Rubrica RECENSIONI A COPPIE: “Storia di una capinera” di Giovanni Verga e “Il quaderno azzurro” di James A. Levine

Sono rimasta immobile nella prima luce del mattino, con le palpebre che fluttuavano tra il sonno e la veglia, a guardare fuori attraverso l’ingresso del nido. Sapevo che quella matita non sarebbe bastata per scrivere tutta la mia vita, ma ce n’era abbastanza per cominciare.

Trama di “Storia di una capinera” di Giovanni Verga

Nel romanzo di Verga la protagonista Maria scrive all’amica Marianna, che i lettori non conosceranno mai; le sue lettere coprono un arco di circa due anni, dal 3 settembre 1854 al 24 settembre 1856. Sono seguite da due lettere senza data e dall’annuncio della morte di Maria siglato da suor Filomena.

Maria è un educanda orfana di madre; trascorre l’estate del 1854, in una tenuta alle pendici dell’Etna, con il padre e la matrigna, fuori dal convento dove abitualmente risiede. Qui ella incontra il giovane Nino, come lei sfollato assieme alla famiglia per sfuggire all’epidemia di colera che incombe su Catania. La vita libera e spensierata all’aria aperta, nell’incanto dei boschi e delle campagne, avvicina i due giovani. Nella lettera del 10 novembre 1854 Maria confida a Marianna di essersi innamorata del giovane Nino; ora però vorrebbe ritornare al raccoglimento e al silenzio claustrale.

La storia d’amore tra i due giovani prosegue: s’incontrano, si sfiorano, si baciano. Nella lettera del 21 novembre Maria è consapevole di essere amata e ciò la trasforma: la vita del convento le sembra adesso soffocante e vuota. Viene separata a forza dal giovane Nino; si ammala e, una volta guarita, viene rinchiusa definitivamente in convento.

La terza parte si apre, un anno dopo, con la lettera dell’8 febbraio 1856. Maria sta per fare la promessa dei voti perpetui, ma è molto malata. Intanto le annunciano che la sorella Giuditta sposerà Nino. Per il dolore, Maria entra in un delirio quasi folle. Tenta la fuga, ma senza successo: perciò viene reclusa nella cella delle monache pazze. Lì, l’unica ad avere compassione di lei è suor Agata, ridotta a una sorta di larva umana. In una lettera conclusiva suor Filomena rievoca gli ultimi giorni di Maria, i commoventi funerali, le sue ultime volontà.

Trama di “Il quaderno azzurro” di James A. Levine

Batuk ha quindici anni e due tesori: la sua bellezza e una matita. Viveva in campagna prima di essere venduta dalla famiglia, costretta dall’indigenza, alla tenutaria di un bordello. Da sei anni Batuk è prigioniera nella strada delle prostitute bambine, chiusa in una gabbia che lei chiama nido, affacciata sul vortice senza speranza delle vie di Mumbai. La bellezza le garantisce un trattamento di favore nella realtà agghiacciante che la circonda, ma l’unico modo per sfuggire all’orrore quotidiano è la sua capacità di dare voce al suo mondo interiore. Perché Batuk crede nella forza delle parole, nel loro potere consolatorio. Sarà proprio la scrittura a permetterle di ribellarsi di fronte all’ennesimo gesto di cinismo e di spietata violenza.

Recensioni a coppie.

Apparentemente questi due romanzi non potrebbero essere più lontani l’uno dall’altro.

Per l’epoca in cui sono stati scritti, la fine del XIX secolo per “Storia di una capinera” e il recente 2009 per “Il quaderno azzurro”; per la figura delle protagoniste, una monaca nel primo e una giovane prostituta nell’altro; per l’ambientazione, italiana nel primo, esotica nel secondo. Per il genere, un classico della letteratura italiana il primo, un romanzo di narrativa nemmeno troppo conosciuto il secondo.

Eppure, a mio avviso, i due romanzi hanno anche diverse cose in comune.

Innanzitutto la forma epistolare per entrambi, così diretta, coinvolgente, forte. Poi l’età delle protagoniste, poco più che bambine. Ma questi due romanzi si assomigliano perché entrambi affrontano il tema della condizione femminile. Una condizione di subordinazione che non muta, non evolve nel tempo. Una condizione che fa delle loro voce un sussurro mal percepito. Storie, queste, in cui deliberatamente si decide di mettere a tacere non solo un grido, ma anche il pensiero e la storia di chi è stato costretto a vivere una vita non sua.

Gli anni che separano le storie delle due protagoniste, Maria e Batuk, potrebbero essere dieci o mille. Ed è facile capire che il tempo che le separa non è poi così importante.

Concepire la donna come una creatura muta e consenziente, paziente e priva della capacità di ribellarsi, è storia vecchia quanto il mondo.

Che sia la storia di una giovane costretta a prendere i voti e a sopire con forza un amore struggente e assoluto o che sia la storia di una giovane asiatica, una bambina, venduta dalla stessa famiglia e iniziata alla prostituzione, non cambia molto. Non cambia il dolore, il tradimento, la disillusione. Né l’amarezza di essere destinate con la forza ad una esistenza abbietta e ingiusta. Né la rabbia o la rassegnazione.

I due romanzi si leggono in fretta. Si buttano giù come si fa con una medicina, amara ma necessaria.

A nulla vale la nostra rabbia, la nostra ribellione e le nostre lacrime. Il destino di Maria e di Batuk si compirà, e niente potrà far deviare queste vite perdute dalla strada che qualcuno ha segnato per loro.

Oggetti senza voce, creature dimenticate da tutti, lasciate a se stesse. E se Maria vive nella speranza di poter rivedere un giorno il suo amato pur nella consapevolezza di non possedere la forza per ribellarsi al suo destino, Batuk costruisce intorno a sé un mondo immaginario, in cui rifugiarsi quando la sia vita diventa insopportabile. Maria è vittima di una religione vissuta come strumento di oppressione e di controllo e vivrà alla ricerca di una fonte di consolazione per il dolore conseguente alle sue privazioni. Batuk è vittima della povertà e di un mondo in cui la mercificazione dell’infanzia è ammessa e incoraggiata. Entrambe non potranno ribellarsi e fuggire dalle loro misere esistenze se non con la morte. Una morte che tuttavia sopraggiungerà tra l’indifferenza generale.

Per entrambe l’epilogo sarà tragico ma in fondo accolto con grande serenità, come la fine di una sofferenza inflitta. Ma non vi sarà mai rassegnazione per nessuna delle due. Ognuna a suo modo sugellerà la propria fine, con un inganno o con la pazzia. Entrambe vie di fuga verso una dimensione più consona, più umana, più vivibile.

La voce di Maria e di Batuk, che si leva prepotentemente dai loro scritti, è una voce flebile ma potente al tempo stesso. Una voce che dobbiamo ascoltare per rendere a queste due ragazze la giustizia a cui anelano. Per restituire loro dignità e un briciolo di solidarietà e di compassione.

Naturalmente è comunque necessario conteatualizzare i due romanzi.

Il romanzo di Verga si insinua nella letteratura tardo romantica dell’epoca, in un contesto non ancora del tutto contaminato dal Verismo che invece scaturirà prepotente nelle opere a questa successive. La figura di Maria è frutto dell’esaltazione amorosa, vissuta con una intensità dolorosa ma anche con un profondo senso di colpa per la debolezza che l’innamoramento induce nella ragazza. Maria è in ogni caso una figura in cui il desiderio di condurre una vita libera cozza costantemente con il senso di protezione che la vita di clausura evoca in lei. Una donna che anela l’amore fisico e che al tempo stesso subisce il suo fascino subdolo, che la allontana da un ideale di purezza. Un animo delicato e tradito dagli affetti a lei più vicini, in cui senso di ribellione e desiderio di normalità e di accettazione si scontrano con forza.

Il quaderno azzurro è invece un romanzo di denuncia verso lo sfruttamento sessuale dell’infanzia. E sull’infanzia si focalizza, dandogli voce e anima. La voce di Batuk è quella di una bambina che rimodella, attraverso il gioco, la sua spaventosa realtà. La ragazzina colora il suo mondo grigio con i colori della fantasia e dell’ingenuità, creatura quasi inconsapevole dell’ingiustizia e della crudeltà che ha subito per mano del padre, un padre che tuttavia non cessa di pensare e di amare. Batuk in un certo senso si rassegna alla sua vita più facilmente di Maria proprio perchè è una bambina capace di fuggire dalla realtà con il pensiero, la fantasia e il gioco. “Il quaderno azzurro” non può che essere frutto della nostra epoca, in cui un bambino diventa merce di scambio in un attimo.

Rubrica RECENSIONI A COPPIE: “Bambino 44” e “L’amore ai tempi della neve”.

A un tratto tutta la stanchezza era scomparsa, e non grazie a qualche droga. La rabbia e l’adrenalina gli scorrevano nel sangue. La mano era ferma. Chiuse un occhio e prese la mira con attenzione. A quella distanza non lo avrebbe mancato. Se sparava ora, la bambina sarebbe sopravvissuta, non ci sarebbero stati omicidi. Senza pensarci , la parola gli era venuta in mente: omicidi.

Trama di “Bambino 44” di Tom Rob Smith

GENNAIO 1933 Nel gelo che non dà tregua a un popolo già stremato, due bambini si allontanano da casa in cerca di cibo. Un uomo si avvicina nella neve brandendo un bastone.

FEBBRAIO 1953 Due fratellini giocano a palle di neve. Poche ore dopo, uno giace cadavere straziato sui binari della ferrovia moscovita. La polizia segreta, che vigila sul funzionamento di uno Stato che si pretende perfetto, in cui il crimine non deve esistere, incarica l’ex eroe di guerra Leo Demidov di liquidare il caso come un incidente. Quando un altro bambino viene trovato morto, però, il funzionario modello Demidov mette in dubbio l’efficienza del Sistema e inizia a scavarsi la fossa con le proprie mani. Spiato, umiliato, esiliato, Leo verrà privato di tutto, indotto a diffidare perfino della moglie, la sua meravigliosa Raisa, ma riuscirà a recuperare la propria libertà interiore. Trasformato da predatore in preda, infatti, continuerà ugualmente la sua spasmodica caccia all’assassino, fino al momento che sconvolgerà per sempre la sua esistenza. Ispirato alla realtà storica, un romanzo che unisce alla potenza narrativa l’inquietante ritratto di un regime di terrore. Child 44 è un bestseller internazionale che ha venduto più di due milioni di copie nel mondo.

Trama di “L’amore ai tempi della neve” di Simon Montefiore.

Mosca 1945: mentre Stalin si appresta a festeggiare la vittoria sui nazisti insieme ai suoi più stretti collaboratori, poco distante risuonano due spari. Un ragazzo e una ragazza vengono trovati morti su un ponte: non sono persone qualsiasi, bensì appartengono a due delle famiglie più influenti e più vicine a Stalin e frequentano entrambi il collegio più esclusivo dove studia tutta la nuova élite politica e intellettuale dell’Unione Sovietica. Si tratta di un omicidio? Di un doppio suicidio? Di una cospirazione contro lo Stato? Le indagini si svolgono sotto il diretto controllo di Stalin, che fa interrogare i compagni di scuola costringendoli a testimoniare contro i loro amici, i loro fratelli e i loro stessi genitori, in una terribile caccia alle streghe che porta alla luce amori illeciti e segreti famigliari e in cui il più piccolo sbaglio può significare una condanna a morte…

Reensione a coppie

Per la rubrica Recensioni a coppie oggi parliamo di due romanzi entrambi ambientati in Russia ai tempi di Stalin. L’ambientazione storica e geografica ci offre, immediatamente, il quadro di ciò che dobbiamo aspettarci. Il periodo staliniano è un momento cruciale per la storia moderna della Russia. Si può parlare di dittatura del pensiero, dato che lo Stato perpetra un controllo ai limiti della follia sulla mente del cittadino. La repressione è ai massimi livelli e le punizioni sono esemplari e terribili. Niente e nessuno può deviare dal percorso che lo Stato ha segnato per tutti; anche il più insignificante segnale può significare essere denunciato come nemico dello Stato, con conseguenze inimmaginabili. E nessuno è al riparo, perché chiunque, un giorno, può denunciarti e tu non avrai alcuna possibilità di difenderti e con tutta probabilità confesserai il falso, per evitare la tortura. Una orribile guerra di tutti contro tutti in cui non vince nessuno. E dall’altro lato della barricata una Stato che sa di essere fallace e ingiusto, ma che si trova nella condizione di doverlo negare, a qualsiasi costo. Uno stato che perpetra la menzogna e millanta una perfezione che è lungi da possedere.

Oltre il quadro storico, c’è quello geografico, di ben più ampio fascino. Gli interminabili inverni russi, bianchissimi di neve e straziati da gelo. I cieli viola, sotto un sole che perde in partenza la battaglia contro il ghiaccio. Il fiato che sbuffa vapore, le case mal-riscaldate, la rassegnazione dell’uomo di fronte alla natura, potente, assoluta, credule e meravigliosa al tempo stesso.

Insomma, il materiale per portare l’attenzione alle stelle c’è!

Aggiungo che entrambi i romanzi sono dei thriller perfettamente congegnati, che affiancano alla complessa ricerca del colpevole le notevoli difficoltà legate al regime staliniano, regime che impone di procedere nelle indagini con estrema cautela e circospezione. Ma al di là della complessità della trama, entrambi i romanzi brillano per la luce che gettano sul periodo storico e sulle sensazioni e sui sentimenti dei protagonisti. Vi leggiamo l’impotenza dell’individuo davanti alla macchina dello Stato e la sua tenacia e il suo coraggio nel voler rivendicare il diritto alla verità. Per noi che siamo cresciuti nella certezza di avere diritto al vero e al giusto, la lettura di questi due romanzi smuoverà qualcosa nel profondo. Che sia incredulità, che sia disgusto, che sia dolore, indignazione, solidarietà e cosa altro vogliate. Qualsiasi cosa sia è in ogni caso legittima, se anche solo per un attimo ci fa riflettere sui significati della parola libertà.

Bambino 44 è incentrato sulla figura del protagonista, Leo Demidov, spietato membro del MGB, con un passato di morte e di prevaricazione alle spalle. Nel romanzo Leo compie un percorso di consapevolezza e di crescita interiore. Di fronte alla morte di alcuni bambini, che lo Stato vuol far passare come incidenti e alle accuse mosse ingiustamente verso la moglie Raisa accusata dalla Stato di tradimento, Leo prenderà a poco a poco le distanze dal suo passato e intraprenderà un percorso di redenzione, che lo porterà a sperimentare la crudele perversione di potersi salvare solo a patto di denunciare chi ami e a subire l’umiliazione del confino.

Il romanzo è proprio la storia di questo percorso personale, che si concretizzerà nella volontà di trovare l’assassino dei bambini, un mezzo per contestare il regime e per prendere le distanze dal suo passato.

In L’amore ai tempi della neve, pur essendoci delle morti su cui far luce, ci sono delle storie familiari sulle quali troneggia l’alone della dittatura staliniana. La figura di Stalin è descritta in tutta la sua crudeltà, come anche quella dei suoi più stretti collaboratori. Il clima di terrore verrà fagocitato attraverso un meccanismo crudele e inumano, quello di colpire i genitori attraverso i figli. I figli, imprigionati e i genitori, pedine sotto scacco e in balia dei loro sentimenti. L’amore muove i suoi fili ed è paradossalmente portatore di morte, Ma all’amore non si può rinunciare e neanche lo si può sopire, neanche con lo spauracchio del dolore e della vergogna. I personaggi di questo romanzo lo impareranno a loro spese, ognuno con la storia. Ma l’amore non ne uscirà sconfitto, mentre la macchina statale, grondante sangue e menzogne, fallirà malamente per aver trasformato un innocente sogno di gioventù in un gioco al massacro.

Rubrica RECENSIONI A COPPIE; Due capolavori di Edith Wharton: L’ETA’ DELL’INNOCENZA e ETHAN FROME

“Avevi ragione: non sarei dovuto venire oggi”, disse, abbassando la voce perchè il cocchiere non potesse udire. Ellen si chinò in avanti, come per dire qualcosa; ma Newland aveva già gridato all’uomo di proseguire e la carrozza si rimise in moto mentre egli stava fermo all’angolo della strada. Non nevicava più e si era levato un vento tagliente che gli frustava il viso mentre continuava a guardare la carrozza che si allontanava. Sentì qualcosa di rigido e freddo sulle ciglia e si accorse che aveva pianto e che il vento aveva gelato le sue lacrime.

Trama di “L’età dell’innocenza”

Rilanciato dal successo del film con Michelle Pfeiffer e Daniel Day Lewis, L’età dell’innocenza è un mirabile affresco della borghesia newyorchese di fine Ottocento, contro il cui ottuso moralismo Edith Wharton si scaglia coraggiosamente difendendo l’autenticità di un amore sincero. La storia sentimentale tra Newland Archer, brillante avvocato dell’aristocrazia cittadina, e la contessa Ellen Olenska, cui inflessibili convenzioni impediscono di divorziare dal marito, è lo specchio di una società che l’autrice conosce e contesta profondamente. Una società ipocrita e perbenista, in cui pregiudizi atavici, tradizionalismi ormai svuotati di significato, princìpi ingiusti e falsamente morali impongono precise regole comportamentali, che cozzano contro il desiderio di affermazione del singolo. Contro tutto questo lotta con ammirevole tenacia la protagonista del romanzo, che tenta di difendere fino alla fine il suo amore e la sua libertà di scelta, cui si oppone la consapevolezza, che porterà Archer alla rinuncia finale, dei suoi doveri sociali.

Trama di “Ethan Frome”

Fin dalla sua apparizione, nel 1911, questo romanzo si propone come una sorta di ordigno narrativo affascinante e perturbante. Racconta la vicenda che lega tra loro Ethan Frome, Zeena, sua moglie, e Mattie, cugina di lei, della quale Ethan si innamora. Sembra che questo nuovo legame possa essere l’inizio di una fase di cambiamento, la fuga per Ethan dalla prigione domestica. Le cose però vanno diversamente. Con maestria inventiva la Warthon riserva ai tre personaggi un destino al contempo tragico e grottesco. Un libro nel quale la narrazione è lo strumento che permette di sciogliere il nodo, all’apparenza inestricabile, dei legami tra gli esseri umani.

Recensioni in coppia

Ho scelto di parlare di questi due bellissimi romanzi nello stesso articolo, inaugurando una rubrica che ho deciso di chiamare, appunto, “recensioni a coppie”. Vi inserirò la recensione di due romanzi che per qualche motivo sono legati.

Per questi due romanzi il legame è abbastanza ovvio, dato che sono opere della stessa brillante autrice. Ma c’è dell’altro. Essi sono entrambi romanzi che parlano d’amore e di rinuncia, della sofferta ricerca di una felicità che sappiamo impossibile e tuttavia irrinunciabile.
Nelle loro pagine si legge dell’eterna lotta tra desiderio e convenzioni sociali, queste ultime viste come perenne ostacolo alla realizzazione personale e alla felicità.
In essi l’uomo deve chinare il capo a queste ultime, come a voler sottolineare la condizione di prigionia dell’animo umano, chiuso tra le sbarre dorate di una società intransigente.

L’Età dell’innocenza, probabilmente il più famoso dei due, fama dovuta in parte anche alla bellissima trasposizione cinematografica di martin Scorsese del 1993, fu pubblicato nel 1920 e valse all’autrice l’assegnazione del premio Pulitzer.

Newland é fidanzato con May, ragazza semplice e mite. Durante il fidanzamento conosce Ellen, cugina di May, donna dal passato doloroso e dall’animo sensibile, la cui schiettezza non é ben accetta dalla rigida e formale società del tempo.
Proprio grazie a queste qualità, Newland inizia a provate un sentimento sempre più forte per Ellen, che ella ricambia.
Pur amandosi profondamente, i due non sapranno rompere gli schemi che li legano alle rispettive famiglie e vivranno gli anni a venire consacrandoli alla rinuncia dell’amore.

I personaggi magistralmente descritti, nelle azioni così come nella loro psicologia e la vivida descrizione della società newyorkese ne hanno fatto un’opera profonda e toccante, densa di romanticismo ma anche di passione e di dolore.

Il romanzo è dunque incentrato sulla storia di un amore impossibile. Un amore assoluto e struggente che meriterebbe di essere coronato anche a costo di uno scandalo, tanto è potente. Ma che piega la testa sotto la forza delle convenzioni, che seppur inique e profondamente ingiuste, sono pesanti zavorre capaci di trascinano a fondo il sogno di vedere quell’amore realizzato.

In una società dove l’onore della donna conta più di ogni altra cosa e dove la sua reputazione ha una connotazione alquanto labile, che poggia esclusivamente sulle fragili fondamenta delle apparenze, May Welland può esercitare la sua piccola tirannia grazie al suo ruolo di moglie che sa celare pensieri, infelicità, incertezze sotto un cappellino alla moda o all’ombra delle proprie pudiche ciglia.

Ellen Olenska, invece, dovrà lottare per riprendere il suo posto in società, dopo un matrimonio naufragato. La sua immagine, orrendamente straziata da un’onta inaccettabile, non potrebbe sopportare l’ulteriore disonore di una relazione clandestina.

May e Ellen giocano ruoli diversi e diametralmente opposti in questo romanzo. L’una costretta a non vedere l’infelicità che sta incombendo sul suo matrimonio perfetto. L’altra che dovrà soffocare le urla del suo cuore per proteggere se stessa e l’uomo che ama. Ma sono entrambe vittime dell’ipocrisia su cui si fonda la società newyorkese di fine 800, della quale finisce succube anche Newland, pur anelando ad ideali di libertà e di sincerità.

Eppure in Ellen Olenka è lampante il clangore della ribellione. Una ribellione che è muta e che veste i panni della rinuncia, perchè diventare l’amante dell’uomo che ama significherebbe relegare l’amore che la lega a Newland al rango di un banale e squallido tradimento.

 In Ethan Frome viene riproposto il tema della rinuncia alla realizzazione dell’amore.
E’ un romanzo breve e struggente da leggere in un soffio che ci offre una scrittura semplice in cui traspare la rassegnazione ad una esistenza priva di ardore e di pienezza, ma che ci regala anche la poesia di un amore struggente e senza futuro.

Ethan Frome vive una vita senza gioia nella sua fattoria del New England, insieme alla moglie Zeena, donna fredda e ipocondriaca che lo tiranneggia. E quando la bella e giovane cugina di lei, Mattie Silver, arriva in casa per aiutarli, Ethan rimane affascinato dalla sua allegria e dalla spensierata gioventù, emblemi di una vita diversa e più felice. Poichè anche Mattie sembra attratta dalla silenziosa serietà dell’uomo, Zeena decide di mandare via la ragazza. Ethan è combattuto fra il desiderio di fuggire con lei, per allontanarsi da quella vita vuota e senza senso, e il timore di venir meno al proprio dovere e sfidare le rigide convenzioni sociali. Ma l’ultimo giorno, in un gioco disperato, i due innamorati prenderanno la decisione che muterà per sempre, tragicamente, i destini di tutti e tre. Un racconto avvincente e spietato, in cui la speranza sembra fiorire solo per venir crudelmente tradita dalla cieca brutalità del caso.

L’epilogo è forse un monito o forse una morale, che pare voler dire alla felicità che non sia superba e che non sia spavalda. La felicità può accecare lo sguardo degli uomini e offuscare il loro pensiero razionale. E il cuore, che altro non è che il simbolo del desiderio di essere felici, è un traditore. Uno specchio lucente che ottenebra il pensiero. Un lago limpido dove veder aleggiare la colpa di aver ricercato la felicità dove non poteva stare.

E anche dove è la morte l’ultima spiaggia, non si canti vittoria. Perchè a volte anche la morte ci sfugge per tradirci e relegarci per sempre nel dolore e nel rimpianto. Come a volerci ricordare la condizione di costante infelicità a cui è condannato l’uomo e chi di questo destino osa farne beffe. Ma forse un solo istante di estasi può valere un’intera vita di dolore e di colpa. E questo è forse vero sia per Ethan che per Ellen e Newland, che vivranno nel ricordo di quell’attimo fugace di estati perfetta.