QUESTO MIO CORPO di Sara Durantini


Brucia quel desiderio che un tempo credevo mi conferisse valore, quel desiderio che, in realtà, era la mia gabbia. Forse, la sfida più grande è proprio questa: imparare ad esistere senza bisogno di conferme, imparare a riconoscersi senza dipendere dallo sguardo altrui. Essere per se stessi.

1 dicembre 2025

La ragazza con il trench.

Inizio dal fondo, dalle ultime parole di Sara Durantini, autrice della prima biografia italiana dedicata a Annie Ernaux. Ernaux, che per Sara è arrivo e partenza. Esempio, ispirazione e profondissima riflessione sull’esistere della donna nel nostro tempo. Narrarsi per spiegare, per rappresentare il significato di vivere in una società che respinge, fraintende, sottovaluta la figura femminile. Produrre letteratura in meraviglioso bilico tra la biografia e la narrazione. Innalzare la biografia a letteratura, farne monumento della lotta della donna per affermare la propria esistenza.

Anche Sara Durantini si racconta in questo suo ultimo romanzo, edito come il precedente da Dalia Edizioni. Una voce in prima persona, come già fece con Pampaluna. Un romanzo che non lascia spazio al dialogo, poiché è un flusso di coscienza senza argini, rotto solamente dall’esigenza di pensare e revisionare i propri costrutti mentali.

Sara scrive con un tono immersivo, spietato. Lascia che il sé narrante esca allo scoperto, in una narrazione che accoglie il peso di essere viste, negli anni della formazione ma anche dopo, in una società che tra l’auto-determinazione femminile e la sua rilevanza sociale frappone mille ostacoli, rendendo il desiderio di emergere qualcosa da giustificare, di cui, talvolta, vergognarsi. Una lotta svilente che assorbe ogni energia vitale e che finisce per umiliare quando invece dovrebbe essere sfidante e di esempio per chiunque altro.

Leggere questo libro significa guardare in faccia ciò che spesso abbiamo occultato o addolcito, utilizzando parole non del tutto centrate, per riscrivere l’indicibile e renderlo innocuo, trasformato, comune. Circostanze che ci hanno colto impreparate, alle quale abbiamo risposto attingendo gesti e memorie da verità radicate fino nelle ossa, che ci disegnano come esseri senzienti, accudenti. Che ci sussurrano che un gesto da solo già implica la resa e che solo arrendendoci eviteremmo lo scontro, il discredito sociale, la maldicenza. Che spesso accodarsi dietro la consuetudine può essere meno faticoso che dissentire. Che solo la difesa può essere lecita e mai l’attacco. E che nessuno ci vorrà se alziamo la voce, se utilizziamo la rabbia, se siamo troppo o troppo poco.

Sara scrive di sé e scrive per tutte. Per scuotere, per scoprire un velo, per aprire gli occhi, per chiamare le cose con il loro nome. La violenza non è mai un atto isolato ma il risultato di forze centrifughe che portano la donna dentro l’occhio del ciclone, mentre dice “ora scappo” ma rimane, inchiodata, crocifissa, data per scontata. Cenere per terra e corpo dolente, violato, come una cicatrice che non guarisce e sta lì, putrescente, a ricordare come il corpo sia materia, carne e macerie.


Lo specchio della scrittura: il corpo come campo di battaglia.

Esiste una geografia narrativa che passa attraverso il corpo, attraverso la scrittura che lo interroga, lo nomina, lo tradisce e infine lo salva. Questo mio corpo di Sara Durantini, pubblicato da Dalia Edizioni, si inscrive in questo territorio con una lucidità feroce e necessaria, ponendosi come tappa fondamentale di un percorso autoriale che già con Pampaluna aveva tracciato le coordinate di un’esplorazione senza sconti della soggettività femminile.

Lo sdoppiamento come metodo conoscitivo.

Il romanzo si costruisce su una frattura : quella tra l’io che scrive e l’io che ha vissuto, tra l’autrice che osserva e la protagonista che viene osservata. Esiste una linea sottile, quasi impercettibile, tra il dire “io” e il narrare di un’altra. Sara Durantini, con Questo mio corpo, traccia questa frontiera mobile con la stessa consapevolezza che già aveva mostrato in Pampaluna, costruendo una narrazione che è insieme confessione e anatomia sociale, testimonianza personale e atto d’accusa collettivo.

Il romanzo si muove nel territorio impervio della scrittura autobiografica, quel genere che Annie Ernaux ha elevato a strumento di scavo sociologico e che Marguerite Duras ha caricato di una violenza lirica capace di attraversare il tempo. Come nelle opere di queste autrici, anche in Durantini la prima persona non è mai soltanto individuale: è il pronome di un’intera generazione di donne che hanno dovuto negoziare il proprio diritto all’esistenza attraverso il corpo.

Lo sdoppiamento tra autrice e protagonista diventa un meccanismo di difesa: per raccontare certe violenze – quelle sottili, quelle che non lasciano lividi visibili – occorre una distanza, per quanto minima. La scrittura funziona come uno specchio deformante, necessariamente parziale, che costringe chi scrive e chi legge a rivedere se stessi attraverso una lente più onesta, meno consolatoria.

Il consenso come campo minato.

Al centro del romanzo sta la questione del consenso, che Durantini rivela in tutta la sua complessità, indagando quella zona grigia dove viene estorto, costruito, fabbricato attraverso dinamiche di potere così interiorizzate da risultare invisibili. La sottomissione che attraversa le pagine non è mai semplice vittimizzazione. È qualcosa di più insidioso: è l’interiorizzazione di una logica di potere che si fa carne, che plasma i corpi femminili rendendoli disponibili, che trasforma il bisogno di essere viste. L’autrice mostra come la ricerca di visibilità, il desiderio di esistere nello sguardo altrui, possa tradursi in forme di auto-annullamento che solo apparentemente sono scelte libere. In una società che ha sistematicamente negato credibilità alle voci femminili, che ha relegato le donne al ruolo di oggetti dello sguardo maschile, il corpo diventa l’unico linguaggio possibile, l’unica forma di comunicazione.

La scrittura come atto salvifico

Ma è nella scrittura stessa che Durantini trova il varco per uscire dalla spirale della compiacenza e dell’invisibilità. Scrivere il corpo, nominarlo, raccontarne le vicende significa sottrarlo al silenzio in cui la società vorrebbe rinchiuderlo. La scrittura autobiografica, qui, è non solo terapia individuale, ma anche gesto politico, atto di riappropriazione e di rivelazione insieme. Scrivere diventa lo specchio in cui ripensare se stessi, non per riconoscersi ma per riconoscere le forze che ci hanno plasmati. È attraverso la parola scritta che l’autrice può finalmente vedere ciò che, mentre accadeva, restava invisibile: i meccanismi di una cultura che insegna alle donne a cercare legittimazione esterna, a costruire la propria identità come riflesso del desiderio maschile, a scambiare sottomissione per amore e annullamento per dedizione.

Ma la scrittura apre un’altra via. Attraverso il linguaggio, il corpo diventa finalmente soggetto della propria storia, non più superficie su cui altri iscrivono i propri desideri. La scrittura salva perché permette lucidità. Quella lucidità che diventa strumento di decostruzione dell’ordine simbolico che ha fatto di quel corpo un oggetto prima ancora che un soggetto.

Un atto d’accusa necessario.

Ed ecco la domanda fondamentale di questo libro: a quale prezzo abbiamo costruito la nostra identità? Cosa abbiamo sacrificato sull’altare dell’accettazione sociale? E soprattutto: siamo disposti a guardarci davvero nello specchio della scrittura, senza distogliere lo sguardo?

In un panorama letterario spesso incline alle mezze misure e alle conciliazioni, Sara Durantini sceglie la via della verità senza mediazioni. Questo mio corpo è un libro necessario, che aggiunge un tassello fondamentale alla genealogia della scrittura femminile che fa del corpo il proprio manifesto politico. È un libro che chiede, anzi pretende, di essere ascoltato.


Il romanzo

Una giovane donna impara a interrogare il proprio corpo: lo esplora nel desiderio, ne scopre le ferite, lo attraversa in cerca di sé stessa.
Sono i giorni delle lezioni all’università e dei nuovi incontri. Per lei, arrivata dalla campagna, tutto è da scoprire.
La relazione con F, un ragazzo come tanti, all’apparenza premuroso, si incrina. È lui a decidere se e dove vedersi, quando fare l’amore, a dettare le regole tra loro. Lei acconsente, sempre, ma i suoi “sì” lasciano in bocca il sapore aspro della rinuncia.
Nell’incontro con una ragazza libera e forte che vive di cinema e parole, la protagonista di questa storia intravede invece qualcosa di possibile che ancora non sa nominare.
Le voci di Annie Ernaux, Marguerite Yourcenar, Marguerite Duras diventano specchi attraverso cui rileggere la propria storia e il significato più profondo di essere donna.
Questo mio corpo è un racconto lucido e carnale sul desiderio e sul trauma, sulla sottomissione mascherata da consenso, sull’approdo faticoso all’identità femminile. Un inno al potere della parola quando, finalmente, rompe il silenzio.


L’autrice

Sara Durantini, nata a San Martino dall’Argine (MN) nel 1984, consegue la laurea magistrale in lettere moderne presso l’Università di Parma; vincitrice dell’edizione 2005-2006 del Premio Tondelli per la sezione inediti con il lungo racconto L’odore del fieno, nel 2007 pubblica il primo romanzo, Nel nome del padre, con la casa editrice Fernandel. Nel 2008 pubblica un racconto inserito nell’antologia Quello che c’è tra di noi, a cura di Sergio Rotino (Manni Editore), nel 2009 partecipa al Dizionario affettivo della lingua italiana, a cura di Matteo B. Bianchi e Giorgio Vasta (Fandango Libri), nel 2011 pubblica un racconto inserito nell’antologia Orbite vuote (Intermezzi Editore). Nel 2019 partecipa all’edizione aggiornata del Nuovo dizionario affettivo della lingua italiana (Fandango Libri) e nello stesso anno partecipa al volume L’unica via è il pensiero (Intermedia Edizioni) a cura del professore Hervé A. Cavallera. Nel 2021 pubblica L’evento della scrittura. Sull’autobiografia in Colette, Marguerite Duras, Annie Ernaux per la casa editrice milanese 13lab. Nel 2022 pubblica Annie Ernaux. Ritratto di una vita per la casa editrice deiMerangoli, prima biografia italiana dedicata alla scrittrice francese Premio Nobel per la Letteratura 2022. 

Per Dalia ha curato il romanzo corale La terra inesplorata delle donne nel 2023 e ha pubblicato Pampaluna nel 2024, libro che ha ricevuto il Premio di scrittura femminile Il Paese delle Donne nello stesso anno. Un breve saggio dedicato alla trasposizione teatrale italiana di Memoria di ragazza di Annie Ernaux è contenuto nel volume curato da Michèle Bacholle e Jacqueline Dougherty edito da Brill Academic Publishers. Negli anni, racconti e articoli sono apparsi in antologie e riviste letterarie. Attualmente collabora con la rivista femminista “Pro.Vocazione” e con la rivista francese “Collateral revue”. 


  • Casa Editrice: Dalia Edizioni
  • Pagine: 136
  • Prezzo: E 14,00

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Pubblicato da laurasalvadori

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