VITE MIE di Yari Selvetella

Penso che chiunque abbia un figlio sperimenti prima o poi questo stupore: c’è stato un tempo in cui era possibile che tra l’idea di noi stessi e i fatti del mondo non vi fosse alcuna mediazione. Un tempo in cui i pericoli e i sogni erano soltanto nostri: nessun retropensiero sui destini altrui, nessuna allerta automatica per i rischi, anche i più inverosimili.


Trama

Amare non è sufficiente, bisogna sapere come si fa. Talvolta una vita non basta a impararlo per bene, oppure l’abilità coltivata negli anni si dissolve misteriosamente e non rimane altro che un senso di inadeguatezza e di nostalgia. Serve più di una vita, a Claudio Prizio, per poter sentire che sta davvero ricominciando da capo. Gli serve, anzitutto, cercare sé stesso negli altri. Claudio chiede riparo, come ha sempre fatto, alla famiglia, ma anche gli equilibri domestici si stanno ormai modificando. La sua è una famiglia particolare e al tempo stesso normalissima, che custodisce grandi dolori, legami insoliti e momenti di autentica felicità. Tutti devono trovare la forza di lasciar andare il passato: la sua compagna Agata, i suoi quattro figli – due dei quali ormai adulti – e soprattutto lui. Claudio cerca sé stesso in casa, ma anche nella sua città: Roma è così prodiga di incontri che finisce per stordirlo in un vortice di coincidenze. Da qualche tempo, infatti, Claudio non fa che ravvisare somiglianze tra sé e le persone in cui si imbatte: un guidatore distratto che quasi lo investe al semaforo, un rocker attempato, un agente immobiliare, una donna che si è rifugiata in campagna. I suoi simili sono specchi, ma anziché aiutarlo a comprendere la propria identità, sembrano avvilupparlo in un gioco di riflessi senza scampo. Come si fa a passare oltre preservando la memoria, ma senza diventarne schiavi? Roma, che tutto custodisce e a niente pare far caso, è una maestra in quest’arte, e suggerirà a Claudio lo stratagemma – l’ultima illusione, forse – per liberare sé stesso e coloro che ama. “Vite mie” è una impetuosa esplorazione esistenziale spinta avanti da domande brucianti: cosa vuol dire amare a un certo punto della vita, e quando la vita ha già colpito duro? Come si fa a non dare per scontati i nostri legami e renderli invece speciali, unici e duraturi? Un romanzo pervaso di riflessioni sull’amore, sulla famiglia, sul nostro rapporto con il tempo che passa. Un libro emozionante e commovente che con una scrittura ipnotica, nitida, plastica, prova a raccontarci qualcosa di essenziale che sempre ci sfugge.


Recensione

Non c’è niente di più intimo di una storia scritta in prima persona.
Niente di più personale di un racconto introspettivo, che scenda a rovistare nei sedimenti, negli strati profondi di una vita intera. E quando è un uomo che parla, lo si ascolta con maggiore attenzione, perché un uomo che parla di sé e in qualche modo si mette in discussione è cosa rara.
Troppi pudori da superare, troppe barriere, tanti luoghi comuni. E paura, forse. Di apparire fragile, inattendibile.

Invece Claudio Prizio, romano, giornalista, con una famiglia complicata a fargli da corolla, sente improvvisamente l’esigenza di ripensare a se stesso.

Perché ad un certo punto della vita sembra smarrito. Ha bisogno di conoscersi nuovamente. Scendere a patti con la sua identità, accettare i suoi limiti, fare pace con i suoi ricordi, i suoi lutti. E fondersi di nuovo con la sua città, una madre universale, transigente e tollerante, che tutto guarisce, tutto accetta e tutto aggiusta. Anche un uomo che dopo una vita passata ad amare, sente di non saperlo più fare.

Claudio è quel tipo di uomo che sa come azionare una lavatrice e come mettere a tavola una famiglia numerosa ed eterogenea. È un padre attento, e non solo verso i suoi figli naturali. Un compagno presente.

Ma vivere il suo ruolo non è facile. Crescere al ritmo dei suoi figli, di età tanto diverse tra loro. Sapersi mettere in discussione, quando serve. Avere una parola per tutti. Vivere il suo tempo, che cambia ad un ritmo vertiginoso. Rispondere alle istanze di una società troppo esigente, che non tollera incertezze o ripensamenti. Che esige perfezione dove c’è solo caos.

Ma la vita è così. E occorre viverla a pieno. Senza sconti. Senza scuse. Né rimpianti.
Cambiare senza dimenticare.
Ricordare senza fermarsi, mai.

Yari Selvetella ci regala il brivido imprevisto e imprevedibile della normalità. La sua scrittura sa vivisezionare la vita di un uomo qualunque, che potrebbe annoiare se non fosse per quella soavità, quel candore, quel genuino raccontarsi senza pudore. E la disarmante ammissione di dover ritrovare un centro di gravità nell’esistenza, che sembra perduto, disorientato dietro alle tante istanze della vita, che è sempre complessa anche quando è un uomo qualunque che lo cerca a tutti i costi.

Una lettura intensa. Un punto di vista privilegiato sui moti interiori degli uomini dei nostri tempi.


L’autore

Yari Selvetella (1976) è un giornalista e scrittore romano. Collabora con vari programmi della Rai. È un esperto di storia della criminalità romana, un tema su cui lavora da molti anni attraverso articoli e libri, tra cui il bestseller Roma criminale (scritto con Cristiano Armati, Newton Compton 2005). Tra gli altri suoi libri ricordiamo Banditi, criminali e fuorilegge di Roma. Storie di assassini, rapinatori e ribelli nella città eterna (Newton Compton 2010), Roma. L’impero del crimine. I padroni e i misfatti della capitale (Newton Compton 2011), La maschera dei gladiatori (Carta Canta 2014), La banda Tevere (Mondadori 2015), Rino Gaetano. Il figlio unico della canzone italiana (Bizzarro Books 2017), Le stanze dell’addio (Bompiani 2018).


  • Casa Editrice: Mondadori
  • Collana: scrittori italiani e stranieri
  • Genere: narrativa italiana
  • Pagine: 250