INTERVISTA A BARBARA CAGNI

Sabato 21 maggio 2022, Salone Internazionale del Libro di Torino


Ho incontrato Barbara Cagni sabato 21 maggio a Torino, presso l’affollatissimo stand di Fazi Editore, che ha edito il suo ultimo romanzo, PER SEMPRE, ALTROVE. Barbara era reduce della presentazione del suo romanzo, tenuta nell’importantissima cornice del Salone Internazionale del Libro di Torino. E nell’hangover inebriante del post presentazione si è comunque resa disponibile a questa breve intervista, nella festosa confusione del Salone, stretta tra orde di lettori e i rumori dissonanti della folla, confinate entrambe nella piccola saletta dello stand. I rumori di sottofondo erano insistenti, motivo per cui ho rinunciato a registrare l’audio e mi sono affidata alla penna.

Per alleggerire l’intervista ho utilizzato le question words, gli avverbi che in inglese sono utilizzati per introdurre delle domande. Ho dunque chiesto a Barbara di sviscerare who (chi? – inteso come il protagonista), when ((dove?) e where (quando?) del romanzo PER SEMPRE, ALTROVE.

Ecco un breve riassunto del romanzo:

Per sempre, altrove è un romanzo corale, che racconta, con la delicatezza e il candore tipico dell’infanzia, la vita e le speranza di una piccola comunità sperduta tra i monti del Cadore. Sono gli anni 50, ma il boom economico non ha lambito quei monti. Al contrario, da quei monti si fugge, si emigra, alla ricerca di una vita migliore. I giovani rincorrono il cambiamento e con loro anche Berta, che tornerà a casa persa in un mondo solo suo e curata malamente dalla medicina del tempo, che rattoppa  un equilibrio ormai perduto. Le donne sapranno riportare ordine in una comunità spaccata, aprendosi alle nuove consapevolezze e alle sfide future.



Who (il/i protagonista/i)

Per sempre altrove non ha un solo protagonista, ma diversi.

Uno fra questi è l’emigrazione, intesa non solo come mero spostamento da un luogo ad un altro, nella ricerca, spesso vana, di un futuro migliore, ma anche come sradicamento.

L’emigrazione è intesa come l’allontanamento da se stessi, dalle proprie radici, dalla propria storia, ma anche come emigrazione mentale, che richiama, appunto,  la malattia mentale, la schizofrenia in special modo, che pare colpisse particolarmente le persone che a quei tempi lasciavano le proprie case e affrontavano una realtà totalmente straniante. Nel romanzo Berta, che emigra in Svizzera per dimenticare un amore perduto, sarà colta, appunto da schizofrenia e curata con le tecniche del tempo, l’elettroshock e la lobotomia.

Qui Barbara si intrattiene con me sulle malattie mentali, ripercorrendo con la mente alcuni racconti ascoltati dalla gente del posto sui manicomi, luoghi che a quei tempi erano veri e propri microcosmi di dolore e emarginazione, che accoglievano non solo chi aveva bisogno di cure ma anche un variegati novero di persone scomode, come omosessuali e donne e uomini dal contegno insolito, fuori dalle righe.

Negli anni cinquanta iniziò, perlaltro ad affermarsi la lobotomia, in particolare  la leucotomia prefrontale transorbitaria praticata dal professor Fiamberti, tecnica che venne osannata come risolutrice di tutte le malattie mentali ma che invece riduceva i pazienti che vi erano sottoposti a vegetali, spegnendo in loro ogni fiamma vitale.

Altro protagonista del romanzo sono le donne, le figure femminili del romanzo. Le comari di “Per sempre, altrove” sono ben caratterizzate: donne abituate a lavorare duramente, l’anima delle loro famiglie, avvezze a chinare il capo davanti alla volontà e alle angherie del proprio uomo. Queste donne tuttavia sapranno farsi forza a vicenda, ognuno per quel che può e ribellarsi alle consuetudini che le vogliono silenziose e succubi.

La protagonista femminile principale è Berta, naturalmente, ma la sua figura è circondata e completata dalla figura di tutte le donne, ormai mature, consapevoli e pronte alle sfide del futuro.

Ultimo protagonista che voglio citare è il contesto storico, in cui il romanzo di svolge. Gli anni 50, la povertà che spinge ad emigrare, la voglia di assicurarsi un futuro senza incertezze e un salario, al posto dei miseri guadagni del lavoro in campagna, soggetto a troppe variabili ingovernabili dall’uomo. Le prime lotte sindacali, la nascita della coscienza di classe, i primi scioperi, come quelli organizzati dalle mondine, che incrociarono le braccia forti del fatto che in assenza del loro lavoro il riso marciva sotto l’acqua.

La connotazione sociale è molto importante nel romanzo, ribadisce Barbara, che ha voluto evidenziare la crucialità di quel momento storico per il futuro dell’Italia.

When (epoca del romanzo)

Il “quando” del romanzo sono gli anni 50 e 60 del novecento. Non si è ancora nel vortice del boom economico, ma in una situazione incerta e per certi versi sconosciuta. In Veneto il popolo conosce il solo lavoro dei campi ma i Governi del tempo spingono i contadini a lasciare le proprie terre, per inseguire il sogno di un futuro in altri luoghi, dipinti come luoghi di ricchezza e di serenità. Questa politica porterà un senso di sradicamento e molta incertezza. Il futuro roseo dipinto dai politici non si realizzerà mai in molti casi. In quegli anni è forte il divario tra il potere e il popolo. Ne è triste esempio la tragedia del Vajont, che tutti ricordiamo. L’emblema del braccio di ferro tra le logiche del potere e le sorti della povera gente, tenuta all’oscuro sulle sue sorti e sacrificabile in nome di interessi superiori.

Barbara ne fa cenno nel suo romanzo, come racconta, anche, della triste sorte dei minatori di Marcinelle, in Belgio, tra i quali morirà il mite Bastian, uno dei giovani uomini che sceglieranno, appunto, di emigrare.

Where (i luoghi del romanzo)

Tra i monti del Veneto c’è una vallata in cui scorre il Piave. Intorno vi sono piccoli centri isolati, sormontati da alte montagne spesso innevate. E’ il territorio del Comelico, nella regione del Cadore.

Lì, in un paesello senza nome, si svolge l’intera vicenda del romanzo. La comunità è piccola, tutti si conoscono, il livello di alfabetizzazione è molto basso, la povertà dilaga. Gli uomini sono rudi, spesso alzano il gomito e cedono alla violenza e all’abbrutimento. Le donne sono forti, abituate a lavorare duramente e sempre più consapevoli del loro potere, che proviene dalla resilienza e dalla capacità di fare quadrato. Questi luoghi sono sempre rimasti nella mia mente, da lì proviene la famiglia della mia mamma. Dal Comelico proviene anche una mia vecchia zia, che da giovanissima emigrò in Svizzera e che dopo pochi mesi dette i primi segni di un disagio mentale che l’accompagno, poi, per tutta la vita. E a lei che mi sono ispirata per il personaggio di Berta, per tratteggiare in generale tutte le donne del mio romanzo e per raccontate la vita nei manicomi.


E’ stato piacevole intrattenermi con Barbara che mi ha raccontato la genesi del suo romanzo e ha posto l’accento sull’attualità dei temi che vi tratta. Uno su tutti l’emigrazione, che ancora oggi ci riguarda da vicino e poi, la centralità del femminile, come dimensione attraverso la quale raccontare il vissuto di chi ci ha preceduto.

Arrivederci Barbara, al tuo prossimo lavoro!

Leggi la mia recensione del romanzo PER SEMPRE, ALTROVE qui

https://librinellaria.org/2022/05/15/per-sempre-altrove-di-barbara-cagni/

LE CASE DAI TETTI ROSSI di Alessandro Moscè

Gli invisibili del manicomio erano intramontabili. Avevano una personalità nascosta sotto le nuvole dei pensieri, come le radici delle piante più delicate che andavano protette dal freddo dell’inverno. Rappresentavano un assoluto fuori dal mondo, o erano tutto il mondo. Due facce della stessa medaglia, la scena e il retroscena, l’ossessione per le atrocità subite da bambini, da adolescenti, durante la guerra. O perché nati male, infelici. La fatalità era rivolta ostinatamente contro i matti, che non riuscivano a sfogarsi, ad aprirsi. Il loro groppo in gola veniva avvertito come un demone sinistro. Girava e si fermava sotto il chiasso dei passeri che volavano in gruppo da un albero all’altro, o sotto il garrito dei gabbiani che dal Passetto, dal mare bianco, si allontanavano verso il centro di Ancona, volando sopra il cimitero degli ebrei.
Il vuoto del cielo penetrava più a fondo negli intervalli di buio e ans
ia.

Trama

In occasione della vendita della casa di nonna Altera e nonno Ernesto, Alessandro torna ai tetti rossi, ovvero la grande struttura dell’ex ospedale psichiatrico di Ancona, complesso di palazzine nel verde inaugurato a inizi Novecento e riconvertito dopo la Legge Basaglia del 1978.

Il distacco dalla casa dell’infanzia diventa per lui la soglia di un viaggio nel tempo, nei ricordi di quando ragazzino gironzolava intorno ai cancelli per vedere i matti, gli internati, di quando Ancona e le Marche tutte confinavano tra quelle mura chi non aveva retto alla Seconda guerra mondiale: le ex prostitute, gli ossessivi, i paranoici e semplici sbandati infliggendo loro privazioni e pene corporali. A dare una svolta alla gestione dell’ospedale, sulla falsariga di Basaglia, Alessandro ricorda fu il dottor Lazzari, assistito da medici, da suor Germana e dal giardiniere Arduino, re dei fiori e delle piante medicinali. Oggetto del loro tentativo di un ospedale più umano l’uomo-giraffa, il pirata, Franca che sogna i nazisti, Adele che non ricorda nulla se non Mussolini, Giordano che quando non colleziona bottoni pensa solo al Napoli calcio. Alessandro entra nei loro cuori e, compassionevole, ci descrive gli ospiti del manicomio come senso, spirito, emozione, paura, speranza.Gioia, tristezza, euforia, disperazione. La sfida di una follia curabile si intreccia ai teneri ricordi famigliari, fatti anche di odori e sapori di un mondo perduto, e al campo da calcio su cui lui e Luca, il figlio del giardiniere, sfidarono i matti in una grande partita con squadre miste.

Il racconto poetico e illuminante di un pezzo di storia del Novecento spesso dimenticato, una riflessione emozionante sulla follia, l’integrazione e la libertà.


Recensione

Oltre il muro, al di là della barricata. Nella valle proibita, nei luoghi insidiosi, in cui regna il caos, il degenero. Lo straordinario incanto di corpi senza padrone, di anime errabonde, abbandonate al lusso della follia, al luccichio accecante della libertà. Espressioni, gesti, pensieri. Ossessioni, aberrazioni, voci fuori dal coro, troppo stridule per essere ascoltate, troppo lievi per essere sentite.

Alessandro è poco più che un fiolo negli anni settanta e i tetti rossi svettano vicino alla casa dei nonni, ad Ancona. Il manicomio esercita su di lui un’attrattiva quasi morbosa. E i matti, che sono visti con timore, spavento, ma anche con enorme curiosità mista a sgomento e a compassione. I matti, anime spezzate dagli abusi, dai disagi, dalla povertà. Uomini e donne minati da aberranti virtuosismi della mente, vittime di ossessioni, compulsioni, manie. Uomini e donne piegati dagli elettroshock, dai bagni gelidi, da fantasiose e terribili terapie frutto di assurdi pregiudizi. Intorpiditi, storditi, alienati, annientati.

Eppure il dottor Lazzari, direttore illuminato dei tetti rossi, infrangerà più di una consuetudine medica. Toglierà le barriere divisorie tra uomini e donne, incoraggerà i pazienti a scrivere, dipingere, disegnare. Pretenderà ambienti accoglienti e vorrà conoscere la storia di ogni paziente, per poter comprendere le ragioni del suo disagio. E aprirà le porte del manicomio alla città, organizzando feste di carnevale indimenticabili. Con lui il fido Arduino, virtuoso della botanica, giardiniere sensibile e illuminato, che tratta le piante così come Lazzari tratti i pazienti. Le ammaestra, le addomestica con il suo tocco delicato e la passione che trasuda dalle sue abili dita. Arduino, che costruisce una giungla gentile intorno al manicomio, domando anche le piantine più ostinate, in una sorte di parafrasi della cura medica sul paziente più difficile.

In quegli anni le nuove frontiere della psichiatria incombono sui manicomi.  La legge Basaglia, di lì a poco, chiuderà  i battenti dei manicomi e i matti saranno dati al mondo. Reintegrati nella società ma anche schiacciati dall’indifferenza e dalla segregazione. Ognuno con il suo bagaglio di follia.

Nell’incertezza di quegli anni, ogni matto cercherà una strada da percorrere. E il piccolo Alessandro, insieme a Luca, il figlio di Arduino, rimarranno ad osservarli, sognando di poter parlare con loro, di poter scoprire i loro segreti e di giocare a pallone sul campetto vellutato del manicomio. Ipnotizzati dall’alchimia della diversità, dall’appeal ingovernabile della deformità, della profanazione delle regole, dalla ribellione della mente rispetto all’educazione, alla creanza, alla scriminatura che colloca la normalità da un lato e la pazzia dall’altro. La libertà della follia, un allucinante meraviglia da provare sulla pelle. E l’incomprensibile apprensione degli adulti. Quella di scoprire l’insondabile abisso dietro gli occhi dei matti.

“Le case dei tetti rossi” è un omaggio delicato e struggente agli artisti della mente. Coloro che furono etichettati come pazzi perché eccentrici, spaventati o fuori dall’ordinario. I liberi di mente, i puri di cuore. E coloro che li curarono, che gli si inginocchiarono di fronte per guardarli negli occhi e ascoltare ogni loro parola. Chi volle conoscere la loro storia e provò a gettare un ponte per raggiungerli. Chi credette di guarirli, di rieducarli, di far tornare in loro fiducia e coraggio.

E gli altri, che stavano loro intorno, paralizzati dalla paura della diversità. Per i quali la follia fu un virus contagioso che passava sottopelle con la sola vicinanza. E la società tutta, che per cancellare i matti stabilì che non erano mai esistiti.

Un romanzo che segna un’epoca e descrive con partecipazione e umanità la parabola discendente della follia, prima demonizzata, poi negata. Che narra il coraggio di medici pionieri, che decisero di affacciarsi di fronte al precipizio. Che spalanca il miracolo compiuto da un semplice gesto e da una parola di conforto. Che scoperchia l’abuso e il disagio dentro alla follia. E che cancella il filo sottile che la sottrae alla normalità.


L’autore

Alessandro Moscè è nato ad Ancona nel 1969 e vive a Fabriano. Si occupa di letteratura italiana. È presente in varie antologie e riviste italiane e straniere. I suoi libri di poesia sono tradotti in Francia, Spagna, Romania, Venezuela, Stati Uniti, Argentina e Messico. Ha pubblicato saggi, curato antologie poetiche e romanzi. Si occupa di critica letteraria su vari giornali. Ha ideato il periodico di arte e letteratura Prospettiva e dirige il Premio Nazionale di Narrativa e Poesia “Città di Fabriano”.


  • Casa Editrice: Fandango Libri
  • Genere: narrativa italiana
  • Pagine: 186