DRESS CODE ROSSO SANGUE di Marina Di Guardo

Accarezzò quel volto nella foto, gli mandò un bacio, ormai era diventata un’abitudine. Non ti lascerò andare nell’ignonimia. Quella riflessione, sorta dentro di lei quando aveva rivisto il biglietto che Franco le aveva scritto, aveva il sapore di un feuilleton ottocentesco, ma in cuor suo, risuonò di forza e verità.
A letto, tirò il piumino fin sopra alla testa. Era una tiepida notte di primavera, ma il freddo non l’abbandonò fino al mattino.

Trama

Cecilia Carboni ha venticinque anni e per buona parte della vita si è ritrovata a seguire, suo malgrado, i diktat imposti dal padre Alberto, uno dei più quotati avvocati milanesi. Proprio per volere suo, si è laureata in Giurisprudenza e ha iniziato il praticantato nello studio legale di famiglia. Il suo futuro sembra già delineato, quando un giorno le viene rivolta una proposta allettante: lavorare nel prestigioso showroom di Franco Sartori, uno degli stilisti più celebri al mondo. Lei, da sempre appassionata di moda, per una volta non ha esitazioni, e sceglie di darsi finalmente la possibilità di decidere da sola della propria vita, senza tener conto del parere degli altri, compreso quello del fidanzato Andrea, avvocato a sua volta e collaboratore di Alberto. La scelta si rivela azzeccata: Cecilia è brava, chiude contratti importanti, tanto che brucia le tappe, fino ad assumere un ruolo di rilievo alla Maison Sartori, nonostante Georgette Lazare, direttrice dello showroom, le remi contro. Ma il destino ha in serbo per lei amare sorprese. Franco Sartori viene trovato assassinato in un cascinale in rovina. E chiuso in una custodia di seta dei suoi abiti da sera, ha una croce rovesciata incisa sul petto e, circostanza ancora più sconvolgente, il suo corpo è collocato dietro una sorta di altare allestito con gli inconfondibili elementi di una messa nera. Per Cecilia è l’inizio di una caduta verticale agli inferi. Sono le convulse settimane delle vendite primaverili, e lo showroom si popola non solo di clienti, ma anche di poliziotti, misteri, segreti insospettabili e purtroppo anche di nuove vittime, ancora in contesti inquietanti. Chi c’è dietro gli omicidi? E se fosse proprio Cecilia la prossima nella lista? L’abisso è pronto a inghiottirla, svelando verità che mai avrebbe immaginato. Con il suo nuovo thriller, Marina Di Guardo questa volta ci porta tra le mille luci (e ombre) del jet set milanese, dentro ai locali più esclusivi e ambigui della città della moda e giù in fondo al cuore, a volte nerissimo, dei suoi protagonisti.


Recensione

L’ambiente roboante, dinamico e abbacinante della moda non è affatto sconosciuto a Marina Di Guardo, brillante autrice di thriller con un rilevante trascorso come vicedirettrice di un importante showroom. L’autrice si serve della sua esperienza per regalare al lettore un vivace spaccato di vita tra le mura di un atelier, ove modelle filiformi si muovono sinuose tra i buyers e venditori poliglotti e multitasking conducono trattative e piazzano capi di abbigliamento sul mercato internazionale per cifre da capogiro.

La moda costruisce habitat polifonici, multicolore, frizzanti e per certi versi spietati. Perchè la moda, prima di essere apparenza, è sostanza, intrisa di lacrime, sudore, sacrificio, perfezione, sogno. La moda rappresenta la favola che sopravvive dentro agli uomini e alle donne, ecco perché deve rasentare un ideale di compiutezza, di meraviglia. E per questo ideale  si sacrifica tutto, tanto è forte il richiamo della bellezza.

In nome della bellezza si è pronti a sacrificare molto, a volte anche un ideale, a volte anche la propria pelle. Ma anche in nome della ricchezza, del potere si può sacrificare tutto, o quasi. Tutto, si, purchè si possa continuare a stare sulla breccia.

La storia di Cecilia è un po’ una storia così. Lei ha rinunciato al lavoro nel prestigioso studio del padre per inseguire il sogno un po’ irrazionale di lavorare nell’ambiente della moda. Il padre non glielo ha mai perdonato. La madre è assente, presa dalla sua vita inconsistente e superficiale.

Cecilia è sola e può contare solo sull’appoggio di un buon amico e del fidanzato, partner nello studio del padre, bello come un Dio ma con la tendenza a voler pilotare la vita di Cecilia. Il lavoro le dà grandi soddisfazioni, finchè una disgrazia si abbatte come un fulmine sull’atelier. Il piccolo mondo di Cecilia si sgretola. La rabbia, la delusione, il dolore della perdita saranno le molle che la spingeranno ad indagare in silenzio sulle morti inspiegabili e crudeli che si sono abbattute sulla casa di moda milanese.

Il romanzo è un thriller incalzante, disseminato di sangue e di morte. Irto di personaggi sospetti  e di misteri da sciogliere. In un crescendo di sconcertanti scoperte, Cecilia verrà a contatto con una realtà inaspettata, fino all’epilogo finale, che sconvolgerà molte nostre convinzioni.

Un gioco di specchi, un mix di apparenza e di sospetto che Marina Di Guardo conduce con sicurezza e grande spolvero di prosa, sempre brillante, accattivante e stimolante per il lettore, che si troverà senza volerlo a scandagliare la vita della protagonista e dei suoi colleghi, intrappolati nella morsa di un lavoro all’apparenza luccicante ma anche schiacciato dall’intransigenza della perfezione, che mai come in questo romanzo appare come un tiranno subdolo e inviso. L’autrice ci ha abituato a dei finali inaspettati e anche in questo suo ultimo lavoro non ci delude. Una grande sorpresa attende al varco il lettore, che vedrà disattese parecchie delle sue aspettative. La Di Guardo è brava a sviarci e a costruire illusioni a uso e consumo dell’inconsapevole lettore, costretto a passare, senza soluzione di continuità, dalla delusione alla presa di coscienza che le cose, come nella vita, raramente vanno come ci saremmo aspettati.


L’autrice

Marina Di Guardo è nata a Novara ma ha origini siciliane. Vive tra Cremona e Milano. Prima di dedicarsi alla scrittura, ha lavorato come vicedirettrice dello showroom di Blumarine. Ha esordito nella narrativa con il romanzo “L’inganno della seduzione”, poi seguito da “Non mi spezzi le ali”. Il passaggio definitivo al thriller risale al 2015, quando pubblica nella collana digitale Zoomfiltri di Feltrinelli, curata da Sergio Altieri, “Bambole gemelle” e “Frozen bodies”. Con Mondadori ha pubblicato “Com’è giusto che sia”(2017), “La memoria dei corpi”(2019) e “Nella buona e nella cativa sorte” (2020).


  • Casa Editrice: Mondadori
  • Genere: thriller
  • Pagine: 321

NELLA BUONA E NELLA CATTIVA SORTE di Marina Di Guardo

All’improvviso tutto fu silenzio. Non si avvertì più il frusciare delle foglie, il ritmo sincopato del frinire delle cicale, i molteplici, sconosciuti suoni che avvolgevano il bosco. Il tempo sembrò essersi fermato in un momento ben preciso. Quello in cui Irene si era ritrovata davanti a quel corpo di bambina riverso per terra: la posa scomposta, i vestiti spiegazzati, sporchi di fango, i capelli che coprivano buona parte di quel volto.

Trama

Irene, giovane illustratrice di talento, vive da anni ostaggio del marito Gianluigi, manager geloso e violento, convinta, come tante altre vittime di violenza domestica, di meritarsi la semi-segregazione a cui lui la costringe a forza di minacce e lividi. All’indomani dell’ennesimo litigio, grazie al sostegno di Alice – l’amica d’infanzia trapiantata a Londra – Irene trova finalmente il coraggio di ribellarsi: mentre il marito è al lavoro, carica in macchina la loro piccola figlia Arianna e scappa da Milano, per correre verso un piccolo paese di provincia nella casa in cui è cresciuta e che i genitori le hanno lasciato in eredità. Gianluigi però la rintraccia prima del previsto, e le ordina di tornare in città, preannunciando ritorsioni – non solo da parte dei suoi avvocati. Irene sente le forze già esili cedere, ma nel paese scopre insperati alleati: un’anziana vicina di casa, un negoziante che forse ha un debole per lei… Purtroppo, inquietanti incidenti minacciano presto la sua fragile serenità. Irene nonostante tutto cerca faticosamente di rimettere insieme i cocci della sua vita, ma tutto precipita quando chi dovrebbe proteggerla da Gianluigi viene ritrovato brutalmente assassinato.

Recensione

“Nella buona e nella cattiva sorte” è un romanzo che lascia il segno.  E’ accattivante,  tentacolare, nero.

Un romanzo che esplora l’inesplorabile.  Che narra l’inenarrabile.  Che scava dove fa più male.

Un storia che potrebbe essere la storia di ognuna di noi, che abbiamo schivato una sorte avversa forse per mera fortuna. Perché abbiamo avuto il dono inestimabile di vivere senza che la molla della follia e delle scelte avverse e scellerate ci abbia toccato.

Difficile che non ci sia capitato, almeno una volta, di subire delle prevaricazioni, magari proprio da una persona a noi vicina. La violenza non è solo quella fisica. E’ verbale; è insita in un atteggiamento. O anche in una situazione di svantaggio, quale che sia, causata esclusivamente dal nostro essere donna.

E’ per questo motivo che tutte noi lettrici ci immedesimeremo immediatamente in Irene e vivremo in un’angoscia costante durante la lettura del romanzo.

Irene è la vittima perfetta. Non è indipendente economicamente. Non ha più la spalla rassicurante dei suoi genitori, entrambi morti. Non ha un fratello, non ha una sorella. Ha una sola amica, che però vive all’estero e non può garantire ad Irene una presenza fisica. Ha solo sua figlia, una bambina di 10 anni che vive insieme alla madre l’incubo e il disagio di avere un padre violento. Che teme ma che non cessa di voler compiacere, suo malgrado, e che ha un rapporto ambiguo anche con la madre stessa.

La lettura non si affranca mai dalla sensazione di claustrofobia che pervade il romanzo.  Leggendo si entra in un vortice di paura e si angoscia. Ci si sente indifesi, completamente in balia degli umori di un uomo folle e violento, la cui suscettibilità e la cui malvagità sembrano  non avere confini.

La discesa verso gli inferi è lenta ma inesorabile. Irene sembra destinata a soccombere; tutto intorno a lei parla il linguaggio della morte, che in realtà la insegue da sempre e che ha assunto, nel tempo molteplici sembianze: quelle dell’amica di infanzia, scomparsa misteriosamente quando erano bambine,  quelle della madre, schizofrenica e anaffettiva ed infine quelle di chi ha provato a difenderla dall’ira cieca dell’ex marito.

Leggere un noir significa essere pronti a qualsiasi orrore. Significa confrontarsi con il lato buio che è in ognuno di noi e saperlo accettare. Significa, ancora, saper rinunciare ad un lieto fine e essere aperti a risvolti inattesi e spaventosi.

Ed ecco che torna ad affacciarsi in noi l’immedesimazione, quel tarlo che è capace di instillare il male e la sue subdole potenzialità dentro alla nostra testa.

Alla fine, è inevitabile interrogarci su quali siano le pulsioni che inducono una persona a fare del male al suo prossimo. A volte il male è o appare l’unica soluzione.

Ecco, leggendo “Nella buona e nella cattiva sorte” si ha davvero la misura di quanto siano forti quelle pulsioni e di quali e quanti traumi possono, anche a distanza di molti anni, ridestare la nostra mente e portarci a prendere delle decisioni discutibili.

Marina Di Guardo è maestra nel portare il lettore dove vuole.  E’ maestra nel ricreare le atmosfere claustrofobiche dove irrazionalità e timore di fondono in una miscela esplosiva, capace di offuscare la razionalità.

Marina ci guida in un percorso pieno di insidie. Magistrale affabulatrice, serba per i suoi lettori dei risvolti inattesi, che giungono a sorprenderci, proprio quando una velata certezza inizia a farsi strada nella nostra mente.

Inaspettatamente, sarà dolce naufragare nel mare del dubbio, come lo sarà risvegliarci nella consapevolezza di non essere riusciti a intuire la verità. E non ne vorremmo all’autrice per averci ingannati, perché alla fine la sorpresa sarà maggiore del risentimento di essere stati in qualche modo raggirati, nonostante gli appigli che l’autrice ci ha gettato ai piedi ma che noi non siamo riusciti a cogliere.

Non ravviso controindicazioni a questa lettura. Scorrevole, disseminata di personaggi carismatici e ben delineati. Una lettura che non ti  molla un attimo, che non ti dà respiro.

Che ti fa riflettere sui risvolti del destino e sulle conseguenze dei nostri traumi. Che ti lascia a bocca aperta con un finale inaspettato. Che parla del Male senza mai scendere in dettagli macabri.

Che ti lascia, alla fine, con un’espressione attonita e compiaciuta al tempo stesso. Mentre sogghigni a mezza voce un’espressione di stupore.

L’autrice

Marina Di Guardo è nata a Novara ma ha origini siciliane. Vive tra Cremona e Milano. Prima di dedicarsi alla scrittura, ha lavorato come vicedirettrice dello showroom di Blumarine. Ha esordito nella narrativa con il romanzo L’inganno della seduzione (Nulla Die, 2012), poi seguito da Non mi spezzi le ali (Nulla Die, 2014). Si misura per la prima volta con il genere thriller nel 2015, quando pubblica nella collana digitale ZoomFiltri di Feltrinelli, curata da Sergio Altieri, Bambole gemelle. Con Mondadori ha pubblicato i thriller Com’è giusto che sia (2017), opzionato per una serie televisiva, e La memoria dei corpi (2019), i cui diritti cinematografici sono stati acquistati da una casa di produzione americana. La memoria dei corpi è stato pubblicato in Grecia, in Polonia e presto uscirà anche in Brasile e in altri Paesi.

  • Casa Editrice: Mondadori Editore
  • Genere: noir
  • Pagine: 219