
Sembrava stesse aspettando lei. L’ha notato per caso dopo aver riaccompagnato a casa Daphné a pomeriggio inoltrato. Era esposto in vetrina. E il negozio era aperto di domenica. Doppio miracolo. Un pigiama grigio a pois bianchi delizioso, con muffole integrate alle maniche. “E’ una tutina antigraffio in caso di varicella o eczema” le ha spiegato la commessa prima di mostrarle dei body concepiti con lo stesso sistema. Esther li ha trovati troppo carini. E allora ne ha comprati tre per tipo. Taglia nove mesi. Perfetti per nascondere le mani di Alban anche in casa. E decisamente meno sospetti dei guanti.
Trama
Lei è felice e appagata: ha un bel lavoro e un marito amorevole, è madre di Esther e, da pochi mesi, anche di Alban. Un giorno nota una macchiolina scura sul collo del piccolo e, preoccupata, chiede consiglio al pediatra che la tranquillizza: è solo una leggera pigmentazione. Ma le macchioline aumentano, e l’inquietudine cresce. Fino al responso, definitivo e spiazzante: Alban è mulatto. Incredula, si rivolge a suo padre per essere rassicurata: e l’uomo, dopo trentacinque anni, trova il coraggio di ammettere una verità che le toglie di colpo ogni certezza, lasciandola impreparata e sola ad affrontare i pregiudizi che lei stessa non sapeva di nutrire. E mentre la pelle di Alban cambia colore, dentro di lei infuria una terribile resa dei conti con quel bambino, simbolo delle bugie in cui è stata cresciuta e dell’amore che le è stato negato.
Con una lingua ritmata e sonora, Amélie Cordonnier scrive un romanzo incalzante come un thriller, in bilico tra dramma e commedia; e mette in discussione i miti fragili dell’amore materno e dell’identità, illuminando il momento in cui la paura di non essere accettati si placa come un lupo ammansito, per cedere il posto a una nuova tenerezza.
Questo libro è per chi vorrebbe trovare una parola per definire il “silenzio degli odori”, per chi ha amato l’atmosfera raffinata e irriverente di Cena tra amici, per chi ogni volta aspetta di essere sull’uscio di casa per confessare i suoi pensieri più profondi, e per chi vive nella fiducia che, anche dopo le notti più buie e spaventose, l’alba torni sempre al suo posto.
Recensione
Un libro sulla maternità, direte voi. Si, ma non solo. In questo romanzo essere madri è solo un mezzo, probabilmente quello più efficace, di arrivare al cuore della questione: l’identità.
Un tema dirompente, che ci tocca tutti da vicino. Che riguarda noi stessi, ma anche chi ci sta accanto.
In questo romanzo la voce potente di Amélie Cordonnier ci conduce ad esplorare i danni e le conseguenze della consapevolezza, che giunge improvvisa a confonderci, di non essere chi crediamo di essere e di dover accettare che un nostro figlio sia il frutto capriccioso di una confusione, di un miscuglio pericoloso e arbitrario.
Un lampo in un cielo che credevamo sereno. Una spada che penzola, inesorabile e beffarda, sulla nostra testa. Un romanzo che ci lascia attoniti e impreparati. Che parla della morte di un amore, quello più forte e più istintivo, che c’era, forte, invincibile, conosciuto e riconoscibile, è ad un tratto non c’è più. E non solo. Accanto a questa assenza, c’è il rifiuto, la paura, l’aberrazione. E il terrore di dover gestire questo coacervo di emozioni negative e malvagie.
Il ritmo è di quelli che non lascia scampo. Cadenzato, ossessivo, incalzante. Un flusso incessante di parole, una voragine di pensieri che corrono come luce. Pensieri vorticosi risucchiati dall’ occhio di un ciclone che induce a cadervi, nell’arrendevole rassegnazione di chi fronteggia qualcosa di enorme e di inaccettabile.
“Un lupo nella stanza” è un racconto intimo e doloroso. Un calvario, potrei definirlo, che una madre affronta da sola con i demoni del suo passato e con il peso di una rivelazione che riguarda la sua vita.
Una donna e una madre istruita, realizzata, aperta, ragionevole, intelligente. Una madre attenta, affettuosa, organizzata, consapevole, determinata. Eppure cadrà nel tranello del pregiudizio, della paura di non essere capace di amare, nel rifiuto dell’evidenza. E sarà vergogna. Vergogna di avere paura e vergogna di avere vergogna. Sarà un imbuto stretto e asfissiante, che ci chiama e in cui cadiamo a peso morto. Non si può risalire lungo quelle sue pareti scivolose e irte. Gli sforzi sono enormi e inutili. Le unghie si spezzano, il fiato manca, i muscoli bruciano dallo sforzo, inutile e sfiancante.
Inutile dire che questa lettura mi ha schiacciata e presa in ostaggio. Leggere questo romanzo è stato difficile, eppure non riuscivo a staccarmi dalle sue pagine. Perché immedesimarsi nella madre di Esther e di Alban è stato fin troppo facile. Non è stato solo l’accettazione della diversità di Alban, ma anche e soprattutto interiorizzare gli eventi di un passato molto lontano, che in qualche modo hanno minato le fondamenta della sua vita, che lei sapeva solide e ferme. E che invece sono improvvisamente diventate sabbie mobili, ad inghiottirla, tirarla giù, verso una morte orribile ma al tempo stesso desiderata.
Poi, ad un certo punto, lei ha cessato di cadere. Si è scossa dal fango che attanagliava la sua gola. Ha lavato i capelli che sono tornati morbidi ad incorniciare uno sguardo che è di nuovo limpido, anche se lambito da un’ombra di stanchezza. Il lupo, che ringhiava minaccioso da una distanza ravvicinata, ad un tratto si è ammansito. Non più il rifiuto, ma l’accettazione e la forza che ritorna nelle vene, a darci la volontà di lottare contro il pregiudizio.
Rifletto se sia un istinto che ci salva dai vortici dei nostri pensieri cattivi.
Ma capisco che un epilogo salvifico è ciò di cui avevo bisogno. Per riappropriarmi della fiducia verso la figura materna. Eternamente messa alla prova. Costantemente sotto giudizio. Mai perfetta. Sempre discutibile. Sotto accusa, sotto assedio, sotto pressione.
La madre di Esther e di Alban non sfugge a questa gogna. Ma lei si salva da sola. Affidandosi all’istinto. Mettendosi nelle mani di una legge vecchia come il mondo, che a volte condanna ma che in questo caso salva.
Una storia che spacca le coscienze, che si insinua come un tarlo nella nostra vita, dentro alle nostre convinzioni, crepando le nostre labili certezze. E non possiamo evitare di chiederci “io cosa avrei fatto? Come avrei reagito?”.
Amélie Cordonnier ci regala una parabola sull’accettazione, che suona quasi biblica. Una storia forte, da leggere tutta di un fiato. Che fa riflettere sui tarli che la maternità trascina con sé e sulla necessità, per una madre, di ergersi a baluardo della sua progenie. Nel bene e nel male.
L’autrice
Amélie Cordonnier è una giornalista e scrittrice francese, responsabile della sezione culturale della rivista Femme Actuelle. Un lupo nella stanza è il suo secondo romanzo, dopo l’esordio con L’amore malato (Gremese 2020).
- Casa Editrice: Enne Enne Editore
- Traduzione:
- Francesca Bononi
- Genere: narrativa straniera
- Pagine: 254
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