
Trama
Il paesaggio è immerso nel bianco, ma non ricorda una cartolina. È una natura ostile quella che si offre alla vista in quel mattino di dicembre: una vertigine di ghiaccio sferzata dalla bufera. E c’è una sagoma scura, in lontananza, che sporca l’orizzonte. Come una farfalla gigante. Forse un’aquila, rimasta intrappolata tra i cavi della teleferica che porta alla centrale idroelettrica. Solo da vicino la realtà si svela in tutto il suo orrore: a penzolare a duemila metri d’altezza, in quella valle dei Pirenei, è un cavallo decapitato. Chi sia stato ad appenderlo lassù, e come, è un mistero che diventa oggetto d’indagine con priorità assoluta, perché il proprietario del purosangue e della centrale è uno degli industriali più ricchi e potenti di Francia. Mai il comandante Martin Servaz, della polizia di Tolosa, si era visto assegnare un’inchiesta più strana. E per di più in un habitat così poco consono a lui, cento per cento uomo di città e zero per cento atletico, ipocondriaco e allergico alle altitudini. Il caso assume risvolti inquietanti quando sulla scena del crimine viene ritrovato il dna di un famoso killer seriale: rinchiuso – questo è il punto – in un istituto psichiatrico della zona definito di massima sicurezza. Proprio lì, lo stesso giorno, ha preso servizio una giovane psicologa di belle speranze, Diane Berg, ignara di ciò che l’attende. Da strade diverse, Berg e Servaz si addentreranno nei meandri di un piano criminale pericolosamente giocato al confine tra ragione e follia.
Recensione
Mi sono innamorata di Martin Servaz, protagonista della serie thriller nata dalla penna di Bernard Minier, grazie ai romanzi usciti in Italia a partire dal 2017, editi da Piemme Edizioni: “Non spegnere la luce”, “Notte” e “Sorelle”.
E’ stato un amore a prima vista. Tutto merito di Servaz, un uomo affascinante, ma anche pieno di ombre. Eppure così sensibile, amante della bellezza in ogni sua forma. Uno sbirro decisamente fuori dalle righe. Che conosce il latino, che ascolta la musica di Gustav Mahler. Dall’intuito sottile e tagliente, che non risparmia mai quando è nel pieno di una indagine. Un uomo che mette tutto se stesso in ogni cosa che fa.
Martin Servaz si racconta con parsimonia nei romanzi di cui è protagonista. Solo leggendo i romanzi della serie che lo riguarda, ad uno ad uno, possiamo mettere insieme i tasselli del suo passato.
Un passato doloroso, che lo ha segnato fin dalla tenera età. Un padre ingombrante, una madre che è venuta a mancare troppo presto. Ogni romanzo è una scoperta, ed è generalmente una scoperta che lascia il lettore con l’amaro in bocca e la curiosità a mille. E con la voglia, insopprimibile, di tendergli una mano, di porgergli una spalla su cui appoggiarsi, già sapendo, tuttavia, che Martin non vi si appoggerà. Perché lui è un duro, uno che non muore mai. Un uomo tutto di un pezzo, per il quale la giustizia conta più di ogni altra cosa.
Sarà invece più probabile che Martin voglia consolare noi, infondendoci coraggio e speranza, anche quando il genere umano ha dato il peggio di sé, trascinandoci nel fango e nei meandri sottili e tentacolari del Male in tutte le sue forme.
Bernard Minier, un po’ come il suo personaggio, è stata una scoperta meravigliosa per me.
Un autore davvero notevole, che ha il pregio di partorire storie di ampio respiro, disseminate di personaggi decisamente realistici, in cui si intrecciano diverse vicende che poi convergono.
La sua scrittura cattura fine dalle prime pagine, scenografica e anche intimistica.
Minier riesce meravigliosamente a mettere a nudo i suoi personaggi. Di loro impariamo tutto. Entriamo nella loro testa. Apprendiamo i loro intimi pensieri, la loro psicologia.
Quando si apre uno dei romanzi di Minier è come se ci addentrassimo in un mondo parallelo in cui la nostra mente si perde. Si entra nella storia e si soffre, proviamo paura, curiosità, emozione, trepidazione e suspense. E la storia che ogni volta ci propone è un vero rompicapo. La soluzione appare un miraggio e i personaggi ruotano in una giostra ipnotica dove tutti hanno qualcosa da nascondere.
“Il demone bianco” è il primo romanzo di questa serie. Uscito in Italia nel 2013, è praticamente introvabile. Ho faticato non poco a trovarlo, usato. Diciamo che, avendo letto i romanzi successivi, a partire dal terzo, molte cose di Martin già le conoscevo. Ma è stata comunque un’avventura meravigliosa leggerlo.
La vicenda si svolge in un paese sperduto sui Pirenei, in un dicembre gelido e buio. La neve è onnipresente e con essa una sensazione opprimente che non ci lascia mai. Il senso del lugubre e del mistero è rappresentato con grande maestria da Minier. Non solo per il buio e il gelo che attanaglia la valle, ma anche per la presenza di una struttura psichiatrica poco distante dal paese, dove sono rinchiusi i peggiori criminali di tutta l’Europa. Personalità estremamente disturbate che si sono macchiate di crimini orribili vegliano insonni sulla vallata. Lì Martin Servaz farà la conoscenza di Julian Hirtmann, un pericoloso criminale che è destinato a tornare a più riprese nella sua vita. E conoscerà anche una vicenda terribile del passato che ha distrutto molte giovani vite. Martin si scontrerà con l’acredine della vendetta. Con il suo gusto amaro e il suo trascendente appeal, al quale è difficile resistere. La vendetta è un piatto da consumarsi freddo e questo Martin lo apprenderà presto, quando, suo malgrado, dovrà confrontarsi con la distruzione e la morte che solo l’abuso e l’abominio possono provocare. Proprio mentre la sua stessa figlia, adolescente, inizia ad avere i suoi primi segreti e a pretendere di escluderlo dalla sua vita.
Diversi i temi che troviamo nel romanzo. La follia, con le sue facce molteplici e subdole. Quella che pretende di poter tracciare un confine netto con la razionalità. Quella che fa paura o che viene manipolata con leggerezza e crudeltà. La follia, che finisce per essere sopita con alcune forme di violenza. Che spaventa ma che suscita, talvolta, anche compassione. Oppure morbosa curiosità.
E poi il disagio giovanile, la difficile salita che è l’adolescenza, verso una vetta che si fatica a raggiungere, chiusi nella propria insicurezza e spaventati dal dover diventare, improvvisamente adulti.
La difficoltà a schiudersi e a perdonarsi. La tentazione di farla finita, quando qualcosa di enorme ci ha distrutto per sempre.
Infine, Minier cura con grande minuzia e sensibilità i rapporti personali tra i personaggi. E i personaggi che dividono la scena con Servaz sono meravigliosamente caratterizzati. Uomini e donne dai tratti così realistici, che ricalcano alla perfezione vizi e virtù comuni agli uomini e alle donne del nostro tempo. La cui vite si intrecciano e si intrecceranno con quella del nostro protagonista, legato a loro a doppio filo, da sentimenti di lealtà, di solidarietà e anche di amicizia.
Il romanzo successivo a “Il demone bianco”, altrettanto introvabile, è già sul mio tavolo. Non so se riuscirò a trattenermi dal leggerlo (o forse dovrei dire divorarlo?) immediatamente….
Ma si sa, l’unico modo per resistere ad una tentazione è cedervi, come diceva qualcuno tempo fa….. quindi se cedessi alla voglia di proseguire con le indagini e la vita di Martin Servaz, chi potrebbe biasimarmi?
Beh, detto questo, vi chiedo un favore. Avvicinatevi a questo meraviglioso autore. Leggetelo, e vi appassionerete alle sue storie. Leggetelo e non potrete che confermare il fatto che Bernard Minier è uno scrittore autorevole, incredibilmente talentuoso e sinceramente appassionante.
Provare per credere.
- Casa Editrice: Piemme Edizioni
- Genere: thriller
- Pagine: 626
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