LA CASA DEL DESTINO di Jessie Burton

E in quel momento Thea capisce cosa fare. Quell’intuizione la calma. E’ un rischio, e potrebbe non funzionare, ma nessun altro lo correrà perlei e nessuno comunque dovrebbe o potrebbe farlo, Il problema è suo e soltanto suo.


Trama

1705, nell’età d’oro di Amsterdam Thea Brandt compie diciotto anni ed è pronta a diventare una donna adulta. È innamorata di Walter, il pittore teatrale che progetta di sposare, ma a casa i problemi economici sono all’ordine del giorno: suo padre Otto e la zia Nella sono costretti a impegnare i mobili per rimpinguare le finanze malferme dei Brandt. Nella è determinata a salvare l’onore della famiglia – in un mondo dove comandano le regole sociali e l’apparenza – e spera di trovare a Thea un marito che le garantisca un futuro florido. La felicità sembra finalmente
bussare alla loro porta quando arriva l’invito per il ballo più esclusivo di Amsterdam: si affacciano nuove speranze, e la promessa di un avvenire radioso. Anche perché Nella non ha mai dimenticato il misterioso miniaturista che è entrato nella sua vita diciotto anni prima per giocare con il suo destino. Adesso, forse, è tornato per lei.

Jessie Burton ci riporta nel mondo incantato del miniaturista, protagonista del suo esordio best seller, in un romanzo travolgente sull’ambizione e il riscatto, sui sogni e i segreti che li avverano, con una donna determinata a prendere in mano fino in fondo la propria vita.


Recensione

Un ritorno attesissimo. Una storia che si svolge ad Amsterdam agli inizi del 1700, l’epoca d’oro della capitale olandese, centro degli scambi commerciali e vessillo delle opportunità nascenti dal lavoro e dalla vivacità economica e sociale di un popolo.

Il cuore pulsante della città è il protagonista del romanzo. Un luogo che pullula di vita, dove la ricchezza passa veloce lungo i freddi canali e transita dal ricco porto verso l’intero mondo conosciuto. Una ricchezza che è alla portata di chiunque voglia impegnarsi e lavorare. Un mondo borghese che tuttavia si piega alle leggi dell’apparenza e che spesso non accoglie chi è diverso.

Questo lo sa bene Otto, originario del Suriname, la cui pelle color cioccolato non cessa mai di destare curiosità. E lo sa anche Thea, sua figlia, che ha diciotto anni e la voglia incontenibile di vivere l’amore passionale e assoluto. Thea è bella ma scomoda. Cresciuta senza una madre, e dalla pelle color ambra, deve essere accasata con un giovane bravo e ricco. Questo secondo Nella, la zia, che desidera proteggere Thea dentro alla sicurezza di un buon matrimonio. Le finanze di famiglia sono agli sgoccioli e Nella è stanca di mostrare agli altri ciò che non è più, vale a dire una ricca signora che appartiene ad una altrettanto ricca e rispettabile famiglia.

Thea è bella e intelligente e con un buon marito al fianco salvarebbe se stessa e anche la sua famiglia.

Ma le cose non andranno esattamente come Nella ha pianificato. Nella infatti non ha messo in conto la testardaggine della nipote, la sua passione incontenibile, la sua voglia di amare e di essere amata.

E forse neanche Thea, che si trova invischiata cose più grandi di lei, mentre da lontano l’ombra della miniaturista troneggia minacciosa su tutta la famiglia. Insieme ai ricordi di Nella, anch’essa segnata nella sua giovinezza dalla ferita di un sogno infranto.

Eppure l’amore e l’unione troveranno una via per tutti e tre. Basta che ognuno rinunci a qualcosa o accolga in sé pensieri e azioni che sembravano insostenibili.

E come in ogni situazione di caos, il destino troverà da solo un nuovo equilibrio.

E i valori più forti e più giusti avranno la meglio sui falsi valori. E il passato farà la pace con il presente, un presente che può essere inquadrato anche sotto una luce diversa e più favorevole.

Se cercate un romanzo da divorare, che vi trascini lontano nel tempo e nello spazio, ecco, lo avete trovato. Un romanzo che parla anche di diversità, di accettazione di se stessi e di bisogno di condividere. Con un pizzico di coraggio. Quello che serve per chiamare le cose con il loro nome e per voltare le spalle a ciò che non ci fa felici.

Una città magnificamente ricostruita, un’epoca dorata in cui tutto appare possibile e una giovane donna decisa a realizzare la propria vita secondo i suoi desideri e non secondo ciò che la società si aspetta da lei. Thea, un’eroina del suo tempo, capace di insegnarci qualcosa di importante, ancora oggi.


L’autrice

Jessie Burton è nata nel 1982 e vive a Londra. Ha studiato presso l’Università di Oxford e alla Royal Central School of Speech and Drama; ha lavorato per nove anni come attrice, prima di scrivere il suo romanzo d’esordio, Il miniaturista, divenuto in breve tempo uno dei casi editoriali più straordinari degli ultimi anni, con più di un milione di copie vendute nel mondo. La nave di Teseo ha pubblicato La musa (2016), Ragazze scatenate (2018) e La confessione (2020). I I suoi libri sono stati tradotti in quaranta lingue.


  • Casa Editrice: La Nave di Teseo
  • Collana: Oceani
  • Traduzione: Elena Malanga
  • Genere: narrativa straniera
  • Pagine: 444

MARE DELLA TRANQUILLITA’ di Emily St. John Mandel

Viviamo in una simulazione, mi dissi mentre il tram si fermava a un isolato dal mio appartamento, ma sembrava così lontano… be’, così lontano dalla realtà, non mi veniva parola migliore. Non riuscivo a convincermene. Non ci credevo. C’era una pioggia programmata da lì a – diedi un’occhiata all’orologio – due minuti. Scesi dal tram e mi misi a camminare molto lentamente, di proposito. Avevo sempre amato la pioggia e il fatto di sapere che non veniva dalle nuvole non me la faceva amare di meno.


Trama

Nel 1912 Edwin St. John St. Andrew è un ragazzo di diciotto anni, che sente il peso dell’appartenenza alla nobiltà inglese. Dopo un dissidio con la sua famiglia, attraversa l’Atlantico, per giungere sino in Canada. Qui, incantato dalla bellezza della natura selvaggia, si inoltra in una foresta e, all’improvviso, sente le note di un violino e cade in uno stato di trance. È un’esperienza che lo sconvolge nel profondo e che cambierà per sempre la sua vita.
Nel 2203, una famosa scrittrice di nome Olive Llewellyn è in tour per presentare il suo libro. Sta viaggiando per tutto il pianeta, ma la sua casa è la Colonia Due lunare nei pressi del Mare della Tranquillità, un luogo di pietra bianca, di torri, guglie e di una inquietante bellezza artificiale. Nel suo romanzo più noto c’è una strana scena: un uomo suona il violino nel corridoio di un terminal aeroportuale, mentre gli alberi di una foresta si ergono intorno a lui.
Nel 2403, Gaspery-Jacques Roberts è un detective dell’Istituto del Tempo di Città Notturna, così, successivamente, è stata ribattezzata la Colonia Due. Viene assunto per indagare su un’anomalia spaziotemporale, sul caso di alcune vite sconvolte da una strana apparizione, tra cui quelle di Edwin St. John St. Andrew e Olive Llewellyn.
Emily St. John Mandel dimostra ancora una volta il suo straordinario talento letterario, la sua impetuosa capacità di affabulazione, giocando con le epoche, sfidando le leggi della fisica e raccontando una storia incredibilmente umana, commovente, che rimarrà a lungo nel cuore dei lettori.


Recensione

L’esistenza. Una goccia che in un attimo sfuma sul vetro, mentre piove. Ma anche una fitta, contorta, pullulante foresta. Alberi che svettano nel cielo, viottoli che si inerpicano sui fianchi delle colline, solitari, interminabili, dalla traiettoria sconosciuta. Un brivido di eccitazione e un rivolo di sudore sulla schiena.

La vita è un attimo ed è interminabile. Un attimo, un’eternità. Importantissimo per chi lo vive. E del tutto iniquo per chi la sta a guardare, una vita che appare in tutto e per tutto simile ad altre inutili vite.

Le vite di cui parla Mare della tranquillità appartengono ad individui comuni. Ciò che è eccezionale, inusitato, splendido è l’interconnessione che l’autrice suggerisce tra esistenze appartenenti ad epoche diverse.

L’idea del tempo come un formicaio. Epoche che si srotolano godendo del beneficio della contestualità. Come se solo un debole diaframma dividesse i diversi momenti della storia dell’umanità. E come se, aprendo quel diaframma, potessimo saltare da un secolo all’altro, andando avanti e indietro nella linea del tempo, che mai come in quest’ultima opera di Emily St. John Mandel appare artificiosa. Un’invenzione perniciosa. Un espediente per indurci a pensare a noi stessi come al frutto di un determinato momento, che perderebbe significato se dovessimo isolarlo dall’epoca della nostra vita.

E se davvero il tempo non esistesse, allora non esisterebbe nemmeno la nostra vita. La nostra vita potrebbe essere irreale, fittizia. Nient’altro che una simulazione.

Ad un certo punto il diaframma si rompe e lo sguardo vaga altrove nel tempo. Un’anomalia, che però è sufficiente all’Istituto del Tempo, nell’anno 2403, per indagare. Per scoprire perché nello stesso momento più esistenze appartenenti a tempi diversi si siano potute incontrare.

Un’indagine che può svolgersi solamente attraverso un viaggio nel tempo. A patto che nessuno ne alteri la linea. Perché niente è più pesante e insopportabile di sapere cosa accadrà nel futuro alle persone che abbiamo davanti.

Ed ecco che la genialità e la disarmante poetica dell’autrice ci sovrasta e ci schiaccia. Perché la sua penna è un incanto subdolo e affabulatore. Rovescia i nostri concetti. Distrugge le nostre certezze. Le leggi che regolano il mondo visibile, i nostri schemi mentali, sono inaspettatamente defraudati della loro veridicità. E ci confondiamo, mentre la nostra mente vaga nell’etere, passa velocissima sulla riga del tempo. Assiste ad avvenimenti impossibili e si lascia sedurre da idee eversive, allucinanti, pericolose. E se la nostra vita fosse una simulazione?

Di fatto già da molti decenni la vita si è spostata sulla Luna. Il mare della tranquillità ha accolto la prima colonia. Poi ne è venuta un’altra, che dopo un guasto si è trasformata nella città buia, dove la notte dura a lungo e rende tutto molto irreale. La Terra è lontana, ma si raggiunge in poche ore a bordo di roboanti aeronavi. Dall’alto la Terra è ancora una dea ipnotica e sensualissima. Un’ascesa nel verde e nel blu, che diventa indaco quando si lascia l’atmosfera e si entra nello spazio, nero e insondabile. La vita sulla Luna è artificiale e creata per ingannare l’uomo. L’uomo si lascia ingannare facilmente quando ne va della sua sopravvivenza.

Una simulazione nella simulazione, dunque. Ma pur sempre una vita, preziosa, unica e imprigionata in una capsula del tempo. Se non fosse per quell’anomalia che sembra volerci dire che in fondo siamo tutti legati a doppio filo, attaccati allo stesso cordone ombelicale. Uniti dalla stessa ferocia e dalla stessa pietà.

Mare della tranquillità è un romanzo che incanta e che distrugge. E’ uno spiraglio sul possibile futuro dell’uomo e uno spoiler coraggioso e terribile sul destino delle regole fondamentali della fisica, quelle che ci vogliono prigionieri del tempo e dello spazio e che ci tengono attaccati alla vita, da trascorrere dentro una parentesi delimitata da un inizio e una fine.

Mare della tranquillità è la scoperta di altri insondabili mondi. E un viaggio dentro l’uomo, le sue paure, i suoi limiti, la sua insopprimibile voglia di riparare, correggere, consolare, guarire.

Ed è l’estasi di una scrittura che dona le ali. Che ci innalza sopra il mondo conosciuto, che ci apre gli occhi. Che ci dona coraggio e ci lascia a vagare nella palude del dubbio e dell’oblio.


L’autrice

=4Emily St. John Mandel è autrice di cinque romanzi tra cui Stazione undici, finalista al National Book Award, al PEN/Faulkner Award e da cui è stata tratta una serie televisiva, e L’hotel di cristallo (La nave di Teseo 2021) tradotto in ventitré lingue, selezionato da Barack Obama come uno dei suoi libri preferiti del 2020 e candidato a numerosi premi. Vive a New York.


  • Casa Editrice: La Nave di Teseo
  • Traduzione: Elena Malanga
  • Collana: Oceani
  • Genere: narrativa straniera
  • Pagine: 253

RESPIRA di Joyce Carol Oates

Perchè cos’è la scrittura se non un modo per distrarre il proprio sé da ciò che è essenziale: la vita, la morte.


Trama

Michaela e Gerard, originari di Cambridge, nel Massachusetts, si stabiliscono a Santa Tierra, nel New Mexico, un mondo diverso, con paesaggi bellissimi e inquietanti. Gerard ha ottenuto
un’importante borsa di studio per le sue ricerche e Michaela l’ha seguito senza esitare, come ha sempre fatto fin dal momento in cui l’ha conosciuto. Quando Gerard viene colpito da una misteriosa malattia che inizialmente viene mal diagnosticata, le loro vite vengono sconvolte. A trentasette anni, Michaela deve affrontare la terrificante prospettiva del rimanere vedova e di perdere l’amato marito e compagno, la cui influenza è stata fondamentale nella sua formazione e nel plasmare la sua identità.
Michaela si prende disperatamente cura di Gerard nei suoi ultimi giorni, rendendosi però conto che l’amore per suo marito, per quanto feroce e disinteressato, non è abbastanza per salvarlo e che la morte va oltre la sua comprensione. Il lutto provoca un vero e proprio sdoppiamento in Michaela, con il suo alter ego disposto a tutto pur di ricongiungersi al marito, desideroso di seguirlo fino alla fine.
Con un racconto vivido, doloroso e sentito, che mescola sogno e realtà, Joyce Carol Oates descrive la traiettoria di sofferenza di chi resta ed è costretto a resistere alla perdita e a combattere per ritrovare il proprio posto nel mondo.


Recensione

Ancora mi chiedo quale penna possa essere stata capace di riempire oltre 400 pagine sul tema della malattia, della morte, del lutto. E quale autore sia capace di lanciarsi consapevolmente in una simile maratona letteraria. A descrivere l’agonia di chi amiamo, consumarsi inesorabilmente sotto i colpi della malattia, nell’attesa della morte che cerchiamo di allontanare con tutte le nostre forze ma che sappiamo essere inevitabile. A scandagliare i sentimenti, le paure di chi rimane a guardare. Uno spettacolo orribile e crudele con un finale già scritto che ci spaventa fino al midollo. Che ci annienta. Che non possiamo, non sappiamo accettare. E che ci travolge completamente, lasciandoci deliranti, ottenebrati, instupiditi, abbrutiti nel corpo e nella mente.

400 pagine che scavano su temi che sembrano così essenziali, così difficili da sviscerare, così ostili e così ostici. Senza lasciare niente indietro. Niente di inespresso. Niente di sottointeso.

Joyce Carol Oates offre al mondo una lezione di composizione su un argomento inenarrabile come la malattia e la morte. Un’opera rotonda, crudele, difficile da leggere e al tempo stesso meravigliosamente scritta, profonda, illuminante, democratica, omnicomprensiva.

La morte attrae, come una calamita. La morte ha una sconfinata capacità di farci immedesimare negli attori che la stanno recitando. Ed infatti una volta aperto, questo libro non ti lascia più andare. Semina una nebbia obliante, sparge il seme del lutto, ovunque. L’odore della morte, l’oppressione della fine imminente, l’orrore di quell’ultimo respiro che ha in sé l’eco terrificante della vita che cessa di essere. Il corpo che muore. E la ricerca affannosa dell’anima. Di qualcosa che sopravviva alla morte corporale.

“Respira” in realtà è un imperativo. Respira, così non morrai. Respira, e non mi lascerai sola. Respira, sconfiggi la morte. Non posso vivere senza di te, respira. Non farmi questo torto, respira. Respira, non morire. Respira, continua a farlo per sempre. Trova un nuovo ritmo, e il tuo respiro sarà l’aria che muove la mia vita. Ossigeno che nutre la mia esistenza, che sarebbe perduta senza di te.

“Respira” è la storia di Michaela, che affronta la malattia del marito Gerard, un uomo che considera il suo solo punto di riferimento.

La malatta giunge repentinamente a deviare il corso della vita di Gerard, che in poche settimane si indebolisce e diviene preda dei farmaci, sempre più perduto nelle nebbie degli oppiacei che rendono sopportabile il dolore. Una brutta copia di se stesso che perde ogni giorno memoria di sé.

Michaela è impreparata ad affrontare il calvario della malattia ma sa che la morte presto prenderà Gerard con sé. Michaela teme per Gerard, ma teme anche per se stessa, consapevole che non potrà vivere senza il marito. La sua è una sconfitta annunciata. La sua preghiera è tanto accorata quanto inefficace contro il male che attanaglia Gerard e che lo stordisce e lo allontana sempre più dalla vita.

Michaela è succube del vertiginoso declino della salute di Gerard. E quando l’inevitabile accade precipita in una spirale sempre più stretta. La sua vita perde il baricentro e sbanda pericolosamente, attratta dall’idea di seguire Gerard, in una sorte di ottusa forma di fedeltà assoluta al matrimonio e alla sua condizione di moglie. Voler morire. E al tempo stesso aggrapparsi all’idea che Gerard sia da qualche parte, che possa vederla, finanche toccarla.

La discesa nella follia di Michala sembra inevitabile. Eppure la vita sa riprendere i propri spazi.

“Respira” è un’opera mastodontica sulla morte e sul lutto, scritta con una mano lucida e impietosa, che riesce a toccare tutti i punti più sensibili che la morte lascia scoperti su di noi.

La paura di non poter affrontare un evento che è inevitabile. Il dolore folle di lasciare chi amiamo ma anche l’egoismo insensato di dover fare a meno di chi abbiamo da sempre al nostro fianco. Una sorta di tradimento, che la coppia si fa a vicenda: chi muore tradisce andandosene prima del tempo. Chi resta tradisce non morendo, rimanendo in vita.

Jyoce Carol Oates dimostra, una volta di più l’inesauribilità della sua vena narrante. Una penna illuminata, infallibile, che trova da dire su qualsiasi argomento, anche il più complesso. Che scandaglia da ogni angolatura possibile, dando voce a tutto lo spettro di sentimenti che questo scatena in noi. Martellante senza essere insistente. Impietosa senza essere inopportuna. Forte, cruciale, una lama affilata che però è tenera e conciliante, e trova il modo di perdonare l’uomo e le sue aberrazioni.

Un romanzo non semplice da leggere. Ma una indubbia fonte di riflessione sul fine vita, sulla perdita e sul significato della nostra esistenza.


L’autrice

Joyce Carol Oates ha ricevuto numerosi importanti riconoscimenti, tra i quali ricordiamo: la National Medal of Humanities, il National Book Critics Circle Ivan Sandrof Lifetime Achievement Award, il National Book Award e il PEN/Malamud Award for Excellence in Short Fiction. Autrice enormemente prolifica, ha scritto alcune delle opere più significative del nostro tempo. Per La nave di Teseo ha pubblicato Ho fatto la spia (2020), Pericoli di un viaggio nel tempo (2021), La notte, il sonno, la morte, e le stelle (2021), L’altra te (2022) e le nuove edizioni di Una brava ragazza (2020), La figlia dello straniero (2020), Blonde (2021) e Sorella, mio unico amore (2022). Ha insegnato alla Princeton University ed è membro dell’American Academy of Arts and Letters dal 1978.


  • Casa Editrice: La Nave di Teseo
  • Collana: Oceani
  • Traduzione: Carlo Prosperi
  • Genere: narrativa straniera
  • Pagine: 423

ANGELIQUE di Guillaume Musso

Pensavo ingenuamente che soltanto il mio primo delitto mi sarebbe costato davvero. Un delitto che mi aveva proiettata nel mondo degli assassini, i quali, se dovevano uccidere di nuovo, si limitavano ad aggiungere un’altra pagina all’albo d’oro delle loro vittime. E’ chiaro che non è così semplice. Ma non ho scelta. Ho sospinto una prima pedina che ne ha trascinate altre dieci nella sua caduta. Per restare padrona del mio destino, devo uccidere ancora.


Trama

Parigi, Natale 2021.
Dopo un infarto, Mathias Taillefer si sveglia in una stanza d’ospedale. Una ragazza sconosciuta è al suo capezzale. È Louise Collange, una studentessa che suona il violoncello per allietare i pazienti in corsia. Quando Louise scopre che Mathias è un poliziotto, gli chiede di occuparsi di un caso molto particolare che la riguarda da vicino. All’inizio riluttante, Mathias accetta infine di aiutarla, e presto i due si ritroveranno uniti in una spirale che si stringe pericolosamente intorno a loro.
Inizia così un’indagine mozzafiato che parte da Parigi e arriva a Venezia, sulle tracce di un mistero che porta a una vita segreta, a un amore forse sfiorato, a un luogo desiderato ma non ancora raggiunto.
Il nuovo romanzo di Guillaume Musso – intenso, sorprendente, eccitante – è un labirinto di emozioni in cui ogni pagina mette in discussione le nostre stesse certezze.


Recensione

Aprire le pagine di un libro e spalancare un mondo intero. Un mondo di cui lui, Guillaume Musso,  è il burattinaio. L’orchestrante, il mentore, colui che guida con mani sapienti una trama caleidoscopica e piena di sorprese.

Non si smentisce, Musso. Torna con il suo cilindro, dal quale estrae una trama meravigliosamente congegnata, che mescola, come solo lui sa fare, mistero, suspense, intrighi. Una trama circolare, che dipana le sue appendici mano a mano che la lettura procede, alla stessa stregua di una strada che si spezza in tante traiettorie, ognuna con una sua genesi e un suo scopo.

Ormai saprete che Guillaume Musso è uno dei miei scrittori preferiti. Le sue storie mi inghiottono immediatamente in un budello lungo e tortuoso, buio, misterioso, sconosciuto. Come una musica che si infittisce e aumenta in un crescendo di note, i suoi racconti partono con grande slancio e ti soggiogano completamente. Tutto prosegue con un ritmo che cresce, si fa più insistente, e si espande, concedendo ogni tanto delle pause di quiete, che si dissolvono quasi immediatamente per riprendere la sua corsa.

In Angélique sono molti i protagonisti. Ognuno ha un suo piccolo palcoscenico e recita un copione che appare slegato a quello degli altri personaggi. Il nesso c’è, è chiaro. Ma qual è? E perché? Chi, tra i protagonisti, non è ciò che dice di essere?

C’è un ex poliziotto, con un passato oscuro che non riesce a dimenticare e un amore che gli tormenta l’anima. C’è un’adolescente, che pensa di essere stata ingannata. Una etoile della danza, che non sopporta di aver perso la notorietà ed il successo. Un’infermiera ambiziosa e senza scrupoli. Una donna che ha mentito. Un uomo che muore. Una madre tradita che cerca vendetta.

Ognuno ha un suo segreto, talmente forte da condizionare le sue scelte di vita.

E poi, c’è Parigi, in grande spolvero, che rinuncia alle sua grandezza ma si concentra nelle prospettive dei suoi vicoli e delle sue finestre . Come anche Venezia, attanagliata dall’alta marea, lugubre, spaventosa e ancora più ipnotica e attraente, che si spoglia della sua immagine da cartolina.

La prosa di Guillaume Musso è una boccata d’ossigeno. Scivola leggera, facendo a meno di ogni sensazionalismo ma mantenendosi semplice, quasi scarna e cedendo persino alla cronaca giornalistica un po’ del suo scintillio. E un’ulteriore concessione la fa alle immagini: nel libro sono presenti anche delle illustrazioni tra le pagine, stilizzate ma molto evocative.

L’immagine dell’essere umano che esce dalle pagine di Musso è un collage di emozioni non sempre positive. Uomini e donne che spesso mettono davanti a tutto le loro mire e i loro sordidi desideri. Esseri manipolatori che volgono a loro favore le pieghe inaspettate di un destino spesso beffardo. Musso è il maestro delle coincidenze, che utilizza con garbo per infittire i suoi misteri. Ma è anche l’uomo, l’artista, che cede alle lusinghe del cuore e difficilmente ci negherà un finale che, seppur tra qualche incertezza,  ci faccia tirare un sospiro di sollievo.

Anche in questo suo ultimo romanzo Musso si diverte a confondere le carte, lanciando al lettore un messaggio criptico, concedendo al caso, al destino, la mano  più generosa. Perché possa giocarsela nel modo più consono. In fondo siamo tutti appesi al filo della casualità. Un attimo, e il nostro destino è segnato ed irreversibile.

Musso sembra volerci dire che la nostra vita, più che delle nostre scelte, è frutto del caso. Un’interpretazione che dà la misura della forza che questo talentuoso autore attribuisce al destino, che, almeno nelle trame dei suoi romanzi, è determinante.

Insomma, per me è un enorme si. Un romanzo che mi riporta ai primissimi lavori di questo prolifico autore, quando, sconosciuto e alle prime armi, si affacciava sulla scena e la cambiava per sempre.

Musso, in realtà, non ha mai perso il suo tocco nel tempo. Le sue opere mantengono anno dopo anno il loro fulgore, ad indicare una mente ed un cuore che non hanno ancora trovato, se mai esiste, il fondo del pozzo.

Circostanza che mi riempie di gioia. Guillaume, sto già aspettando.


L’autore

Romanzo dopo romanzo, Guillaume Musso ha costruito un legame unico con i suoi lettori. Nato ad Antibes nel 1974, ha iniziato a scrivere dopo gli studi e non si è più fermato, nemmeno quando è diventato professore di Economia. I suoi libri, tradotti in 40 lingue, e più volte adattati per il cinema, lo hanno consacrato come uno dei più importanti scrittori di noir. Presso La nave di Teseo ha pubblicato La ragazza di Brooklyn, Un appartamento a Parigi, La ragazza e la notte, La vita segreta degli scrittori, L’istante presente, E poi…, Salvami, La vita è un romanzo e La sconosciuta della Senna.


  • Casa Editrice: La Nave di Teseo
  • Collana: Oceani
  • Traduzione: Sergio Arecco
  • Genere: noir
  • Pagine: 268

Patricia Highsmith – diari e taccuini 1941-1995

22 settembre 1950: Sono tollerabilmente felice. Eppure non vivo ancora, vivo solo nel pensiero che la vita sarà di più: più piacevole, più gratificante, più bella nel prossimo futuro. Naturalmente, è tutto legato alla soddisfazione emotiva. Se Kathryn non esistesse, dovrei contemplare l’idea di cercare quella soddisfazione a New York., Ma ora so anche che nessuno mi colpisce più profondamente, nessuno ha radici in me come Kathryn.

Considerata per tutta la vita la regina del mystery, Patricia Highsmith è oggi riconosciuta come “una delle più grandi scrittrici moderniste” (Gore Vidal). Amata dai lettori di tutto il mondo, la Highsmith non ha mai autorizzato una propria biografia, lasciando fino alla fine i lettori, dal suo ritiro in Svizzera, all’oscuro delle vere ragioni dei turbamenti che si intravedono nella sua scrittura. Soltanto nel 1995, mesi dopo la sua scomparsa, l’editor Anna von Planta ha ritrovato in un cassetto i diari e taccuini dell’autrice: un patrimonio di oltre ottomila pagine manoscritte, che aiutano a scoprire il mondo segreto nascosto dietro alle sue pagine leggendarie.
A partire dagli anni giovanili al Barnard College, nel 1941, Patricia Highsmith tiene costantemente un diario delle sue giornate, e appunta su numerosi taccuini idee e spunti per le sue storie. Questo volume organizza e presenta per la prima volta questi testi, preziosi per cogliere l’intreccio fatale tra la vita privata dell’autrice e il suo immaginario letterario.
La giovane Pat si scatena nei bar del Greenwich Village degli anni quaranta, grazie a Truman Capote frequenta Flannery O’Connor nella colonia di artisti di Yaddo, ma già davanti ai primi successi (come il romanzo Sconosciuti in treno, pubblicato nel 1950 e presto adattato da Alfred Hitchcock per il cinema) una domanda la tormenta: “Qual è la vita che ho scelto?”. Una libertà di pensiero e scrittura che si scontra con il bigottismo dell’America di McCarthy, costringendola a pubblicare sotto pseudonimo il suo capolavoro Carol, che pure riceverà una straordinaria accoglienza commerciale. In cerca di sollievo dal provincialismo degli Stati Uniti, la Highsmith gira l’Europa con le sue inseparabili sigarette fino ad approdare in Italia, a Positano. Qui, rivelano i suoi appunti, nasce il personaggio che l’avrebbe consacrata, l’antieroe affascinante e pericoloso Tom Ripley.

Per cinquant’anni Patricia Highsmith ha raccontato la sua vita turbolenta nei diari e taccuini: un’autobiografia irrituale e fedelissima, la cronaca della ribellione di una donna contro le convenzioni, e del percorso luminoso di una scrittrice verso l’olimpo della letteratura.

I miei pensieri

“Non farti spaventare dalle dimensioni”, mi sono detta più volte. Eppure, farsi prendere dal panico davanti ad un tomo di oltre mille pagine credo sia legittimo e comprensibile.

Ma. Il privilegio di leggere dei diari è indubbiamente un buon motivo per affrontare la lettura.

Ma. Sbirciare nell’intimo della vita di questa enorme autrice è cosa davvero irresistibile.

E così ho iniziato. Il libro è così voluminoso che sembra di tenere sul tavolo un dizionario. Leggi bene solo quando sei a metà, quando le pagine si aprono perfettamente al centro, come le acque del Mar Rosso davanti a Mosè in persona. All’inizio e alla fine, invece, il baricentro si sposta sensibilmente e occorre una mano a tenere fermo il tomo, pena perdere il segno.

Ed ecco che giunge l’inatteso: la lettura vola via, la pagine si sfogliano da sole, come mosse da una piacevole brezza.

Una lettura intima, rivolta a se stessa, che copre un periodo lunghissimo, che va dal 1941 al 1995.

Diciotto diari, intimi e pieni zeppi di riflessioni, alcune secche e serafiche ma enormemente efficaci, nel loro significato immediato. Trentotto taccuini, inderogabilmente scritti su quaderni a spirale della Columbia University, contenenti testi di viaggio, riflessioni su svariati temi letterari e politici, idee sull’arte, sulla scrittura e sulla pittura, appunti, commenti.

Ottomila pagine manoscritte, che furono scoperte per caso dopo la sua morte e che aiutano a comprendere l’essenza di questa leggendaria autrice e ad azzardare una spiegazione dei suoi turbamenti, che ben si intravedono dalle sue pagine.

Con i diari di Pat si apre un cono di luce anche su un’epoca, che ha visto disastri e guerre ma che ha segnato anche alcune importanti rivincite dei diritti civili, uno su tutti quello di poter affermare la propria identità sessuale. Con un’ampio spettro geopolitico, che travalica l’America per giungere fino in Europa.

Pat viaggiò molto, forse anche alla ricerca di un luogo in cui potersi riconoscere. L’America ad un certo punto della sua vita la respinse, perché troppo corrotta da molteplici cancri, uno su tutti quello del razzismo. Pat si rifugia in Europa, toccando vari paesi (tra cui anche l’Italia) per poi finire il suo vagabondare in Svizzera.

La lettura scorre, dicevo. Forse proprio perché secca, senza abbellimenti. Notizie scarne ed essenziali sulle sue giornate, in cui l’umore si diverte a salire in un lampo per poi scendere a picco, nella desolazione più totale. Giorni della sua giovinezza, quando il genio fa capolino a lasciarle intravedere la via dell’arte come salvezza. Il lavoro, duro e intransigente. La ricerca di una perfezione artistica che si estrinseca nella pittura prima e nella scrittura poi. Giorni segnati dalla fame di trovare il proprio io e dalla necessità di amare profondamente, persa in un turbine di sensazioni e di stordimento.

Pat è omosessuale e ha tante relazioni, alcune delle quali la lasciano stremata. Ma vive ed ama intensamente, persa nel bisogno spasmodico di innamorarsi.

Non sono epoche facili per amare così disordinatamente. Pat elabora molti pensieri e riflessioni sul tema. Sulla sessualità, sul matrimonio, sugli uomini e sulle donne della sua vita, sulla religione e sulla morale.  Niente sembra fermarla, eppure sarà costretta ad utilizzare uno pseudonimo quando pubblicherà “Carol”, un romanzo incentrato su un amore gay. Eppure la sua ribellione sarà costante, mai in chiaroscuro, ma sempre esasperata e ostentata, negli anni che videro gli attivisti scagliarsi contro l’anacronistica morale che soffocava ancora la mente e il cuore di molte persone.

Con “Due sconosciuti in treno”, arriva il successo. Mentre proseguono i suoi vagabondaggi, costantemente caratterizzati dall’enormità delle sue emozioni e dei suoi pensieri, spesso eccessivi, ma sempre fortemente caratterizzati dalla ricerca continua di un suo equilibrio, che forse non raggiungerà mai ma che probabilmente è la miccia che accende la genialità delle sue opere.

Per Pat la scrittura arriva a sostituire la vita che non può vivere. In bilico tra follia e disamore, tra esaltazione e depressione, tra estasi amorosa e rovinosa caduta nella delusione d’amore.

Tra l’amore per le donne, così frizzanti e belle e quello per gli uomini, più ordinario ma foriero di quell’accettazione sociale che probabilmente non avrà mai.

Pat, che ha avuto una madre ingombrante, che non ha mai accettato del tutto la sua omosessualità. E che raggiunge in poco tempo una chiarezza letteraria che la consacrerà nell’olimpo dei più grandi scrittori.

Pat, capace di elaborare trame millimetriche e incredibilmente dotata di una chiarezza interiore e di una capacità di sintesi incredibile, quella che le fa scrivere decine e decine di massime, di aforismi, di battute. Idee, commenti, considerazioni, pensieri così illuminati da costituire brevi sentenze, intelligenti precetti che meritano di essere imparati a memoria e che ho già iniziato a trascrivere per ricordarli.

Pat sembra entrare dritta nel cuore di moltissime questioni attuali, con grande chiarezza di pensiero. E questo è uno dei motivi per i quali ho trovato questa lettura assolutamente illuminante.

Credo che a questo punto sia inevitabile voler sapere di più su Patricia Highsmith, a cominciare dai suoi romanzi. Capolavori come “Due sconosciuti in treno” , “Carol”, “Vicolo cieco” “Il talento di mister Ripley” e molti altri, sono stati rieditati recentemente e sono tuttora in corso di riedizione da La Nave di Teseo. Sono opere senza tempo, thriller psicologici meravigliosamente congegnati e che non smettono mai di elettrizzare il pubblico, rimanendo immutati nel suo ricordo.

L’autrice

Patricia Highsmith è nata a Fort Worth, in Texas, nel 1921; ha trascorso la maggior parte della sua vita in Francia e Svizzera, dove è morta nel 1995. Nel 1955 compare il suo personaggio più famoso, Tom Ripley, protagonista della fortunata serie – Il talento di Mr. RipleyIl sepolto vivoL’amico americanoIl ragazzo di Tom Ripley e Ripley sott’acqua – che ha ispirato grandi registi, da Wim Wenders (L’amico americano) a Anthony Minghella (Il talento di Mr. Ripley) a Liliana Cavani (Il gioco di Ripley). Nel 1963 Patricia Highsmith si trasferisce definitivamente in Europa, dove da sempre i suoi libri ricevono un’accoglienza entusiasta. Tra i suoi romanzi e le sue raccolte di racconti, ricordiamo Vicolo ciecoAcque profondeGioco per la vitaQuella dolce folliaIl grido della civettaUrla d’amorePiccoli racconti di misoginiaDelitti bestialiIl diario di EdithLa follia delle sirene. Dal romanzo Carol è stato tratto il film di Todd Haynes con Cate Blanchett e Rooney Mara, mentre da Acque profonde Adrian Lyne ha tratto un film con Ben Affleck e Ana de Armas. Tutta la sua opera è in corso di pubblicazione in una nuova edizione presso La nave di Teseo.


  • Casa Editrice: La Nave di Teseo
  • Collana: Oceani
  • Traduzione: Viola Di Grado

IL CASO ALASKA SANDERS

“In tutti noi c’è un gabbiano, la tentazione di cedere a una facile poltroneria. Ricordati di combatterla sempre, Marcus. La maggior parte dell’umanità è gregaria, ma tu sei diverso. Perché sei uno scrittore. E gli scrittori sono esseri a parte. Non dimenticarlo mai”.


Trama

Aprile 1999. Mount Pleasant, una tranquilla cittadina del New Hampshire, è sconvolta da un omicidio. Il corpo di una giovane donna, Alaska Sanders, viene trovato in riva a un lago. L’inchiesta è rapidamente chiusa, la polizia ottiene la confessione del colpevole, che si uccide subito dopo, e del suo complice. Undici anni più tardi, però, il caso si riapre. Il sergente Perry Gahalowood, che all’epoca si era occupato delle indagini, riceve un’inquietante lettera anonima. E se avesse seguito una falsa pista?

L’aiuto del suo amico scrittore Marcus Goldman, che ha appena ottenuto un enorme successo con il romanzo La verità sul caso Harry Quebert, ispirato dalla loro comune esperienza con un altro crimine, sarà ancora una volta fondamentale per scoprire la verità. Ma c’è un mistero nel mistero: la scomparsa di Harry Quebert. I fantasmi del passato ritornano e, fra di essi, quello di Harry Quebert.


Recensione

A certe fascinazioni è davvero impossibile poter resistere. Ci attirano a sé, come in una trappola, dove ci si lascia cadere, impauriti eppure eccitati e impazienti di tornare e provare sulla pelle quell’emozione che ci ha già soggiogati.

Il nuovo romanzo di Joel Dicker, uscito in Italia pochi giorni fa, sembra aver prodotto un simile incantesimo sul pubblico dei lettori. Attesissimo, sia l’autore che la sua nuovissima opera, ha fatto registrare in record di presenze al Salone Internazionale del Libro di Torino, dove, sabato 21 maggio, ha presentato e autografato “Il caso Alaska Sanders”.

Idealmente il seguito de La verità sul caso Harry Quebert, uscito nel 2013, il nuovo libro richiama (anch’esso), già a partire dal titolo, un’indagine di polizia, e replica nei lettori l’aspettativa di una lettura coinvolgente e irripetibile. Un’aspettativa che non verrà delusa, perché il romanzo, un tomo di oltre 600 pagine, si permette il lusso di non scoraggiare nessuno e, al contrario, di regalare un’esperienza di lettura piena ed esaltante.

Il protagonista, Marcus Goldman, ritorna, con la sua vita tormentata, in cui il successo sembra sottrarre lo spazio vitale all’ amore, che latita, come se non potessero coesistere. E torna anche il sergente Perry Gahalowwod, che si occupò, giusto due anni prima, del caso di Harry Quebert. Una coppia azzeccatissima, accumunata da un desiderio feroce di verità e tenuta insieme da una miscela di buoni sentimenti. Con loro, le atmosfere sonnolente della provincia americana, dove il male sembra convergere senza scampo, nonostante la quiete che sembra pervadere quei luoghi.

Un omicidio che sembra risolto e che invece viene rimesso in discussione. Vecchie ferite mai rimarginate e un innocente che sconta per un reato che probabilmente non ha commesso. La verità, che si cela dietro mille apparenze e che costringe Marcus e Perry dentro le spire di un’indagine complicata e avvincente. Una vittima e un carnefice. Una vita che nasconde un’ombra e un assassino che potrebbe essere chiunque.

Chi ha ucciso Alaska? E chi era veramente?

Joel Dicker possiede il dono di una prosa ipnotica, accattivante, un fiume che accoglie molti affluenti, ognuno con la sua storia. Capace di saltare con agilità tra un’epoca e l’altra, di innestare nella storia principale mille altre storie, che nascono e muoiono nello spazio di poche pagine, senza che il lettore perda il filo della narrazione. Capace di gettare i semi di molte altri racconti, che germogliano spontaneamente ad arricchire una trama già di per sé traboccante di meraviglia, incanto e intreccio sublime e attraente.

Una prosa fluida, che accompagna alla meta qualunque lettore, poiché è davvero impossibile che non ci si lasci cullare dal suo fraseggio, dalle sue lusinghe, dalle moine di un racconto che sembra esistere solo per seminare il dubbio e con questo legarti a sé, fino alla fine.

E’ innegabile che il successo di Dicker risieda anche nell’essenza vitale del suo protagonista. Marcus Goldman suscita nel lettore l’empatia più pura e salda ed è, a tutti gli effetti, l’alter ego del suo creatore. Joel e Marcus hanno un’esistenza speculare. Entrambi scrittori, entrambi padri degli stessi romanzi che Joel scrive nella realtà e Marcus nella finzione.

Insomma, ecco che in questa geniale e conturbante confusione, entrambi ottengono un enorme successo, da poter condividere senza recriminazioni.

Non si dire in quale anfratto Dicker abbia nascosto la ricetta che utilizza per la sua scrittura. E se, nelle pieghe del suo affascinante sorriso nasconda un incantesimo che getta sul lettore, per legarlo alle abbacinanti volute delle sue trame. Cosa sogni quando dorme e cosa pensi quando è sveglio. Come ottenga l’idea che illumina una traccia. Come la sviluppi. Come pieghi ai suoi voleri i capricci di una trama che sembra nascere dalla una penna dotata di vita propria. Come nasca un successo, come si alimenti, come si mantenga in salute e in vita. Di certo so che tutti questi segreti sono ormai appannaggio di questo meraviglioso autore, il cui nome evoca in un attimo l’estasi di una lettura che ci avvolge, ci prende per mano e ci conduce in un mondo irreale, dove si muove il suo replicante, parimenti affascinante e irresistibile.

Non posso che indurvi a prendere questo romanzo, aprirne le pagine, abitarle, viverle, sognarle. Come ogni cosa bella, la lettura sarà troppo breve, molto intensa e immensamente gratificante. E a lettura finita, la certezza di voler leggere ancora, e ancora. E l’attesa, che sarà inevitabile. Per tornare da Marcus, ancora.


L’autore

Joël Dicker è nato a Ginevra nel 1985. I suoi romanzi sono tradotti in 40 lingue e hanno venduto più di dieci milioni di copie. Ha pubblicato La verità sul caso Harry Quebert (2013), Gli ultimi giorni dei nostri padri (2015), Il libro dei Baltimore (2016), La scomparsa di Stephanie Mailer (2018), L’enigma della camera 622 (2020), Il caso Alaska Sanders (2022). Ha ricevuto il Prix des écrivains genevois 2010, il Grand prix du roman de l’Académie Française 2012 e il Prix Goncourt des Lycéens 2012.


  • Casa Editrice: La Nave di Teseo
  • Collana: Oceani
  • Traduzione: Milena Zemira Ciccimarra
  • Genere: thriller
  • Pagine: 607

MAGNIFICA CREATURA di Antonella Boralevi

Guardavo e mi rendevo conto che l’universo dove avevamo abitato fino ad allora noi Valiani era invecchiato di colpo, disintegrato da quella musica che spaccava i timpani, dai liquidi colorati dentro ai bicchieri, dai balli sfrenati, dallo sfarzo, dallo sfoggio, da quella mania di fare, costruire, creare, inventare. Tutto nuovo, tutto moderno, come era nuova e moderna la casa che mia sorella aveva saputo escogitare. Tutto vibrava di energia, quella sera, nell’attico e superattico sospeso dentro un cielo di velluto. Non era una casa che si inaugurava, era una società appena nata che trovava il suo posto. E al centro, come sempre, c’era Ottavia.

Trama

Toscana, 1951. Luminosa e spavalda, Ottavia si sposa per il rotto della cuffia per evitare il marchio di zitella. Verdiana la spia dall’ombra, mangiata di invidia e di solitudine. Sono due sorelle, ma sono due opposti. Una sembra vincere tutto, l’altra non riuscire ad afferrare nulla. La loro grande famiglia, i Conti Valiani, cresciuti nel privilegio, ora incontra gli arricchiti Salvadori, che abitano la fatica di chi si è fatto da solo. Nell’Italia del boom, che ha voglia di entusiasmo e normalità, c’è una morale pubblica e ci sono i peccati privati. Cesare, il marito di Ottavia, non resiste a esibire le proprie libertà alla moglie, mentre lei, impeccabile e radiosa nel vortice delle feste, delle Prime, della scalata al successo, continua a portare con sé il ricordo di un grande amore perduto. Con l’arrivo di Verdiana al Palazzo di San Miniato le apparenze non si possono più salvare, e il gioco si farà sempre più feroce.

Il vento nuovo degli anni Sessanta, che nasce tra balli scatenati e idee impegnate, travolge tutti come la grande alluvione del 1966 a Firenze. Ma ogni tempesta porta con sé una seconda possibilità, il momento di scoprire la magnifica creatura che è nascosta in ognuno di noi e chiede solo di essere ascoltata.

Un romanzo che parla al cuore. Due vite intrecciate, tra amori che non finiscono e desideri irresistibili, in un paese che ricomincia a sognare. Quando arriva una seconda occasione, siamo pronti a riconoscerla?


Recensione

Una è il sole. L’altra l’ombra. Una è luce, l’altra buio.

Ottavia, splendente, volitiva, una stella che brilla e illumina tutto ciò su cui posa il suo sguardo. Bella, intelligente, sicura di sé. Certa di piacere e nata per compiacere.

Verdiana, scialba, grigia, consapevole di essere insignificante. Nata e cresciuta all’ombra di Ottavia, che acceca chiunque la guardi. Che crea ordine e perfezione dove c’era caos. Che rende succubi del suo fascino chiunque la guardi. Verdiana, seconda anche nelle attenzione del padre. Che cresce crogiolandosi nella sua invisibilità, costretta sua malgrado ad assistere ai continui successi di Ottavia.

Sono sorelle e sono nobili. Piccole principesse in un’epoca che affonda le sue radici nella povertà, nell’orrore della guerra, alla quale assistono impotenti e che cancella con un colpo improvviso di spugna sogni e speranza della giovinezza. Complici ma anche nemiche. Vicine ma corrose da una competizione sempre più accesa e infida.

Ottavia calpesta tutto e tutti per inseguire la felicità. Verdiana assiste alla sua scalata verso il successo come una spettatrice invidiosa, presa a cogliere in fallo la sorella per accaparrarsi una fettina di felicità e un po’ di attenzione.

Siamo nel 1951, la guerra è ormai quasi dimenticata. Ottavia si sposa con un parvenu , rozzo, insulso e bruttino. Le nozze servono per allontanare lo spauracchio del nubilato, una condizione abominevole per una donna. Negli anni cinquanta ci si sposa per avere una voce, seppur fievole, nella società. Ci sposa e si affronta con stoicismo lo spauracchio dell’infelicità. Ma Ottavia è una stella che non muore. Ottavia è un animale che si adatta al destino che gli tocca. Si ambienta e riesce a trarne vantaggio. Non smette di ammaliare, anzi, accresce il suo fascino e ostenta il successo.

Verdiana invece appassisce e si innamora dell’uomo sbagliato. Si concede gioie fugaci e aberranti  e finisce per soccombere e per crogiolarsi nella sua mediocrità. E’ una vipera che morde per difendersi ma che perisce del suo stesso veleno. Una vita piatta, banale e inutile. Invisa da tutti, invecchia intrappolata nella sua perfidia e nella sua iniquità.

Intorno a loro c’è l’Italia del dopoguerra.  Gli anni della rinascita, del boom economico. Delle automobili, del frigorifero, del boogie woogie, dei primi timidi accenni di un femminismo che si svilupperà a pieno titolo solo più avanti.

Gli anni in cui tutto diventa possibile. Anni intrisi di ottimismo, di voglia di fare, di desiderio di felicità e di passioni da liberare, senza filtri né freni inibitori. Anni in cui Ottavia fiorisce e Verdiana perisce. Ma la sorte ha un asso nella manica e a volte sovverte un destino che sembra segnato. Ci saranno vecchi e nuovi amori, passioni smodate e scomode. Fughe, ritorni. E nascondersi, per poi scoprirsi. Crescere, cambiare, aprire gli occhi. E concedersi il lusso di soccombere, di fallire. Di tornare al punto di partenza. Di lasciare andare. Di rimediare e di rinascere. E magari anche perdonare il torto più grande. E ricominciare a vivere.

Antonella Boralevi si conferma artefice di una storia che toglie il fiato e il sonno. Deliziosamente incastonata in un’epoca recente seppur lontanissima dal nostro presente, la storia della famiglia Valiani è un gioiello narrativo senza pecche, capace di far volare il lettore e di catapultarlo in una storia vivida, appassionata e meravigliosamente caratterizzata.

E’ ancora Verdiana che tiene in mano le redini della narrazione e che ci regala un punto di vista insolito, quello della sorella sfortunata, che subisce gli sgambetti di un destino che l’ha vista nascere e crescere in un cono d’ombra. Ed è ancora lei che scava nella sua memoria e ricostruisce gli anni della rinascita e del riscatto con un ritratto vivido e ammaliante.

La prosa, impeccabile e prodiga di colpi di scena, regala un affaccio privilegiato sugli umori e le speranze delle donne e degli uomini degli anni ruggenti. Le prime ancora vittime di un ruolo che inizierà via via a stare loro sempre più stretto. I secondi attaccati ad un’ideale distorto di virilità e ad un’immagine di donna che si sta progressivamente sgretolando.

Antonella Boralevi riesce nell’impresa di prendere il meglio da tutti i suoi protagonisti, nonostante alcuni di loro abbiano un contegno discutibile. Ed estrapola il meglio anche dalla nostra Italia, fulgida e intraprendente nell’epoca che più di tutte l’ha vista brillare.

Non mi rimane che chiedermi chi sia la meravigliosa creatura alla quale la Boralevi allude nel titolo di questo secondo capitolo della saga dei Valiani. Ottavia, con la sua aura di perfezione e stupore? Verdiana, che sopporta l’amarezza di una vita vissuta ai margini della storia? L’Italia, che risorge fulgida dalle macerie della guerra? O forse Diomira e Ida, nate serve e divenute donne consapevoli e realizzate?

Ecco, io penso che la magnifica creatura siamo noi. Noi che non ci arrendiamo, che crediamo ancora nel potere salvifico della lettura, che rileggiamo la nostra Storia per trarne una lezione e per migliorare il domani. Noi, che sappiamo ancora immaginare, che preferiamo la parola scritta alle immagini preconfezionate. Noi che ci concediamo di sognare a occhi aperti. Noi che leggiamo una storia tessuta da chi ha mantenuto la voglia di narrare e di stupire. Una storia incantevole che è parte della Storia.


L’autrice

Antonella Boralevi è autrice di romanzi, racconti, sceneggiature, saggi. Ha portato in televisione il talk show di approfondimento emotivo. Tiene rubriche su quotidiani e settimanali. Il suo Lato Boralevi esce ogni giorno sul sito della “Stampa”. Commenta su “Huffington Post”. Tra i suoi romanzi, Prima che il vento (2004), Il lato luminoso (2007), I baci di una notte (2013), Chiedi alla notte (2019), La bambina nel buio (nuova edizione La nave di Teseo, 2019). Con Tutto il sole che c’è (La nave di Teseo, 2021) ha creato una saga di grande successo. È tradotta in Germania, Francia, Giappone, Russia. Magnifica creatura è il suo ventitreesimo libro.  


  • Casa Editrice: La Nave di Teseo
  • Collana: Oceani
  • Genere: narrativa italiana
  • Pagine: 476

LA SCONOSCIUTA DELLA SENNA di Guillaume Musso

 
Buongiorno Marc. E’ Catherine Aumonier, direttrice aggiunta dell’infermeria della prefettura di polizia. Ti chiamo per un parere su un caso piuttosto strano. Ieri abbiamo ricoverato una giovane donna, totalmente amnesica, che la Brigade Fluviale ha ripescato nella Senna. Dal momento che non ho la tua email, ti mando il suo fascicolo via fax. Richiamami per dirmi se la conosci. A dopo”.

Trama

A Parigi, in una notte nebbiosa, qualche giorno prima di Natale, una ragazza viene salvata dalle acque della Senna. È nuda, non ricorda nulla, ma è ancora viva. La donna misteriosa viene accompagnata al pronto soccorso, ma riesce a scappare e a far perdere le proprie tracce. Gli esami del DNA rivelano la sua identità: è la pianista Milena Bergman. Ma qualcosa non torna, perché la famosa musicista risulta morta in un incidente aereo più di un anno prima. È una indagine per l’ufficio affari non convenzionali della polizia di Parigi, l’occasione che Roxane, un’ispettrice messa in disparte dai suoi capi, aspettava per prendersi la rivincita che merita. Quando la sua inchiesta intreccia il destino dello scrittore Raphaël Batailley, l’ex fidanzato di Milena, i due si trovano catapultati in un enigma inquietante: è possibile essere al tempo stesso vivi e morti?

Il nuovo romanzo di Guillaume Musso è un noir a perdifiato sulle tracce di una donna misteriosa, e dei segreti che la sua vita porta con sé.


Recensione

Dove c’è un mistero che si mostra impossibile da sciogliere, c’è Guillaume Musso.

Non è uno slogan, questo, ma una sorta di marchio di fabbrica per l’autore francese più letto al mondo.

Guillaume Musso si è conquistato,  a suon di successi editoriali, un posto di prim’ordine tra i lettori di noir. I suoi libri incontrano da sempre i favori del pubblico per la sua straordinaria capacità di costruire storie incredibili, dove il mistero diventa il motore principale e trasforma le sue trame in vere calamite per chi legge. Misteri impossibili da svelare, che sembrano sfidare tempo e spazio. E dentro al mistero, amori travolgenti o indagini di polizia che sono corse contro il tempo.

La penna di Musso, insomma, è unica. Non si può replicare.

“La sconosciuta della Senna” appare sin dalle prime pagine coerente con ciò che l’autore ci ha abituato a leggere. Una ragazza che sembra far rivivere una affascinante pianista morta in un incidente aereo. Uno scrittore che scrive chiuso tra le mura di una clinica psichiatrica. Una poliziotta in cerca di una nuova opportunità. Un poliziotto in coma, che ha portato via con sé il mistero di alcune morti che sembrano legate tra loro. E Parigi sullo sfondo, con i suoi caffè, i suoi boulevard, le sue soffitte polverose.

Le pagine volano via veloci e la prosa di Guillaume Musso scorre come sabbia in una clessidra. Bella da leggere, suadente, misteriosa. Come un camaleonte, si sposta veloce e sinuosa tra vari registri. Quello colloquiale, quello tipico del poliziesco e quello che appartiene al lato romantico di ognuno di noi.

In un lasso temporale strettissimo (la vicenda si svolge tra il 21 e il 25 dicembre) la storia si dipana, travolgente e inaspettata. Si, perché quella che parte come una storia legata esclusivamente alla ricerca dell’identità della giovane donna ripescata nella Senna, diventa, in realtà, una storia di ben più ampio respiro, che coinvolgerà la vita di diversi personaggi.

Musso controverte, come suo solito, qualsiasi aspettativa del lettore, e lo conduce per mano su territori inaspettati. La continua scoperta che il lettore fa pagina dopo pagina è una spilla che affonda nella carne, tanto incuriosisce e stupisce al tempo stesso.

Durante il meraviglioso viaggio intrapreso tra le pagine di questo romanzo, ci imbattiamo nelle tematiche care all’autore come il rimpianto verso il passato, la morte come passaggio verso altri mondi, l’amore travolgente che fa compiere scelte discutibili e fa cedere all’inganno, il desiderio di riscatto, il doppiogioco di chi sa mostrarsi diverso da ciò che è nella realtà.

Il saper mescolare questi ingredienti per farne un quadro unico, coerente e meraviglioso è tipico di Musso, che anche stavolta non delude le mie aspettative.

Con un taglio più investigativo e poliziesco, Musso costruisce un romanzo che vira verso il thriller, sebbene non abbandoni mai la vena noir che sempre contraddistingue le sue opere.

Il finale mi ha un po’ delusa, in verità. Una chiusura repentina, quasi una resa all’ineffabilità della natura umana, non mi ha permesso di prendere congedo dalla storia narrata come avrei voluto.

La mia sensazione è che l’autore abbia (volutamente?) lasciato qualcosa di incompiuto. Quest’ultimo aspetto ha acceso a mille la mia immaginazione, soprattutto in relazione alla figura della poliziotta, che a un certo punto esce di scena.

Beh … temo che dovrò attendere per sapere qualcosa in più. Almeno fino al prossimo lavoro di questo poliedrico autore, che riesce sempre a stupire il suo pubblico, senza essere ripetitivo o scontato.

Arrivederci a presto, Guillaume….


L’autore

Romanzo dopo romanzo, Guillaume Musso ha costruito un legame unico con i suoi lettori. Nato ad Antibes nel 1974, ha iniziato a scrivere dopo gli studi e non si è più fermato, nemmeno quando è diventato professore di Economia. I suoi libri, tradotti in 40 lingue, e più volte adattati per il cinema, lo hanno consacrato come uno dei più importanti scrittori di noir.


  • Casa Editrice: La Nave di Teseo
  • Collana: Oceani
  • Traduzione: Sergio Arecco
  • Genere: noir
  • Pagine: 322

LA CASA DI ROMA di Pierluigi Battista

 
E siamo stati bene, perché appartenere fa stare bene, e infatti io ce non sento di appartenere ne soffro, e rafforza un sentimento dimenticato ma non del tutto. E ne siamo usciti quasi contenti, malgrado la tristezza infinita della circostanza estrema che ci aveva convocati quel giorno, ricordando una canzone che ci apparteneva. “Chissà se ci pensano ancora, chissà”. Ci pensano, ci pensano.

Trama

Può un romanzo mandare in pezzi un’intera famiglia? Quando Marco, un giovane sceneggiatore, decide di raccontare in un libro la storia della sua famiglia, non immagina le conseguenze che quelle pagine avranno sui suoi affetti più cari. Ordinando i ricordi della madre e dello zio, Marco insegue i fili della famiglia Grimaldi attraverso una lunga e irrisolta rivalità, quella tra il nonno Emanuele, “fascista antropologico” nato alla vigilia della marcia su Roma, e suo fratello Raimondo, “comunista granitico”, classe 1917 come la Rivoluzione bolscevica. Due fratelli divisi non solo dalle idee politiche, ma anche dalle scelte di vita: Raimondo, professore e partigiano, è amato e benvoluto dalla buona società; Emanuele porta con sé lo stigma dell’adesione alla Repubblica sociale, mentre cerca senza successo di lavorare nel mondo del cinema. Nel dopoguerra i due fratelli, nonostante si detestino, decidono di convivere nella stessa casa romana, Villa Caterina, dove i rispettivi figli crescono giocando insieme nel grande giardino comune. Ma la tensione degli anni Settanta riaccende le divisioni politiche tra i Grimaldi, e come un sortilegio antico la violenza torna a separare i due rami della famiglia. Mentre le ricerche di Marco proseguono, tra le pagine di un romanzo che, forse, non sarà mai scritto, emergono i personaggi, i caratteri, gli scontri, le miserie e le grandezze (se ce ne sono), le ambizioni frustrate, i tradimenti dei Grimaldi: una famiglia alle prese con i dolori, le fratture, le svolte dentro l’Italia degli ultimi decenni. Pierluigi Battista racconta l’avventura di una famiglia che attraversa la storia italiana, e con essa si confronta. Un romanzo emozionante sulla memoria e sull’oblio, sull’ossessione di essere come tutti e sul desiderio di essere se stessi.


Recensione

Un romanzo epistolare, dall’inizio alla fine”. Un romanzo a più voci, le voci di una famiglia borghese italiana che attraversa la storia recente e si lecca le ferite che l’hanno graffiata. A volte una lieve scalfittura,  più fastidiosa che dolorante. A volte un taglio profondo, che ha bisogno dei punti e di un buon cerotto.

Non è vero che si passa indenni dalle traversie della storia. Seppur nella perfezione di una felicità che appare effimera ma altrettanto solida e incorruttibile, gli eventi ci segnano, a fondo. E’ che spesso non ce ne accorgiamo subito, ma solo successivamente. Quando la memoria ritorna a pungolare il ricordo. Quando alcuni accadimenti si risollevano dal loro sedimentare e tornano a galla con nuove verità, nuovi retroscena.

La famiglia Grimaldi è già di per sé una famiglia complicata. Spaccata dall’ideologia politica che ha diviso nettamente i due fratelli Raimondo e Emanuele, l’uno comunista e l’altro fascista. Confusa dalle ramificazioni che ha visto nascere nel tempo, per mezzo dei figli , tre per fratello, e dei nipoti, cinque in tutto.

Una famiglia numerosa, attraversata dalle correnti della vita, sospinta dai venti delle stagioni, frustata dalla pioggia delle scelte fatte nel tempo e strapazzata dalle nubi delle scomparse dalla scena.

A confondere le idee ai Grimaldi, la cui coesione è un baluardo assai debole, sarà Marco, nipote di Emanuele, che insegue l’idea di scrivere un romanzo sulla loro famiglia. Marco ingaggerà i propri parenti, primo fra tutti lo zio Raffaello e la madre Anita, perché gli forniscano il materiale per il suo libro, a condizione che ciò che verrà scritto da l’uno e dall’altra sia condiviso con gli altri, allo scopo di facilitare le memorie di tutti. O forse anche di provocare.

Inizia così uno scambio epistolare tra Marco, la madre, lo zio e alcuni dei cugini. Il lavorio di revisione, di ripensamento, di correzione, il desiderio di aggiungere, limare, convalidare o smentire diventa sempre più pregnante, così come lo sdegno o l’imbarazzo che si viene a creare quando l’uno legge la versione dell’altro dei fatti salienti che hanno caratterizzato la storia della famiglia.

Fantasmi, segreti, gelosie e tradimenti grandi e piccoli vengono alla luce e, insieme a loro, i diversi punti di vista sulla storia recente, che prende le mosse dagli anni del fascismo fino ai giorni nostri passando per la guerra, la ricostruzione, il boom economico, il sessantotto, gli anni di piombo e il presente.

Profondissima la visione storica di Pierluigi Battista, che infonde al romanzo la sua impronta giornalistica e lo dota di un valore storico davvero notevole. La borghesia italiana non passa indenne dalle maglie della storia raccontata per bocca dei Grimaldi. Anzi, soccombe malamente e non può che ammettere la sua sconfitta. Così come è sconfitta l’intera famiglia Grimaldi, incapace di lasciare fuori dalla villa di Roma le gelosie, i fraintendimenti e le divisioni imposte dall’ideologia politica, così pregnante da non poter mai essere sottovalutata o messa da parte. Un’eco, una parola o un atteggiamento si amplificano impietosamente sotto i colpi del tempo. Uno screzio iniquo, una piccola crepa che potrebbe rinsaldarsi con pochissimo sforzo, diventano crateri,  precipizi, trappole mortali nelle quali non c’è posto per nessuna forma di perdono.

La nuove leve Grimaldi non potranno che constatare questa sconfitta e rinunciare alla volontà di ricucire gli strappi, che il tempo trasforma in voragini che non si aggiustano più, attraverso una resa che è  anche la parabola della sconfitta della nostra storia recente, incapace di costruire mura solide sulle spoglie della resa dei  valori politici e sociali  del nostro Paese.

Ma non tutto il male viene per nuocere. Dentro l’acredine dei rimorsi e delle recriminazioni si troverà il tempo e il modo per ripensare, per rivedere e fare pace con le proprie coscienze. Il passato assumerà sfumature pastello, perché è dolce ricordare attraverso gli occhi di chi ci è vissuto accanto.

Con una scrittura forbita, politicamente corretta e piena di virtuosismi, così borghese e così rispecchiante i modi e i tempi della classe media italiana, Pieluigi Battista ci regala un ritratto di ciò che siamo stati e di ciò che abbiamo affidato ai nostri figli, illuminati elaboratori degli eventi del passato. Un ritratto amaro, in cui l’Uomo non rimane indenne da colpe e da bassezze ma che fornisce anche la chiave del perdono.

La storia è il passato, per forza, e per comprenderla non puoi usare soltanto i parametri del presente e schiacciare il passato sulla logica dell’attuale. Certo, bisogna vedere se si tratta di un passato interessante e appassionante, ma questo, lo capisci, è un altro paio di maniche.


L’autore

Pierluigi Battista (Roma, 1955) è inviato e editorialista del «Corriere della Sera», di cui è stato vicedirettore dal 2004 al 2009. Ha lavorato come inviato alla «Stampa» e come condirettore a «Panorama». Per La7 ha condotto il programma «Altra Storia» (2003-2004). Fra i suoi libri ricordiamo: La fine dell’innocenza. Utopia, totalitarismo e comunismo (Padova 2000), Cancellare le tracce. Il caso Grass e il silenzio degli intellettuali italiani dopo il fascismo (Milano 2007), La fine del giorno. Un diario (Milano 2013) e I libri sono pericolosi, perciò li bruciano (Milano 2014), Mio padre era fascista (Milano 2016), A proposito di Marta (2017), Tutta colpa del dottor Zivago (2018), Libri al rogo (2018) e La cultura e la guerra all’intolleranza (2019). La casa di Roma è il suo primo romanzo.


  • Casa Editrice: La Nave di Teseo
  • Collana: Oceani
  • Genere: narrativa italiana
  • Pagine: 292

31 APRILE Il male non muore mai di Giuseppe Cesaro

(Il male) perde ma non muore. Questo è il problema. Rinasce. Sempre. E ogni volta, è più forte di prima. E sa perché? Perché, al contrario del bene, impara dai propri errori. Il bene no: commette sempre gli stessi errore e, alla fine, lascia in vita il suo nemico,  non gli dà mai il colpo di grazia.

Trama

Vera Stark ha quarantacinque anni, una figlia di venticinque, un ex marito che la tormenta ma ha ritrovato l’amore con Alex, un docente di dottrine politiche all’università. Ma Vera è soprattutto una giornalista di razza e ha da poco cominciato un’inchiesta sulla crescita del neonazismo in Germania e, in modo particolare, sul gruppo “31 Aprile”, che vuole riprendere il progetto nazista là dove il Führer lo ha lasciato. Grazie alle sue ricerche e all’aiuto di due anziani antinazisti capisce ben presto che l’orrore non è alle spalle e che qualcosa di strano accade a Villa Redenzione, una casa di cura che nascondeva un tempo un lager. La villa è stata da poco trasformata in un museo da Edna Schein, anziana filantropa, figlia del fondatore di Villa Redenzione, il colonnello delle SS Mäher, processato e giustiziato per i suoi crimini alla fine della guerra.

Ma qual è il rapporto tra Edna Schein, Villa Redenzione e il “31 Aprile”? Come mai molti anziani antinazisti stanno scomparendo? E cosa c’è dietro a questo ritorno alla ribalta dell’estrema destra? Sono le questioni a cui Vera dovrà trovare risposta, rischiando la vita e mettendo in discussione tutto quello che crede di conoscere.

Giuseppe Cesaro, con un romanzo ricco di suspense e colpi di scena, riflette sul fascino che esercita, ancor oggi, la dottrina nazista e sui pericoli che rappresenta per il nostro mondo.


Recensione

Quando in un thriller troviamo anche molto altro. Quando questo rischia di soverchiare la vicenda principale del romanzo, con risultato inaspettati e decisamente accattivanti.

Ecco ciò che è accaduto fin dall’inizio della mia lettura di “31 aprile”. Una lettura che mi è apparsa subito corposa, densa, ricca di tante sfaccettature e dispensatrice di moltissime verità storiche. Una lettura accogliente, nonostante scandagli  un fondale torbido, mai dimenticato ma sempre doloroso da riscoprire e a cui dare nuova voce. Un romanzo complesso, che alla finzione affianca una delle pagine più buie del nostro recente passato. Un passato terribile, in cui l’uomo emerge lordo del sangue dei suoi simili. Un passato che esercita un fascino oscuro e maligno su molti di noi.

Siamo in Germania, ai giorni nostri, eppure tutto ci riporta indietro nel tempo, quando, dopo anni di devastazione, morte e paura, Hitler muore e con lui anche il sogno aberrante del Terzo Reich. Anni di incertezza, in cui ricostruire e provare a tornare a vivere. Anni in cui la Germania passa attraverso le maglie della denazistificazione, dei processi ai gerarchi nazisti e più in generale cerca di ripulire la propria coscienza, marchiata a fuoco dagli orrori della Soah.

Vera Stark, la protagonista, sta indagando sul gruppo neonazista denominato “31 aprile”, nome che indica il desiderio di dare nuova vita ai principi del nazismo. Il 31 aprile, giorno che mai potrà esistere nel calendario, ad indicare il testamento ideologico di Hitler, nel giorno che segue alla sua morte. Vera è una giornalista intraprendente, pronta a sacrificarsi in nome della verità. Coraggiosa, arguta, scomoda, ha ritrovato l’amore dopo un matrimonio finito male. Bella e indomita, non si ferma davanti a niente in nome della verità.

 Anche i personaggi che ruotano intorno a Vera sono assai carismatici: due anziani antinazisti che hanno vissuto in prima persona gli orrori del nazismo e dell’Olocausto, un gruppo di giovani ottenebrati dagli ideali nazisti, che si nutrono di un ideale che non conoscono neanche troppo bene ed infine la fantomatica figlia di un gerarca nazista che ha seminato orrore e morte durante la guerra. In particolare  quest’ultima, Edna Schein, avrà un ruolo primario. Figura subdola  assetata dall’odio verso chi ha condannato a morte l’amatissimo padre, si è fatta carico di restaurare l’antica villa di famiglia, un lager urbano in cui venivano perpetrate le peggiori atrocità mai immaginate. Quando la sparizione di alcuni accusatori di suo padre getterà un’ ombra oscura sul presente, Vera scenderà in campo per sventarne il mandante.

Il romanzo ha una trama accattivante, mescolando sapientemente la vicenda principale con accurate nozioni storiche e con interessanti digressioni sul debole equilibrio tra giustizia e morale, tra politica e verità storica. L’autore è maestro nel dare voce alle opposte ragioni degli oppressi e degli oppressori, facendosi illuminato portavoce di entrambe, dimostrando di padroneggiare la storia e sapersi destreggiare nei meandri della filosofia del bene e del male.

La vicenda narrata è l’espediente per permettere al lettore di acquisire molte verità sul nazismo di cui probabilmente non era a conoscenza. L’autore dimostra di conoscere moltissimi aspetti della dottrina nazista,  l’enorme valore aggiunto di questo romanzo, che scende con grande competenza storica negli inferi di un pensiero e di un periodo storico oscuro e tragicamente affascinante.

Durante la lettura ci sarà un ampio spazio per scendere in profondità nella Storia del tempo, per interrogarci sul fascino che il Male da sempre esercita sull’Uomo, per confrontarci sulle orribili urgenze che spesso l’Uomo subisce, relativamente al suo bisogno di fare del male  e per realizzare che spesso le catene della nostra mente sono tentazioni lucide e accattivanti, che ci imprigionano senza averne consapevolezza.

Giuseppe Cesaro si fa portavoce della cultura tedesca, offesa dall’ascesa e dall’apologia del nazismo e annichilita dalla vergogna, l’unico sentimento che supera l’urgenza della paura. E nello stesso tempo la assolve e la rinfranca, attraverso il ricordo di chi lottò contro gli orrori di quella ideologia.

Con una notevole competenza storica, l’autore costruisce una trama accattivante, che prende il lettore e lo trascina dentro un labirinto di specchi, in cui bene e male si confondono con l’unico scopo di tenerci in scacco. Specchi con cui abbagliarci, per non farci vedere una verità che, a conti fatti, era proprio facile scoprire.

Con un linguaggio efficace, pulito e sincero, Cesaro costruisce una storia dentro la Storia, quella con la esse maiuscola, senza temere di scoprire vecchie ferite e farle sanguinare di nuovo. Perché grattare la crosta è sempre un’azione sconveniente, che riporta a galla l’antico male che credevamo passato. Ma grattare la crosta a volta è necessario, perché solo il ricordo di un dolore passato può farci evitare nuove e più profonde ferite.


L’autore

Giuseppe Cesaro (Sestri Levante, 12 marzo 1961) ha cominciato a scrivere professionalmente alla fine degli anni ottanta. Ha pubblicato articoli, racconti, romanzi brevi e graphic novel, e collaborato alla realizzazione di romanzi, mémoire, saggi, biografie e sceneggiature per alcuni tra i più importanti editori nazionali. Dal 1998 è consulente artistico e ai testi di Claudio Baglioni. Nel 2018 La nave di Teseo ha pubblicato il suo primo romanzo Indifesa.


  • Casa Editrice: La Nave di Teseo
  • Genere: thriller
  • Pagine: 441