IN ALTO NEL BUIO di Sequoia Nagamatsu

– essere o non essere un distopico –


Questa è la camera in cui collocherò il tuo corpo. Galleggerai in una soluzione di acqua e idrossido di potassio a una temperatura di 350 gradi. La tua pelle si sfalderà come cenere e i tendini delle tue mani, con cui hai inviato messaggi nel corso degli anni, si srotoleranno fino a raggiungere la lunghezza della seta di ragno, finchè tutto sarà scomparso.


5 luglio 2023

Tutto l’illuminato romanzo di esordio di Sequoia Nagamatsu, uscito alla fine di giugno per Neri Pozza Editore, sembra voler giocare con l’etichetta di “distopico”, affermando di esserlo (e questo già dalla copertina, su cui campeggia un casco spaziale pieno di colorati fiori provenienti dal nostro amato e decadente pianeta) e contestualmente negandolo con i fatti.

Sia bene o un male non sta a me dirlo. Sta di fatto, tuttavia, che questo romanzo è troppo bello per essere distopico e troppo futuristico per non esserlo.

Eppure, il nodo principale di tutta la costruzione letteraria di Nagamatsu è una riflessione profonda e cinica su dove stiamo andando, in un’epoca che isola sempre più l’individuo, sigillandolo in bolle sterili e immaginarie. Un costrutto che è pura letteratura dentro ad una visione del destino dell’umanità che spazia in avanti sulla linea del tempo, regalandoci una prospettiva futura che è assolutamente plausibile seppur spaventosa.

Tutta l’opera appare profetica, in un modo che allarma per come l’autore è riuscito a cogliere gli effetti devastanti di una pandemia, senza peraltro averla vissuta, dato che quando Nagamatsu scriveva questo romanzo il Covid 19 era un’eventualità inimmaginabile, così tanto da pensare che una pandemia potesse essere argomento di un romanzo, appunto, distopico.

Ciò che fa l’autore, e che rende questo romanzo travolgente e bellissimo, è spostare la lancetta dell’orologio solo di poche tacche, portandoci in un prossimo futuro che estremizza e accelera le tendenze che già stiamo vedendo oggi, con l’esperienza del Covid sulle spalle e l’attitudine, ormai quasi consolidata, di fare affidamento sulla realtà virtuale, spesso più sopportabile della verità cruda che ci riguarda tutti.

Il racconto inizia con un virus che mette in ginocchio l’intera popolazione mondiale. Un virus che viene dal passato, una spada di Damocle che oscilla sul pianeta da millenni e che viene allo scoperto senza preavviso, quasi a voler condannare il desiderio di scoperta che da sempre caratterizza l’Uomo. La Terra è stremata dal cambiamento climatico, ampie zone del Pianeta sono già invivibili e le popolazioni si spostano per inseguire una condizione di vita accettabile.

La morte imperversa ovunque. E diventa un’industria fiorente, che trascina con sé ricchezza e opportunità, stravolgendo persino i fondamenti dell’economia. Una vera e propria merce di scambio.

Si va a morire in strutture che gestiscono il trapasso in vari modi. Si mercifica la morte e la si maschera inventando nuove onomatopee, nuove parole e nuove mode per un trapasso ecologico, utile e illusorio.

Si vive rifugiandosi in paradisi artificiali. Affidando la nostra vita a replicanti che diventano i depositari dei nostri ricordi. Si studia il processo della morte più del processo di guarigione da un virus che confonde i corpi e gli organi e che muta velocemente. Si cerca anche una via di fuga, affidando la nostra a vita a viaggi interstellari che coprono spazi e tempi inimmaginabili.

Nagamatsu dà vita a diversi personaggi, ognuno con una storia che stupisce per la sua sconcertante radice di follia. Personaggi che trovano tutti un percorso comune. Interconnessioni che ci riportano alla causalità della nostra esistenza, a quella dose di aleatorietà che le rende preziosa, misteriosa e oscura. L’autore sembra volerci dire che niente accade per caso, ma per un disegno superiore.

Ce lo fa capire a più riprese e poi ce lo urla in faccia a gran voce, propinandoci visioni fuori dall’ordinario che se da un lato ci spaventano, dall’altro riescono a consolarci togliendoci di dosso la responsabilità delle nostre scelte sul destino del mondo, che mai come in questo romanzo appare segnato ma denso di bellezza e di possibilità.

La prosa asciutta e affilata di Naganatsu fa il resto. Noncurante dell’effetto che può avere sul lettore, sembra voler oscurare le vibrazioni spaventose del futuro con il balsamo dolcissimo della sua scrittura, che è carica della rassegnazione e della pienezza che coglie l’uomo mentre lascia questo mondo.

Indulgente, illuminata, colma di saggezza. Un lascito ai posteri che suona esattamente come un testamento, per un figlio amatissimo e bisognoso più che mai di una guida.

Un romanzo a suo modo corale, in cui tante voci si intrecciano, si sovrappongono, si scontrano e si sussurrano a vicenda. Un destino che travolge tutto, che modifica e che impone all’uomo di adattarsi, come del resto ha sempre fatto nel tempo della sua esistenza. L’uomo resiste, si trasforma, si reinventa. E non perde mai la sua umanità. E questa è la cosa più bella che si possa scrivere. E in cui credere.


Il romanzo

Anno 2030. Il suolo della Siberia, in fase di disgelo, è un soffitto sul punto di crollare. La grande ferita del cratere di Batagaika si è allargata come se un dio avesse aperto uno squarcio nella crosta ghiacciata, e sta rilasciando miasmi intrappolati dall’alba del tempo. Dal permafrost emergono anche i resti mummificati di «Annie», una bambina di trentamila anni, forse uccisa da un virus che ora, sciaguratamente, si è liberato del suo sarcofago di ghiaccio. Qui, alla fine del mondo, giunge l’eminente scienziato Cliff Miyashiro, per terminare il lavoro della figlia Clara, morta in un incidente poco prima della sensazionale scoperta della bambina paleolitica. Il dottor Miyashiro si trova cosí, insieme all’umanità intera, di fronte a una minaccia antica e nuovissima, risalita dal sottosuolo come dall’inferno: la peste artica, morbo che riscriverà i destini di molti. Un comico fallito viene assunto in un sinistro parco a tema per accompagnare i piccoli ospiti in un ultimo viaggio. Uno scienziato vive una seconda possibilità di essere padre dopo che il suo animale cavia sviluppa la capacità di parlare. Un factotum di uno dei nuovi hotel del commiato, indurito dall’esistenza, si innamora inaspettatamente. Un’antropologa forense decide di accettare un paziente vivo che dona il proprio corpo alla scienza. Una pittrice affresca la navicella spaziale su cui viaggia in cerca di un pianeta da chiamare casa. Un passato ancestrale raggiunge un probabile futuro in queste storie struggenti che parlano di noi, creature effimere, delle nostre paure eterne, del comune sentire che è forse l’unica via di salvezza in un avvenire denso di interrogativi che viene da lontano, e non solo nel tempo. Ma da qualche parte lassú, in alto nel buio, una luce brilla ancora. In questo esordio pieno di grazia e di potenza, Sequoia Nagamatsu trascende ogni genere letterario tessendo solide trame che, nell’indagare i corpi e le loro fragilità, celebrano le infinite e meravigliose possibilità della vita.


L’autore

Sequoia Nagamatsu è uno scrittore americano, già autore della raccolta Where We Go When All We Were is Gone. I suoi racconti sono apparsi su riviste come Conjunctions, The Southern Review, ZYZZYVA, Tin House, Iowa Review, Lightspeed Magazine. Insegna al Saint Olaf College e vive a Minneapolis con la moglie, la scrittrice Cole Nagamatsu. In alto nel buio è stato selezionato come New York Times Editors’ Choice, per lo Ursula K. Le Guin Prize, l’Andrew Carnegie Medal for Excellence in Fiction e il PEN/Hemingway Award. 


  • Casa Editrice: Neri Pozza
  • Traduzione: Giovann Zucca
  • Pagine: 317
  • Prezzo: E 19,00

Pubblicato da laurasalvadori

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