della città è il protagonista del romanzo. Un luogo che pullula di vita, dove la ricchezza passa veloce lungo i freddi canali e transita dal ricco porto verso l’intero mondo conosciuto. Una ricchezza che è alla portata di chiunque voglia impegnarsi e lavorare. Un mondo borghese che tuttavia si piega alle leggi dell’apparenza e che spesso non accoglie chi è diverso.

Questo lo sa bene Otto, originario del Suriname, la cui pelle color cioccolato non cessa mai di destare curiosità. E lo sa anche Thea, sua figlia, che ha diciotto anni e la voglia incontenibile di vivere l’amore passionale e assoluto. Thea è bella ma scomoda. Cresciuta senza una madre, e dalla pelle color ambra, deve essere accasata con un giovane bravo e ricco. Questo secondo Nella, la zia, che desidera proteggere Thea dentro alla sicurezza di un buon matrimonio. Le finanze di famiglia sono agli sgoccioli e Nella è stanca di mostrare agli altri ciò che non è più, vale a dire una ricca signora che appartiene ad una altrettanto ricca e rispettabile famiglia.

Thea è bella e intelligente e con un buon marito al fianco salvarebbe se stessa e anche la sua famiglia.

Ma le cose non andranno esattamente come Nella ha pianificato. Nella infatti non ha messo in conto la testardaggine della nipote, la sua passione incontenibile, la sua voglia di amare e di essere amata.

E forse neanche Thea, che si trova invischiata cose più grandi di lei, mentre da lontano l’ombra della miniaturista troneggia minacciosa su tutta la famiglia. Insieme ai ricordi di Nella, anch’essa segnata nella sua giovinezza dalla ferita di un sogno infranto.

Eppure l’amore e l’unione troveranno una via per tutti e tre. Basta che ognuno rinunci a qualcosa o accolga in sé pensieri e azioni che sembravano insostenibili.

E come in ogni situazione di caos, il destino troverà da solo un nuovo equilibrio.

E i valori più forti e più giusti avranno la meglio sui falsi valori. E il passato farà la pace con il presente, un presente che può essere inquadrato anche sotto una luce diversa e più favorevole.

Se cercate un romanzo da divorare, che vi trascini lontano nel tempo e nello spazio, ecco, lo avete trovato. Un romanzo che parla anche di diversità, di accettazione di se stessi e di bisogno di condividere. Con un pizzico di coraggio. Quello che serve per chiamare le cose con il loro nome e per voltare le spalle a ciò che non ci fa felici.

Una città magnificamente ricostruita, un’epoca dorata in cui tutto appare possibile e una giovane donna decisa a realizzare la propria vita secondo i suoi desideri e non secondo ciò che la società si aspetta da lei. Thea, un’eroina del suo tempo, capace di insegnarci qualcosa di importante, ancora oggi.


L’autrice

Jessie Burton è nata nel 1982 e vive a Londra. Ha studiato presso l’Università di Oxford e alla Royal Central School of Speech and Drama; ha lavorato per nove anni come attrice, prima di scrivere il suo romanzo d’esordio, Il miniaturista, divenuto in breve tempo uno dei casi editoriali più straordinari degli ultimi anni, con più di un milione di copie vendute nel mondo. La nave di Teseo ha pubblicato La musa (2016), Ragazze scatenate (2018) e La confessione (2020). I I suoi libri sono stati tradotti in quaranta lingue.


  • Casa Editrice: La Nave di Teseo
  • Collana: Oceani
  • Traduzione: Elena Malanga
  • Genere: narrativa straniera
  • Pagine: 444

LA CASA DEI NOTABILI di Amira Ghenim

Ricordo che la mattina dopo le nozze, quando era sposato da una notte appena, tuo nonno lo ha fatto chiamare per colazione e gli ha detto lisciandosi i baffi: “Dì alla figlia di ar-Rassà, tua moglie, di dimenticarsi quello che faceva in casa di suo padre, perchè le leggi in vigore qui sono le nostre, quelle di casa en-Neifer… E qui nessuno entra o esce senza un motivo valido. Questa è una casa all’antica.”


Trama

Tunisia, anni Trenta. Sullo sfondo di un paese in fermento, alla ricerca della propria identità, si intrecciano le vite e i destini dei membri di due importanti famiglie dell’alta borghesia di Tunisi: la famiglia en-Neifer, dalla rigida mentalità conservatrice e patriarcale, e la famiglia ar-Rassa‛, liberale e progressista. Il nucleo attorno al quale ruotano le vicende narrate nel romanzo è una terribile notte di dicembre del 1935, quando la vita in casa en-Neifer è stata sconvolta da un evento che ha condannato per sempre all’infelicità Zubaida ar-Rassa‛, la giovane moglie di Mohsen en-Neifer, sospettata di aver avuto una storia d’amore clandestina con Taher al-Haddad, intellettuale di umili origini noto per il suo attivismo in ambito sindacale e in favore dei diritti delle donne. Le vicende di quella notte vengono raccontate in prima persona da undici diversi narratori, membri delle due famiglie, in momenti storici diversi (dagli anni Quaranta ai nostri giorni), in un intreccio di segreti, ricordi, accuse, rimpianti ed emozioni che trascinano il lettore in un appassionante viaggio nelle storie dei singoli e nella Storia del paese. Come in un gioco di scatole cinesi, ogni storia ne contiene altre, e al lettore spetta il compito di mettere insieme i tasselli e ricostruire l’intera vicenda nel tentativo di scoprire cosa è accaduto a Zubaida e come sono andate veramente le cose.


Recensione

Confesso che ignoravo totalmente la recente storia della Tunisia. Noi occidentali tendiamo a volte a fare di tutta l’erba un fascio quando parliamo di paesi arabi e di cultura musulmana, pur non sapendo praticamente niente, al di fuori di un po’ di trita retorica, condita da una buona dose di luoghi comuni.

Eppure già nel 1957 la neonata Repubblica tunisina, sorta dalle ceneri del protettorato francese, promulgava il Codice dello Statuto della Persona, con il quale si sanciva una serie di diritti fondamentali alle donne tunisine, tra cui il diritto allo studio e al lavoro, il divieto della poligamia, dei matrimoni forzati e addirittura regolamentava il divorzio e legalizzava l’aborto, quasi venti anni prima che analoga norma fosse scritta in Italia.

Una simile costruzione a favore delle donne prendeva le mosse dal pensiero e dall’attività di un giovane intellettuale di umili origini, Taher al-Haddad, che già nel 1935 scrisse il provocatorio saggio “La nostra donna nella sharia e nella società”, un libello che inneggiava ai diritti della donna e ad una lettura ben diversa delle sacre scritture islamiche, da sempre oggetto di un’esegesi in chiave maschilista e patriarcale.

Ebbene, Taher al-Haddad è il filo conduttore di questo bellissimo romanzo, che inizia nel 1935 e sfiora diversi periodi successivi, attraverso le voci dei protagonisti, ognuno dei quali racconta dal suo punto di vista la storia di due famiglie dell’alta borghesia tunisina degli anni 30, una, gli en-Neifer, spiccatamente tradizionalista, l’altra, gli ar-Rassà, progressista e aperta al nuovo.

Il nucleo della storia è una giornata di inizio dicembre del 1935, quando accade un fatto che determinerà il futuro di tutti i personaggi di questo romanzo. Zubaida ar-Rassà, giovane moglie di Mohsen en-Neifer, viene accusata di avere una storia con Taher al-Haddad, che fu suo precettore quando era ancora nubile.

Da lì accadranno molte cose e i destini delle due famiglie cambieranno per sempre.

Di fatto nessuno saprà mai se Zubaida è colpevole di adulterio e se invece è tutta una montatura dettata dall’invidia e dall’infelicità di qualcuno. Questo tarlo morderà le carni di Mohsen fino alla fine, indeciso sulla condotta da tenere in casi come questo, dove l’onore rischia di essere perduto per sempre, insieme al suo matrimonio.

Tutti daranno la loro versione, compresa la servitù. E ognuno racconterà anche molto di sé, della propria storia, del proprio pensiero in una società che si evolve ma che rimane pur sempre radicata alla tradizione.

Ne esce un quadro magnifico della società del tempo, che stupisce per alcuni tratti di sorprendente modernità e per la sua incisività, che trabocca dai racconti dei protagonisti, giunti fino al al lettore da epoche differenti, spronandolo a ricostruire gli eventi di quella fatidica notte.

La destinataria dei racconti è Hind, la nipote di Zubaida. Hind è davvero la nipote di Taher? E comunque Hind sarà colei che toglierà la polvere dalla storia di sua nonna Zubaida, che cadde vittima di una bassa cospirazione, che le tolse tutto.

“La casa dei notabili” scrive le pagine di un’epoca in bilico tra vecchio e nuovo e getta semi sul terreno fertile del cambiamento. E’ un mosaico di voci e di storie che si intrecciano a formare un cori polifonico coerente e magnificamente disegnato, appannaggio della necessità di scoprire un popolo schiacciato dal peso delle tradizioni e dagli schemi rigidi del patriarcato. Un popolo tuttavia sensibile ai venti del cambiamento, che vuole ribellarsi dalle maglie del protettorato francese e da quelle comunque pesanti e stringenti delle consuetudini.

Una prosa fedele alle voci che vengono dal passato, riccamente ricamata per attirare il lettore nella sua trama sottile. Una lettura indimenticabile, che ci apre uno spiraglio sulla storia di un paese coraggioso e determinato a trovare la propria strada.

Fortemente consigliata. Un vero e proprio viaggio nel tempo e nello spazio, cullati da una voce profonda, illuminante e davvero coinvolgente.


L’autrice

Nata nel 1978 in Tunisia, Amira Ghenim è scrittrice e professoressa di Linguistica e Traduzione presso l’Università di Tunisi. Dopo numerosi saggi di stampo accademico, nel 2019 ha pubblicato il romanzo al-Malaff al-Asfar, che l’anno dopo ha vinto il premio Sheikh Rashid bin Hamad. Nel 2020 ha pubblicato il romanzo La casa dei notabili, che è entrato nella rosa dei sei finalisti dell’International Prize for Arabic Fiction e ha ricevuto il premio speciale della giuria del Comar d’Or, il più prestigioso premio tunisino.


  • Casa Editrice: edizioni e/o
  • Traduzione: Barbara Teresi
  • Genere: narrativa straniera
  • Pagine: 406