
possa danzare la penna
nuda in controluce
nel crepuscolo.
Cerco un lieto fine,
ospite non abituale
tra le mie righe.
“Jonathan Rizzo non è poeta che si lascia imbrigliare dalle facili maglie di una critica letteraria, men che meno da quelle di una breve introduzione alla sua raccolta “Le scarpe del flâneur”. La sua è una poesia corporale, della presenza, del suo farsi e del suo dirsi, per poi disfarsi nel vortice degli attimi da vivere fino in fondo. Forse il futuro e il tempo ci restituiranno lo sguardo prospettico in grado di analizzare il poeta unicamente per i suoi scritti. Oggi vale la pena “godersi” appieno tutta la vitalità e la corporalità di un poeta fuori dagli schemi e che sa di esserlo.”
Recensione
Il Flaneur passeggia per la città. Non ha una meta, ma solo occhi per guardare, registrare e trarre conclusioni sulla vita e sull’esistere, oggi. Osservare senza essere osservati. Osservare e abbeverare la mente delle immagini quotidiane ed intime di chi incontra.
Il flaneur è un guardone urbano appena tollerato dagli altri, oppure deriso o osteggiato. Dai suoi occhi svagati e attenti esce l’essenza della vita immediatamente dopo che sono entrati il fulgore, la tragedia, la disillusione, la solitudine, il bisogno di amare.
Il flaneur per antonomasia si muove per le strade di Parigi, battute dalla pioggia e inondate dalla musica di un organetto. E’ raro che il flaneur non sia preda della malinconia. E non è nemmeno opportuno, perché senza malinconia viene meno l’attitudine alla poesia.
Un’attitudine che è nata insieme a Jonathan Rizzo, cultore di Charles Baudelaire e di Parigi, che è madre ed è figlia dei suoi versi.
Le poesie di Rizzo hanno tante voci diverse: la voce arrochita del popolo, che esce dalle rime baciate. La voce dei disperati, che attendono un conforto che non viene. La voce del fiume, umida e folle. La voce del clochard, che dal basso può vedere anche i particolari più invisibili. La voce di chicchessia passeggi per i boulevard, senza meta.
Una voce che vuole essere ascoltata e che lo fa con semplicità. Strade, quartieri, nuvole, pozzanghere. Nelle poesie di Rizzo c’è il mondo intero. Versi in cui specchiarsi, per riflettere/rsi.
Una voce che incanta ed ipnotizza, perché ha la capacità di raffigurare in noi immagini fugaci e prorompenti come istantanee di piccole tragedie quotidiane. Ma dietro di esse c’è sempre un filo di sottilissima ironia, lieve come cipria sul volto stanco di una donna di strada. Una poesia che è anche dissacrante e che dall’alto della sua pretenziosità vuole demolire il mondo che essa stessa crea, con le parole, a volte scelte con cura, ma più spesso gettate nella mischia dei versi.
L’autore
Nato a Fiesole nel 1981, da origini elbane. Cresce e studia a Firenze fino alla Laurea magistrale in Scienze storiche. Da lì si trasferisce a Parigi per scrivere il suo primo libro, L’illusione parigina (Edizioni Porto Seguro, 2016). Nello stesso anno entra nell’antologia di Affluenti, nuova poesia fiorentina (Ensemble). Nel 2017 pubblica Eternamente Errando Errando (Edizioni La Signoria).
- Casa Editrice: Edizioni Ensembles srls
- Genere: poesia
- Pagine: 92
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