LA CASA DI ROMA di Pierluigi Battista

 
E siamo stati bene, perché appartenere fa stare bene, e infatti io ce non sento di appartenere ne soffro, e rafforza un sentimento dimenticato ma non del tutto. E ne siamo usciti quasi contenti, malgrado la tristezza infinita della circostanza estrema che ci aveva convocati quel giorno, ricordando una canzone che ci apparteneva. “Chissà se ci pensano ancora, chissà”. Ci pensano, ci pensano.

Trama

Può un romanzo mandare in pezzi un’intera famiglia? Quando Marco, un giovane sceneggiatore, decide di raccontare in un libro la storia della sua famiglia, non immagina le conseguenze che quelle pagine avranno sui suoi affetti più cari. Ordinando i ricordi della madre e dello zio, Marco insegue i fili della famiglia Grimaldi attraverso una lunga e irrisolta rivalità, quella tra il nonno Emanuele, “fascista antropologico” nato alla vigilia della marcia su Roma, e suo fratello Raimondo, “comunista granitico”, classe 1917 come la Rivoluzione bolscevica. Due fratelli divisi non solo dalle idee politiche, ma anche dalle scelte di vita: Raimondo, professore e partigiano, è amato e benvoluto dalla buona società; Emanuele porta con sé lo stigma dell’adesione alla Repubblica sociale, mentre cerca senza successo di lavorare nel mondo del cinema. Nel dopoguerra i due fratelli, nonostante si detestino, decidono di convivere nella stessa casa romana, Villa Caterina, dove i rispettivi figli crescono giocando insieme nel grande giardino comune. Ma la tensione degli anni Settanta riaccende le divisioni politiche tra i Grimaldi, e come un sortilegio antico la violenza torna a separare i due rami della famiglia. Mentre le ricerche di Marco proseguono, tra le pagine di un romanzo che, forse, non sarà mai scritto, emergono i personaggi, i caratteri, gli scontri, le miserie e le grandezze (se ce ne sono), le ambizioni frustrate, i tradimenti dei Grimaldi: una famiglia alle prese con i dolori, le fratture, le svolte dentro l’Italia degli ultimi decenni. Pierluigi Battista racconta l’avventura di una famiglia che attraversa la storia italiana, e con essa si confronta. Un romanzo emozionante sulla memoria e sull’oblio, sull’ossessione di essere come tutti e sul desiderio di essere se stessi.


Recensione

Un romanzo epistolare, dall’inizio alla fine”. Un romanzo a più voci, le voci di una famiglia borghese italiana che attraversa la storia recente e si lecca le ferite che l’hanno graffiata. A volte una lieve scalfittura,  più fastidiosa che dolorante. A volte un taglio profondo, che ha bisogno dei punti e di un buon cerotto.

Non è vero che si passa indenni dalle traversie della storia. Seppur nella perfezione di una felicità che appare effimera ma altrettanto solida e incorruttibile, gli eventi ci segnano, a fondo. E’ che spesso non ce ne accorgiamo subito, ma solo successivamente. Quando la memoria ritorna a pungolare il ricordo. Quando alcuni accadimenti si risollevano dal loro sedimentare e tornano a galla con nuove verità, nuovi retroscena.

La famiglia Grimaldi è già di per sé una famiglia complicata. Spaccata dall’ideologia politica che ha diviso nettamente i due fratelli Raimondo e Emanuele, l’uno comunista e l’altro fascista. Confusa dalle ramificazioni che ha visto nascere nel tempo, per mezzo dei figli , tre per fratello, e dei nipoti, cinque in tutto.

Una famiglia numerosa, attraversata dalle correnti della vita, sospinta dai venti delle stagioni, frustata dalla pioggia delle scelte fatte nel tempo e strapazzata dalle nubi delle scomparse dalla scena.

A confondere le idee ai Grimaldi, la cui coesione è un baluardo assai debole, sarà Marco, nipote di Emanuele, che insegue l’idea di scrivere un romanzo sulla loro famiglia. Marco ingaggerà i propri parenti, primo fra tutti lo zio Raffaello e la madre Anita, perché gli forniscano il materiale per il suo libro, a condizione che ciò che verrà scritto da l’uno e dall’altra sia condiviso con gli altri, allo scopo di facilitare le memorie di tutti. O forse anche di provocare.

Inizia così uno scambio epistolare tra Marco, la madre, lo zio e alcuni dei cugini. Il lavorio di revisione, di ripensamento, di correzione, il desiderio di aggiungere, limare, convalidare o smentire diventa sempre più pregnante, così come lo sdegno o l’imbarazzo che si viene a creare quando l’uno legge la versione dell’altro dei fatti salienti che hanno caratterizzato la storia della famiglia.

Fantasmi, segreti, gelosie e tradimenti grandi e piccoli vengono alla luce e, insieme a loro, i diversi punti di vista sulla storia recente, che prende le mosse dagli anni del fascismo fino ai giorni nostri passando per la guerra, la ricostruzione, il boom economico, il sessantotto, gli anni di piombo e il presente.

Profondissima la visione storica di Pierluigi Battista, che infonde al romanzo la sua impronta giornalistica e lo dota di un valore storico davvero notevole. La borghesia italiana non passa indenne dalle maglie della storia raccontata per bocca dei Grimaldi. Anzi, soccombe malamente e non può che ammettere la sua sconfitta. Così come è sconfitta l’intera famiglia Grimaldi, incapace di lasciare fuori dalla villa di Roma le gelosie, i fraintendimenti e le divisioni imposte dall’ideologia politica, così pregnante da non poter mai essere sottovalutata o messa da parte. Un’eco, una parola o un atteggiamento si amplificano impietosamente sotto i colpi del tempo. Uno screzio iniquo, una piccola crepa che potrebbe rinsaldarsi con pochissimo sforzo, diventano crateri,  precipizi, trappole mortali nelle quali non c’è posto per nessuna forma di perdono.

La nuove leve Grimaldi non potranno che constatare questa sconfitta e rinunciare alla volontà di ricucire gli strappi, che il tempo trasforma in voragini che non si aggiustano più, attraverso una resa che è  anche la parabola della sconfitta della nostra storia recente, incapace di costruire mura solide sulle spoglie della resa dei  valori politici e sociali  del nostro Paese.

Ma non tutto il male viene per nuocere. Dentro l’acredine dei rimorsi e delle recriminazioni si troverà il tempo e il modo per ripensare, per rivedere e fare pace con le proprie coscienze. Il passato assumerà sfumature pastello, perché è dolce ricordare attraverso gli occhi di chi ci è vissuto accanto.

Con una scrittura forbita, politicamente corretta e piena di virtuosismi, così borghese e così rispecchiante i modi e i tempi della classe media italiana, Pieluigi Battista ci regala un ritratto di ciò che siamo stati e di ciò che abbiamo affidato ai nostri figli, illuminati elaboratori degli eventi del passato. Un ritratto amaro, in cui l’Uomo non rimane indenne da colpe e da bassezze ma che fornisce anche la chiave del perdono.

La storia è il passato, per forza, e per comprenderla non puoi usare soltanto i parametri del presente e schiacciare il passato sulla logica dell’attuale. Certo, bisogna vedere se si tratta di un passato interessante e appassionante, ma questo, lo capisci, è un altro paio di maniche.


L’autore

Pierluigi Battista (Roma, 1955) è inviato e editorialista del «Corriere della Sera», di cui è stato vicedirettore dal 2004 al 2009. Ha lavorato come inviato alla «Stampa» e come condirettore a «Panorama». Per La7 ha condotto il programma «Altra Storia» (2003-2004). Fra i suoi libri ricordiamo: La fine dell’innocenza. Utopia, totalitarismo e comunismo (Padova 2000), Cancellare le tracce. Il caso Grass e il silenzio degli intellettuali italiani dopo il fascismo (Milano 2007), La fine del giorno. Un diario (Milano 2013) e I libri sono pericolosi, perciò li bruciano (Milano 2014), Mio padre era fascista (Milano 2016), A proposito di Marta (2017), Tutta colpa del dottor Zivago (2018), Libri al rogo (2018) e La cultura e la guerra all’intolleranza (2019). La casa di Roma è il suo primo romanzo.


  • Casa Editrice: La Nave di Teseo
  • Collana: Oceani
  • Genere: narrativa italiana
  • Pagine: 292