Oltre la porta a vetri, oltre la cucina, il sole faceva capolino dietro gli oggetti, delineandone i contorni. Chiusi gli occhi. Avevo un fischio acuto e intermittente nelle orecchie. Le tempie mi pulsavano. Mi stava venendo il mal di testa. Per un attimo, dubitai. Proprio come avevo dubitato il primo giorno, quando ero arrivata in quella casa, di nuovo lo stesso dubbio. Non sapevo se quella nottata c’era stata davvero; se era tutto reale. Mi sedetti sul bordo del letto e guardai fisso la luce che filtrava attraverso il vetro smerigliato. Allora mi venne un’idea stranissima, ma più reale che aver lavato e asciugato ogni singola forchetta della casa, anche più reale del contatto con la stoffa della divisa sotto i polpastrelli. Pensai che io, cioè, quella donna seduta sul letto, vivevo solo provvisoriamente. Questo fu ciò che pensai. Come in un film che prima o poi sarebbe finito, e dopo avrei avuto davanti, immensa e luminosa, la vera realtà.
6 maggio 2024
Estela e l’eterna dicotomia tra realtà e immaginario, tra oro e fango.
Una confessione. Il racconto in prima persona di una morte senza senso. Sullo sfondo della dilaniante scriminatura che divide la società tra chi dispone di denari e opportunità e chi invece subisce la povertà profonda, quella che mercifica l’uomo.
Un tema attualissimo, condotto dall’autrice con enorme sensibilità e grande senso della realtà. Da leggere e assorbire con attenzione, specie se chi legge appartiene allo schieramento dei fortunati abitanti della parte giusta del mondo.
La scrittura di Alia Trabucco Zeran è fresca, efficace, rotonda. Un piacere leggerla. Una lettura che porta il lettore là dove vuole l’autrice, dentro la casa di un medico e di un’avvocata cileni e soprattutto, dentro la mente e il vissuto di Estela, la loro domestica a tempo pieno.
Estela appartiene a quella frangia di persone che lascia la propria casa in cerca di fortuna, La sua casa è al sud, in campagna. Una vita dura, comandata dai capricci del tempo e dall’indigenza, che costringe le persone ad accettare lavori duri, mal pagati, in condizioni quasi disumane. La sua casa è piccola, fredda. Qualsiasi soffio di vento sembra volersela portare via. Estela è sempre sola; la madre lavora tutto il giorno e torna a casa distrutta. Eppure quella è un’esistenza che la madre non sa condannare. Tanto da cercare di dissuadere la figlia quando questa manifesta l’idea di andare in città a servizio. Lei sa che una volta indossata quella divisa non si torna più indietro. Come se ogni cosa trattenesse la domestica dentro quelle mura che la imprigionano, uno su tutto l’affezione che gioco forza la domestica sviluppa verso la famiglia che serve.
Estella non ha nessuna esperienza come domestica e si getta a capofitto nel suo lavoro. Dopo la nascita di Julia, Estella diventa la sua tata. Julia è una bimba inquieta, bizzosa, bisognosa di attenzione. I suoi genitori sembrano ossessionati solo dai risultati che Julia dovrà raggiungere, riempiendo la piccola vita della figlia di impegni e esasperandola con il peso di mille aspettative.
Il tempo corre veloce. Estela a volte vive dentro ad una bolla irreale. La sua è una condizione quasi patologica, indotta dalle situazioni che vive ogni giorno. La sua figura compenetra la vita intima dei coniugi della quale conosce ogni piega e ogni segreto. Il loro correre quotidiano, il lavoro che assorbe entrambi più del necessario, l’intransigenza verso la figlia, l’incapacità di comprendere la sua essenza e il suo bisogno di appartenere all’infanzia. Estela è come spezzata in due: da un lato ha tutto il necessario. Dall’altro le manca tutto ciò che conta. Ha nostalgia della madre e sente su di sé la pressione del suo ruolo, che prevede solo perfezi0ne e nessun errore. La nostalgia è un pungolo, eppure quando ha l’occasione di tornare a casa, anche solo per una visita, rinuncia sistematicamente. Perchè teme di non tornare indietro e farlo significherebbe dare ragione a sua madre.
Dalle pagine di prosa finissima e abbacinante Estella esce allo scoperto come una creatura di profonda saggezza e di acutissima sensibilità. E’ capace di cogliere ogni sfumatura del ruolo che deve interpretare tra le mura domestiche. E’ critica verso il modo di vivere dei suoi padroni del quale sa cogliere ogni stortura. Intuisce il verme che da dentro divora la piccola vita di Julia, alla ricerca spasmodica di attenzione e affetto. E assiste inerme al naufragio di quella famiglia, perduta dentro logiche inconsistenti, cieca e completamente disorientata dalle istanze della società e dalla necessità di sviluppare un background sano per la figlia. Un mondo dorato che esiste anche grazie ai gesti ripetuti di chi rimane ai margini, pronto a pulire ogni macchia e a sopportare l’umiliazione di sentirsi disprezzati eppure al tempo stesso indispensabili.
Estela si sente inerme, sopraffatta e disarmata da sdoppiarsi tra la donna che spicca il volo e si allontana da uno scenario perverso e quella che rimane tra quelle mura, intrappolata nelle sue mansioni giornaliere, nelle iniquità dei suoi metodi e nei segreti che le consentono di rimanere a galla. Ma nonostante ciò Estela è un personaggio incredibilmente profondo, una donna che lotta con una realtà che non condivide al solo scopo di mantenersi salda di corpo e di mente.
La morte aleggia costantemente nel racconto di Estela. Perché già dalle prime pagine sappiano che Julia morirà e che Estela in qualche modo è coinvolta. Con questo incipit ad alta intensità drammatica, il racconto di Estela si snoda tra i brevi capitoli. Un racconto che è al tempo stesso il preciso resoconto delle sua giornate di lavoro e il vibrante abbaglio delle dinamiche familiari di cui è testimone che inducono in lei un sentimento di straniamento e di sorda ribellione.
Un romanzo bellissimo, denso di una scrittura indimenticabile, specchio perfetto di questo mondo crudelmente dicotomico del cui rimbombo non siamo mai pienamente consapevoli.
Una tensione narrativa palpabile e una voce nuova, brillante e grave, interprete senza sbavatura alcuna di una società in corsa verso il baratro.
Il romanzo
Estela ha passato sette anni in quella casa, con quella famiglia. Sette anni come domestica a tempo pieno: lavare, pulire, preparare da mangiare, occuparsi della bambina, la piccola Julia. Ora Julia è morta e tocca a lei – la domestica, la tata – dare la propria versione della storia. Raccontare per esempio di come ha lasciato la vita in provincia per tentare la fortuna a Santiago, di come ha lasciato sua madre; raccontare della stanza sul retro dove ha dormito per tutto questo tempo, quella senza finestre; raccontare della bambina, delle unghie rosicchiate, delle pellicine sanguinanti; raccontare il disgusto e insieme l’affetto per i suoi datori di lavoro, le umiliazioni costanti; raccontare dei panni puliti, dei denti puliti, della faccia pulita; raccontare di Carlos, della cagnolina randagia, del veleno, della pistola.
Alia Trabucco Zerán ha scritto un romanzo sui conflitti di classe, il denaro, la famiglia, la rabbia. Una storia in cui la tensione cresce a ogni pagina per portarci a un finale inevitabile e potentissimo, che mostra come una semplice vita di routine, per chi non ha voce, può trasformarsi in un incubo. Forse, come dice Estela: «Ci sono molti modi di parlare. La voce è solo il più semplice».
L’autrice
Alia Trabucco Zerán (1983) è una scrittrice e saggista cilena. Dopo un master in scrittura creativa alla NYU, si è dottorata in letteratura latinoamericana presso lo University College di Londra. Il suo primo romanzo, La sottrazione (SUR, 2020), selezionato come miglior esordio dal Consejo Nacional de Chile e da Babelia – El País, è stato finalista al Booker International Prize. Nel 2022 ha ricevuto il Premio Anna Seghers per la sua carriera letteraria, e il Premio della British Academy per il suo libro di non fiction Las homicidas. Pulita è il suo ultimo romanzo ed è in corso di traduzione in quindici paesi.
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