LA SPINTA di Ashley Audrain

Mi sono voltata a guardare il suo profilo in penombra, ed ero così triste che mi sentivo soffocare. Da quasi quattordici anni cercavo d trovare qualcosa, tra noi, che non v’era. Lei proveniva da me, l’avevo faqtta io, e c’era stato un tempo in cui l’avevo desiderata, un tempo in cui avevo creduto che sarebbe stata il mio mondo. Adesso sembrava una donna, c’era una sapenza femminile che le cresceva negli occhi, ed era in punto di sbocciare senza di me. Era sul punto di scegliersi una vita in cui per me non c’era posto. Mi avrebbe lasciato indietro.

Trama

È la vigilia di Natale e Blythe è seduta in macchina a spiare la nuova vita di suo marito. Attraverso la finestra di una casa estranea osserva la scena di una famiglia perfetta, le candele accese, i gesti premurosi. E poi c’è Violet, la sua enigmatica figlia, che dall’altra parte del vetro, a sua volta, la sta fissando immobile. Negli anni, Blythe si era chiesta se fosse stata la sua stessa infanzia fatta di vuoti e solitudini a impedirle di essere una buona madre, o se invece qualcosa di incomprensibile e guasto si nascondesse dietro le durezze e lo sguardo ribelle di Violet. Quando ne parlava con Fox, il marito, lui tagliava corto, tutto era come doveva essere, diceva. Era cominciata così, o forse era cominciata molto prima, quando era stata lei la bambina di casa. Blythe ora è pronta a raccontare la sua parte di verità, e la sua voce ci guida dentro una storia in cui il rapporto tra una madre e una figlia precipita in una voragine di emozioni, a volte inevitabili, altre persino selvagge. Un tour de force che pagina dopo pagina stilla tutto quel che c’è da sapere quando una famiglia, per preservare la sacralità della forma, tace. Viscerale, onesto fino alla brutalità, La spinta è un viaggio ipnotico e necessario nella psiche di una donna a cui nessuno è disposto a credere.

Recensione

C’è un destino, sotto la nostra pelle, al quale è assai complicato sottrarsi.

E c’è una strada, segnata dalla notte dei tempi, che si finisce per percorrere, inevitabilmente. Specie se si è donne.

Questo è il mantra che sta alla base dell’opera prima di Ashley Audrain, “La spinta”.

Un romanzo acclamato, uscito in contemporanea in 34 paesi. Un romanzo capace di tenere alta l’attenzione del lettore. Un diario di vita, di un’intera esistenza che scorre nel ricordo delle tare del passato, tare che ci portiamo addosso come stigmate.

La protagonista scrive in prima persona, si racconta, in modo intimo, senza alcune velo. Una vita che inizia già priva della spalla più importante e necessaria, quella della figura materna, una figura sfocata, assente, che scomparirà troppo presto. Una vita che sembra rifiorire grazie all’incontro con Fox, l’uomo di cui si innamora e che sposerà. La maternità sarà la tappa successiva, una tappa obbligata che tuttavia sconvolgerà la vita della protagonista. Tra Violet e la madre non scocca la scintilla. Violet è una bambina irrequieta, che fin dalla tenera età mostra alcuni lati di sé che spaventano la madre. Fin dai primi giorni Violet  respinge Blythe in tutti i modi possibili. Tra loro c’è un solco incolmabile, destinato ad ingrossarsi con il passare del tempo.

E la madre è del tutto incapace di gestire l’ondata devastante di sensazioni e di insicurezza che la travolge dopo il parto. Tra madre e figlia c’è Fox, sempre pronto a difendere e giustificare Violet e altrettanto propenso a scaricare sulla moglie la responsabilità del loro disagio familiare.

Ciò che leggiamo è storia risaputa. Diventare madre non coincide necessariamente con l’atto di mettere al mondo una creatura. Sentirsi sopraffatte, inadeguate, sbagliate. Private di un appoggio, di comprensione. Additate se stanche o riluttanti. Condannate se il neonato non è l’unico assoluto punto di riferimento.

Una madre conosce il proprio figlio meglio di chiunque altro. Eppure Blythe non sarà creduta quando sospetta un problema comportamentale in Violet. Tutto si ridurrà in una sua mancanza. Mancanza di pazienza, di comprensione, di gesti affettuosi. Mancanza di fiducia, di empatia, di resistenza.

Perché una madre deve incarnare l’apoteosi del sacrificio. Nulla può stancarla. Niente può indurla ad arrendersi.

E poi accade l’inevitabile. Blythe dovrà reinventare la propria vita, elaborare i propri lutti, fare la pace con il suo passato.

Ashley Audrain ci porta con sé in un vortice di emozioni forti, dentro ad un uragano di dolore e di solitudine. Bravissima a descrivere le tempeste emotive della protagonista e magistrale nell’istillare nel lettore qualsiasi sorta di dubbio. L’autrice non giudica mai Blythe, si limita a raccontare i fatti e lascia a noi lettori il metro per giudicar il dolore di una donna e di una madre.

Questo è un romanzo che non lascia scampo. Questa è una storia di destini, di ombre che si propagano a vista d’occhio, ad intaccare la vita di una madre e della propria figlia. Un incantesimo che si rinnova ad ogni generazione,  a ricreare dal nulla il dolore, il disagio e la morte.

Una storia di donne, di madri e di figlie. Madri intrappolate nei tentacoli che la figura materna stringe intorno alla loro vita. Donne che devono essere madri a tutti i costi. Donne chiamate a recitare un copione, a tenere fede a delle aspettative, a sacrificare tutto in nome della maternità.

Guai a chi non sappia adeguarsi. Guai a chi deve indossare un abito angusto, seppure adorno di tutte le bellezze del mondo. Donne così finiscono male. Sole, diseredate, folli. Malate incurabili, da tenere in gabbia. Da evitare. Donne che è preferibile vedere morte, piuttosto che libere di mostrare al mondo la loro insofferenza.

Madri bollate da un cancro incurabile, che è destinato ad infettare anche l’innocente che hanno loro malgrado messo al mondo.

Blythe deve lottare con questo demone quando a sua volta diverrà madre. Blythe non vuole assomigliare a Cecilia, sua madre, e a Etta, sua nonna. Entrambe madri cattive, malate,  folli. Madri incuranti dei loro figli, che troppo presto hanno lasciato la scena, consegnandoli ad un mondo ottuso e intransigente.

Eppure dovrà piegarsi fin da subìto ad un destino avverso. E nell’infelicità che ne deriva, è Blythe che è colpevole. Di non essere amorevole. Di non dedicarsi anima e corpo alla bambina. Di non essere paziente.

Quando tutto imploderà, gli equilibri familiari sono saltati da un pezzo. Blythe è sola e dovrà ricostruire la propria vita. Dovrà fare pace con se stessa, con i suoi ricordi. Ricostruire il rapporto sfilacciato con Violet e accettare la fine del suo matrimonio.

In un processo di accettazione e di crescita, che la porterà faccia a faccia con una verità spaventosa.

Quale sia la morale di questo romanzo?

Innanzitutto che la figura materna è pregna di un coacervo di luoghi comuni e di obblighi. Ma prima ancora, ci rammenta, semmai ce ne fosse bisogno,  la necessità di scindere la donna dalla madre. E di accettare che non tutte le donne vogliano vestire i panni del sacrificio e dell’abnegazione. Insomma, di tutto ciò che secoli di storia hanno gettato sulle spalli delle donne, che sono sante o streghe. Virtuose o meretrici. Senza una via di mezzo. Solo ai concetti estremi, dove è assai difficile trovare il proprio ruolo.

E poi, ci insegna quanto sia pesante il fardello di crescere con una madre che non si è votata esclusivamente al benessere del figlio. Un ruolo esigente, che vuole la madre annullarsi completamente nel suo ruolo, accantonando tutto ciò che la distoglierebbe da questo.

Ecco, dove l’istinto materno latita, c’è un figlio che cresce zoppo, amputato. Un figlio incompleto, che, se donna, rischia fortemente di generare un altro essere incompleto, e via e via in una ripetizione infinita.

Infine, questo romanzo ribadisce quanto sia difficile la missione di crescere un figlio, in una società ancora profondamente maschilista. Sulla donna ricadono tutti gli obblighi e tutti i doveri, che deve assolvere alla perfezione e con un sorriso stampato sulla faccia, indelebile e impassibile.

Con una scrittura coinvolgente ed intima, Ashley Audrain entra in punta di piedi ma con enorme fragore nel mondo delle donne. Distrugge con grande leggerezza più di uno stereotipo e ha il coraggio di assumere una posizione scomoda e dissacrante nei confronti della maternità, urlando a squarciagola la necessità di dare sostegno alle donne e alle madri del nostro tempo, riabilitando, al tempo stesso, le donne e le madri del passato.

Le donne che leggeranno questo romanzo si riconosceranno in queste madri, vittime del pregiudizio e di svariati tipi di meschinità.

Gli uomini, invece, imparino ad amare le donne della loro vita. A sostenerle e a celebrarle. A credere nel loro infallibile istinto. A sorreggerle quando il loro passo si farà incerto. Perché il mondo ha bisogno delle donne. E ha bisogno che siano amate e realizzate.

L’autrice

Ashley Audrain vive a Toronto. Ha lavorato a lungo come capo ufficio stampa di Penguin Books Canada. La spinta, il suo primo romanzo, ha conquistato gli editori di tutto il mondo: è in corso di traduzione in 34 paesi e i diritti televisivi sono stati acquisiti dai produttori di C’era una volta a… Hollywood.

  • Casa Editrice: Rizzoli
  • Traduzione: Isabella Zani
  • Genere: narrativa straniera
  • Pagine: 348