
Un messaggino sul telefono la svegliò dal sogno dentro il quale era stata catapultata, si stava immaginando a casa, in Nigeria, con la madre, il padre e i propri fratelli e sorelle attorno ad un tavolo a mangiare (…)
“Quando tutto questo sarà finito, avrò abbastanza soldi per tornare a casa” aveva pensato Assya mentre con il cellulare in mano si avvicinava alla finestra. A illuminare l’oscurità c’erano solamente le quattro frecce lampeggianti di quell’automobile parcheggiata a bordo strada. Disagio, angoscia e malinconia si fecero largo dentro l’animo di quella giovane donna che poi si voltò, afferrò un soprabito dalla spalliera della sedia e lo indossò.
Trama
Torino, il cadavere di una ragazza di colore viene trovato sulle sponde del fiume Po.
Il responsabile dell’indagine è il commissario Riccardo Montelupo, un poliziotto sui generis ma integerrimo e amatissimo dai suoi collaboratori.
La scarsità di indizi e un muro di omertà rende complicato dipanare la matassa che si cela dietro questo omicidio, fino a che una fuga di notizie e la decisione di un cronista di pubblicare le immagini del cadavere martoriato daranno un’improvvisa accelerata alle indagini.
In una Torino multietnica e postindustriale, in cui sfruttati e sfruttatori non sono sempre così distinguibili, si snoda una vicenda che metterà a dura prova il commissario Montelupo facendo vacillare anche alcune sue certezze.
Recensione
Quando un ottimo thriller sta dove non ti aspetti.
Non occorre un volto noto o un nome altisonante per partorire un buon romanzo. Gioele Urso è solo al suo secondo lavoro e probabilmente è sconosciuto ai più. Eppure possiede la qualità principale che deve avere uno scrittore di thriller. Tenere il lettore sulla corda, mantenendo l’interesse alto in modo costante.
Insomma, gradevolissima sorpresa per me la lettura di questo libro di poco più di 200 pagine, confezionato in un volume di piccole dimensioni, maneggevole e dall’aspetto grafico accattivante.
Con un incipit aggressivo e di grande effetto, il romanzo si fa subito prorompente, portandoci sulla scena di un delitto e presentandoci a stretto giro di pagine il protagonista, il commissario Riccardo Montelupo.
Uomo di poche parole, schietto sino a sconfinare nell’irriverente. Poco incline a rispettare le regole se il fine giustifica i mezzi scelti per perseguirlo. Un commissario che antepone il suo essere Uomo rispetto alla sua professione di tutore della legge. Di lui non sappiamo molto. Niente accenni alla sua vita privata, al suo passato. Montelupo cede il palcoscenico all’indagine, ma soprattutto alla storia, quella riferibile alla trama ma anche e soprattutto alle vicende attuali che ci coinvolgono tutti i giorni, di cui, volenti o nolenti, è pervasa la nostra vita.
Ciò che subito si fa strada nel lettore tuttavia è un senso di fiducia in questo integerrimo poliziotto. Ci si affida a lui, approvando le sue scelte investigative e confidando che il suo istinto ci porterà alla soluzione del caso.
Un caso che subito si mostra difficile. E anche incapace di portare su di sé l’interesse dell’opinione pubblica.
Quando a morire è una giovane ragazza di colore, probabilmente una prostituta, è più facile girare lo sguardo. Quando a morire è uno dei tanti derelitti che affollano Torino, sporcandola con i loro stracci e la loro aria smarrita, in fondo si può anche soprassedere dal trovare a tutti i costi un colpevole. Perché i colpevoli sono figure nebulose e senza corpo. La povertà, la paura, la fame. La prostituzione, lo sfruttamento, la tossicodipendenza. Mostri enormi e senza corpo che ingoiano chi è debole e senza difese. Morti che appartengono ad un limbo di disperazione e di smarrimento.
In quei giorni Torino assiste allo sgombero dell’ex villaggio olimpico. Una struttura fatiscente e spettrale che implode nella sua decadenza e che da molto tempo è occupata da migranti, spettri essi stessi, uomini e donne che dovevano essere collocati nella società civile ma che sono stati dimenticati per strada, vittime di qualche distrazione legislativa.
Aamiina è una mediatrice culturale che da tempo si occupa di assistere i migranti nella scelta volontaria di lasciare l’ex villaggio olimpico per aderire ad un programma di ricollocamento. In molti hanno acconsentito a lasciare le palazzine fatiscenti e maleodoranti. Tra questi anche Assya, una giovane nigeriana che lotta per spezzare le catene che la tengono prigioniera di chi l’ha portata in Italia.
In mezzo alla disperazione più abbietta che trasuda dai muri ammuffiti delle palazzine c’è anche chi ha trovato il modo di sfruttare i più deboli, arricchendosi sulle lacrime altrui. E in fondo alla catena, tra sangue, odio e dolore, ci sono gli insospettabili. Uomini potenti che decidono sulla vita e sulla morte con uno schiocco di dita.
Assya muore, trucidata e violata. E dalla sua morte si dipana tutta la vicenda, che Montelupo dirige con grande lucidità ed acume.
Dove c’è dolore e la compassione latita è difficile trovare un colpevole. Tutt’al più si può trovare una verità e scoperchiare una pentola, ma non di più.
Ottima prova per Gioele Usrso che con una scrittura che va dritta al cuore orchestra una storia cruda e dissacrante su una città che mostra i suoi gioielli più belli e preziosi, incastonata in una cornice di meravigliosa bellezza e opulenza, ma che nasconde con un trucco pesante e volgare le piaghe di una migrazione ignorata e disumana.
L’ambientazione di questo romanzo è stupefacente. La dicotomia tra fasti del passato e degrado del presente, unita alla crudele capacità di non vedere ciò che invece è sotto gli occhi di tutti, regala al lettore un’esperienza cruda e toccante della nostra realtà.
Una realtà in cui tutte le Assya del mondo sono purtroppo spettri invisibili e fastidiosi, che irrompono nelle nostri notti a guastarle, ricordandoci di loro, della loro misera esistenza, dove la dignità è ormai perduta, sconfitta dall’indifferenza.
Gioele Urso confeziona un romanzo davvero notevole, che mi ha commosso e mi ha spaventato al tempo stesso. L’incedere delle vicende, la capacità di entrare nell’animo profondo e intimo dei personaggi, la maestria con cui trasmette al lettore le emozioni e la cruda trasposizione della disperazione e della rassegnazione di una umanità invisibile e disperata, costituiscono un piccolo capolavoro.
Quindi, buona vita a Riccardo Montelupo! Mi auguro di leggere ancora di lui e della sua Torino, massacrata dall’indifferenza ma pur sempre incantata e incantevole.
L’autore
Gioele Urso è un giornalista politico torinese che si occupa anche di social network e nuovi media. Dal 2002 opera in ambito radio-televisivo e digitale.
Comincia la sua gavetta a Radio Beckwith per poi approdare a Videogruppo Televisione.
Attualmente si occupa di comunicazione istituzionale, progetti editoriali e produzioni video per il web. Nel 2018 ha pubblicato un romanzo noir dal titolo “Le colpe del nero” (Edizioni del Capricorno), primo episodio delle avventure del commissario Montelupo.
- Casa Editrice: Golem Edizioni
- Genere: thriller
- Pagine: 204
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