
Trama
Sopravvivere alla guerra, alla deportazione e al carcere, scampare a una condanna a morte e ritrovare la libertà tramite un lento e accanito ritorno verso casa, restare in vita per testimoniare e non far dimenticare un’esperienza che ha coinvolto migliaia di resistenti contro la barbarie nazista: tutto questo è Ora che eravamo libere, l’intenso memoir che la giornalista olandese Henriette Roosenburg pubblicò nel 1957 e che, grazie all’immediato successo presso i lettori americani, documentò in modo diretto la Nacht und Nebel, la terribile direttiva emessa nel dicembre 1941 da Adolf Hitler volta a perseguitare, imprigionare e uccidere tutti gli attivisti politici invisi al regime nazista. Nata nel 1916 in Olanda, Henriette Roosenburg aveva appena cominciato l’università quando si unì alla resistenza antinazista. A causa della sua attività come staffetta partigiana prima e giornalista poi, nel 1944 fu catturata, imprigionata nel carcere di Waldheim in Sassonia e condannata a morte. Nel maggio dell’anno successivo, venne liberata assieme ad altre sue compagne di prigionia, iniziando un lunghissimo viaggio per tornare a casa, un’autentica odissea attraverso la Germania sprofondata nel caos di fine conflitto. In mezzo a soldati alleati che presidiano il territorio, nazisti in fuga e tedeschi diffidenti o addirittura ostili perché ancora fedeli al regime, tra innumerevoli astuzie, baratti e peripezie, le protagoniste di questa estenuante via crucis riusciranno alla fine a riabbracciare le proprie famiglie in patria.
Procedendo in modo limpido e preciso e con una lingua duttilissima ma priva di sbavature, guidata dall’urgenza dell’affermazione dei fatti accaduti, Henriette Roosenburg ci offre non solo un momento cruciale della propria personale esistenza, ma soprattutto un poderoso affresco della tragedia che ha coinvolto milioni di vite durante e immediatamente dopo la seconda guerra mondiale. Bestseller negli anni Cinquanta, ai tempi della prima uscita americana, questo potente memoir viene oggi riscoperto a livello internazionale.
Recensione
Non sono mai troppe le testimonianze di diritti calpestati. Di prigionie, di segregazioni, di privazioni.
Mai come in questo momento storico, in cui l’individualismo imperversa più o meno indisturbato, storie come questa sono necessarie a ricordarci la necessità di mantenerci umani, ossia uomini e donne dotati di un sentimento di empatia, solidarietà e compassione verso il proprio simile.
Henriette Roosenborg, giornalista olandese che subì la dura prigionia nel carcere di Waldheim , ci racconta, con i toni concisi del diario, il suo ritorno a casa dopo la liberazione della Sassonia da parte dell’esercito russo. Risparmiando al lettore il racconto della prigionia, a cui fa un breve cenno nella parte iniziale del suo romanzo, la Roosenborg ci porta con sé lungo le strade dissestate della Germania sconfitta, disseminate di povertà, diffidenza, morte. Strade battute dai soldati russi, che presidiano ogni angolo con l’aria di chi ha conquistato la terra con il sangue. Strade che conducono a fattorie ormai sterili, dove si sopravvive a stento, o attraverso paesi distrutti. E lungo quelle strade i tedeschi, scarne figure impallidite dalle privazioni di una guerra infinita, combattuta a tutti i costi, anche dopo che lo spauracchio della sconfitta si è fatto sempre più concreto e palpabile.
Henriette ha ventinove anni, proviene da una famiglia della borghesia. E’ stata una ragazza forte e indipendente, che ha deciso di mettere in gioco la propria vita al servizio della resistenza olandese.
Quando noi la conosciamo, invece, è ormai l’ombra di ciò che è stata. Denutrita, sporca, privata di tutto ciò che era solo pochi mesi prima. Con lei i suoi compagni di sventura, esseri senza nome né sesso.
All’arrivo dei russi Henriette si ritrova libera. Una libertà che cela dietro sé un’altra ben più orribile prigionia, quella della perdita della speranza. I prigionieri sono allo sbando in balia di se stessi, spinti a rinchiudersi nuovamente nei campi profughi.
La storia di Henriette e dei suoi compagni di viaggio tuttavia ci dimostra che la forza dell’uomo è inesauribile. Anche nella disperazione più profonda, questa forza ci spinge a sopravvivere. A fugare ogni nostra paura, ogni nostra viltà. A mettersi in gioco, a sfidare un nemico più forte e enormemente spaventoso che può, con un semplice schiocco di dita, decidere della nostra vita.
Così Henriette e i suoi compagni si metteranno in viaggio verso casa. Senza contare la debolezza derivante dalla malnutrizione e i pericoli che fanno capolino ovunque. Senza pensare al domani, ma solo all’oggi. A placare la fame, a sopportare le vesciche ai piedi, a ripararsi dalla pioggia. Ad aguzzare l’ingegno per eludere i rischi di un viaggio a piedi lungo le terre occupate.
Henriette e gli altri andranno avanti fino alla meta. Niente potrà fermarli. Il loro è un destino vincente. Loro sono uomini e donne che non sono destinati a morire.
Al contrario, dovranno confrontarsi con l’istinto di sopravvivenza, il più potente degli istinti umani e con la consapevolezza che tra le file nemiche potranno trovare un sorriso appena accennato, una mano tesa e una crosta di pane secco. Segni che inducono la protagonista a mettere in discussione l’assunto che in ogni tedesco si nasconda un nemico implacabile e cinico.
Pur nella miseria più disumana e dilagante, c’è sempre la possibilità di imbattersi in un raggio di sole.
Segno che l’umanità non è segnata a morte. Segno che c’è ancora speranza che l’uomo serbi nel profondo un briciolo di cuore. Un diario intimo e doloroso che non assume mai, tuttavia, i toni esasperati e striduli della denuncia. La Roosenborg si limita a scrivere una cronaca, in cui solo a sprazzi si lascia andare a libere considerazioni sulla sua esperienza e sulla sua condizione. L’autrice si guarda vivere dall’alto e ci lascia una disarmante testimonianza sulla forza della vita. Che non va dimenticata, mai.
L’autrice
Quando scoppiò la seconda guerra mondiale, Henriette Roosenborg era studentessa di Lettere. Audace e avventurosa, prese subito parte alla resistenza olandese: lavorava per la stampa clandestina e aiutava le persone ad attraversare il confine. All’inizio del 1944 fu catturata dai nazisti e condannata a morte per ben tre volte. Emigrata in America dopo il conflitto, morì nel 1972 a New York dopo un’appassionata carriera giornalistica che la vide diventare una delle firme di maggior prestigio del «Time».
- Casa Editrice: Fazi editore
- Collana: Le Strade
- Genere: autobiografico
- Pagine: 455
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