
Deve essere una disperazione per la figlia fedele e devota se i genitori sognano quella perduta.
Trama
Dopo Eredità, che ha reso celebre l’autrice a livello internazionale, torna Vigdis Hjorth con il suo ultimo romanzo: una nuova storia di famiglia in cui le bugie, i silenzi e i segreti si sciolgono lentamente sotto il flebile sole norvegese dopo decenni di gelo.
Johanna torna in Norvegia dopo trent’anni di assenza e, rompendo il divieto di contattare la famiglia, telefona alla madre, che ormai ha ottantacinque anni ed è vedova. Nessuna risposta. Per i suoi parenti Johanna non esiste più: è morta quando, appena sposata, studentessa di Legge per volere del padre avvocato, ha mollato tutto per diventare pittrice e si è trasferita nello Utah con il suo professore d’arte, con cui ha avuto un figlio. Johanna ormai è un’artista piuttosto quotata, ma persino i soggetti dei suoi quadri scatenano l’ira dei familiari, che in essi vedono una denigrazione ulteriore nei loro confronti, soprattutto per il modo in cui viene raffigurata la madre. Sono tanti gli argomenti rimasti insoluti che hanno condizionato Johanna nella sua vita di figlia, di donna, di artista e di madre: nella sua mente affiorano antichi ricordi di una donna all’apparenza leggera, spensierata, bellissima, ma quando riesce finalmente a spiegarsi alcuni episodi sconcertanti di cui è stata spettatrice, capisce che la madre non faceva che nascondersi dietro una corazza di convenzioni. Finché il lunghissimo silenzio fra le due donne si spezzerà in maniera violenta in un ultimo, spietato confronto.
Recensione
Torna la penna profondissima e acuminata di Vigdis Hjorth. Un bisturi, che incide con precisione e senza anestesia. Incide la pelle di una figlia che desidera ritrovare il rapporto con la madre. Una frattura che non è mai guarita, avvolta nel bisogno di capire, alla ricerca di una espiazione che lenisca la ferita. Il perdono che mette fine allo stillicidio. La fine di una ostilità che nasce per difendersi dal dolore della perdita.
Dall’origine del trauma, dal sentirsi rifiutati e incompresi, dallo spasmodico bisogno di amore materno, di attenzione, di solidarietà e di compassione, nasce il lungo monologo di Johnna. Ancora una volta è una figlia a dare voce alla protagonista, in una disputa che la vede contrapporsi alla madre e alla sorella, attraverso la sofferta analisi dei motivi che l’hanno divisa per sempre dalla sua famiglia e che hanno reso impossibile ricucire lo strappo causato dalla lontananza.
In “Lontanza” le dinamiche perverse del rapporto tra genitori e figli assumono sfumature inattese e perfettamente plausibili. Il dolore e il bisogno atavico di attribuirne la colpa ad altri sono proiettili che difficilmente sbagliano bersaglio. Si conficcano in profondità e fanno sanguinare. Un’emorragia che si arresta solo con il perdono o con la distanza, consapevole che una madre può puntare il dito sulla propria prole pur di nascondere a se stessa le proprie imperdonabili mancanze.
La Hjorth ha la incredibile capacità di sviscerare con precisione millimetrica i sentimenti ambivalenti e complicatissimi che impattano sui rapporti familiari. Le rivalità, il bisogno di essere amati, accettati, compresi. Di essere lasciati liberi di potersi esprimere, di scegliere la propria vita. Senza condizionamenti esterni, senza sottostare a rigide aspettative che non siano disattese.
Come e perché la gioventù sia crudelmente incapace di pretendere attenzione e di come e perché l’età matura riesca a sezionare fatti di un passato che sembra sepolto per farne spilli di inquietudine, motivi per recriminare e per comprendere.
L’autrice entra senza esitare nel vortice imprevedibile che compone il rapporto tra madre e figlia. Lo viviseziona, lo spoglia di qualsiasi luogo comune. Lo analizza e ne isola ogni demone, ogni spigolo e tutte quelle asperità che nascondiamo a noi stessi. L’amore, del resto, è anche ambiguità ed è spesso un luogo oscuro e impervio da percorrere, perché non è mai scevro da condizionamenti e da pretese. L’ego trova sempre un pertugio per seminare un dubbio, per contaminare una amore che nasce assoluto e puro e che spesso devia, si distorce, per ricomprendere dentro sé anche i pretesti che ci hanno allontanato dalla felicità.
La sua prosa è meravigliosa, profonda. Un martellare ritmico e implacabile che sgretola ogni nostra certezza. La Hjorth costruisce un romanzo intero intorno al concetto di distanza e di inconciliabilità, lo analizza in ogni aspetto senza essere pedante o ripetitiva. Lo viviseziona, attraverso un’autopsia millimetrica fatta di pensieri, frasi, sensazioni. Capitoli brevissimi si intercalano nella narrazione, come lampi nel buio. Poche frasi illuminano più di un faro, poiché fotografano il sentire della protagonista con efficacia e coinvolgimento emotivo.
Un romanzo sfacciato, che rompe ogni schema. E una voce potente e chiara, che demolisce l’immagine idilliaca di una madre e della sua figlia speciale.
L’autrice
Nata a Oslo nel 1959, Vigdis Hjorth è una delle scrittrici norvegesi più conosciute e stimate. Ha esordito nel 1983 con Pelle-Ragnar i den gule gården, grazie al quale il Ministero della Cultura norvegese le ha attribuito il premio per il miglior romanzo d’esordio. Ha pubblicato più di trenta libri, fra cui una ventina di romanzi, conquistando i premi letterari più svariati. Eredità, vincitore del Norwegian Booksellers’ Prize e del Norwegian Critics Prize for Literature – i due principali riconoscimenti norvegesi –, è il romanzo con cui ha ottenuto la fama internazionale, rientrando nella rosa dei finalisti del National Book Award for Translated Literature nel 2019.
- Casa Editrice: Fazi Editore
- Collana: Le Strade
- Traduzione: Margherita Podestà Hei
- Genere: narrativa straniera
- Pagine: 358
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