
Trama
Una bambina di dieci anni canta, in grembiule azzurro e anfibi rossi, davanti a un mare di grano. È Martina, che non fa domande, che cerca di capire con gli occhi. E attraverso il suo sguardo, che vede il mondo con lo stupore assorto, un po’ imbambolato, dei grandi saggi, il lettore entra nel racconto perfetto di un mistero. Alla fine dell’anno scolastico, nel tempo breve e infinito di un’estate, tra i campi gialli e verdi di Granarolo dell’Emilia, lontano dallo sguardo degli adulti, un gruppo di bambini si esercita in giochi proibiti sempre piú estremi. Buono e cattivo, gioia dolore e schifo, e anche l’orrore, ci sono, semplicemente. Attraverso il punto di vista di Martina, Matteo, Luca e Mirko, il ragazzo piú grande, quindici anni, il capo del gruppo. L’esordio, di straordinaria maturità, di una scrittrice che, riallacciandosi a Marguerite Duras e Ian McEwan, sa raccontare l’universo dei bambini e quasi adolescenti tra innocenza e corruzione, tra giochi odori cose familiari e certezze spensierate di una volta, il rock acido dei Soundgarden e la scoperta del sesso, del corpo, e di come sia inevitabile e spaventoso crescere.
Recensione
Questo romanzo è già vecchio, perché è uscito nel 1997. Quando internet era pressoché sconosciuto e i social erano lungi dal prendere piede nelle nostre vite. Quando, insomma, tutti noi eravamo più innocenti e più veri. Gli anni in cui i bambini giocavano ancora per la strada e suonavano i campanelli.
Non sono dunque i social i responsabili di ciò che andremo a leggere. E’, piuttosto, un tarlo ben più letale e pericoloso, chiamato assenza. Assenza di interesse, in tutte le sue declinazioni.
Ciò che ci aspetta è la storia di una deviazione. Di qualcosa che profuma di innocenza perduta e che vira, a poco a poco, nell’odore persistente dell’incoscienza. Un odore che non si definisce. Che tuttavia assomiglia all’afrore della tragedia, alla quale non sappiamo dare altro nome. La tragedia che i bambini stessi, autori e vittime, non sanno riconoscere come tale, alla quale arrivano pieni del loro candore e della disarmante semplicità con cui guardano alla vita. Lasciandosela vivere addosso. Senza farsi domande. Senza stupore, né limiti. Perché la moralità è un concetto inesistente e sconosciuto per dei bambini, a cui niente appare vietato o cattivo, poiché vissuto con naturalezza e curiosità.
La storia è forte e probabilmente non è per tutti. La lettura è tagliente, ti segna con una ferita purulenta, che non guarisce. Fin da subito farà storcere il naso a chi vede l’infanzia come l’Eden della nostra esistenza, in cui conta solo essere amati ed amare, crescere e costruirsi la propria identità. Andare a scuola, giocare con gli amici, cullarsi nell’innocenza, la stessa innocenza, lo stesso candore che diventa, poi, a poco a poco, un fardello, un peso che impedisce di spiccare il volo.
E lassù, in quel cielo viola e abbacinante, quante cose ci sono da scoprire! E quante di queste scoperte saranno esperienze che il bambino vuole vivere in autonomia, senza il filtro dei genitori.
In questo romanzo assistiamo al fallimento del ruolo del genitore come guida. Una inadeguatezza che diventa cecità. E una cecità che si legittima con la difficoltà di guardarsi dentro, di mettersi in gioco e in discussione. E di questi bambini, questi figli che crescono troppo in fretta senza lasciarci il tempo di crescere anche noi con loro, non sappiamo più nulla. Cosa pensano, di cosa hanno paura, cosa li rende felici. Un romanzo in un certo senso profetico, che in epoca non sospetta evidenzia le difficoltà del ruolo genitoriale in una società in cui il concetto di tabù diventa sempre più indefinito e la solitudine dei bambini e degli adolescenti è sempre più dilagante.
Questi bambini, che cedono alla necessità della scoperta, che esplorano da soli le loro sensazioni. Il cui corpo, seppure acerbo e che fino a poco fa non avevano neanche degnato di uno sguardo, inizia a palpitare, Un corpo che non esitano e cedere in prestito senza pudore, in un vortice di gioco, di ascolto, di condivisione. Un corpo che sboccia, che esplode. Una sessualità precoce e assillante che non trova supporto nel pensiero, ancora immaturo e suscettibile di essere manovrato da stimoli esterni alla famiglia.
Una lettura che vi terrà svegli e che prenderà il vostro stomaco in una morsa. Che vi aprirà gli occhi in modo doloroso e indimenticabile. I bambini a un certo punto, inspiegabilmente e senza preavviso, cessano di essere bambini e diventano altro. I bambini, ad un certo punto, obbediscono ad una voce estranea, ipnotizzante. Un richiamo troppo forte, troppo opprimente. Non sentono e non vedono altro che la propria voglia di crescere e di sperimentare.
La nostra voce allora dovrà farsi più alta, più squillante. Bisognerà farsi sentire, che noi ci siamo e siamo qui per loro. Siamo qui a tendere una mano e a incoraggiare i loro passi. Per trattenerli ma anche per lasciarli andare. E quando sono troppo distanti e il filo che li lega a noi rischia di rompersi, bisognerà urlare, con tutto il fiato di cui siamo capaci, per riportarli a casa.
Simona Vinci irrompe sulla scena editoriale con questo romanzo potente, scioccante, a tratti scandaloso. Una scrittura asciutta, capace di interpretare magistralmente il ruolo di un preadoloscente, del quale mutua pensieri, atteggiamenti, persino la sua fisicità e il suo muoversi, dinoccolato, incerto, fiducioso, nello sconfinato mondo esterno alla famiglia. Una prosa che si nutre di immagini. Immagini forti, crude, che tuttavia si addolciscono e si stemperano nel lattiginoso limbo in cui si trovano i nostri figli, invischiati nell’infanzia, dove noi vorremmo farli rimanere il più a lungo possibile, e protesi pericolosamente verso il mondo degli adulti, del quale copiare comportamenti, parole e schemi.
Una lettura che assomiglia ad un viaggio. Attraverso i campi, in mezzo ai grilli, dentro ai fossi. Un percorso dritto, che serve per crescere e per diventare adulti. Un viatico che porterà questi ragazzi, ormai cresciuti, verso la consapevolezza. Una lettura che spacca tutto ciò in cui si imbatte. Che siano coscienze, che siano speranze, che sia pudore. Una lettura che, una volta fatta, niente sarà più come prima.
- Editore: Einaudi Editore
- Genere: narrativa contemporanea
- Pagine: 169
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.