L’USO DELLA FOTO di Annie Ernaux e Marc Marie


Cerco di descrivere la foto con un doppio sguardo, quello di allora e quello di adesso. Ciò che vedo ora non è ciò che vedevo quella mattina, quando sono scesa prima di colazione e mi sono ritrovata nel corridoio dell’ingresso con il mio ricordo umido della notte. Alcuni elementi di questa scena non sono immediatamente identificabili, il luogo non è quello della mia esperienza quotidiana, mi appare più grande, con piastrelle enormi. Di fatto, non mi è né estraneo né fa-miliare, ha semplicemente subito una distorsione delle dimensioni e un’esaltazione di tutti i colori. La mia prima reazione è cercare di scoprire in quegli ammassi delle forme, degli esseri, come davanti a un test di Rorschach in cui le macchie siano state sostituite da capi di abbigliamento e di biancheria. Non mi trovo più nella realtà che quella mattina aveva suscitato la mia emozione e poi portato a fare questo scatto. E il mio immaginario a decifrare la foto, non la memoria. Ho bisogno di non averla più sotto gli occhi, di metterla da parte; solo così, in una sorta di rievocazione differita, possono riaffiorare in me immagini della primavera del 2003. Affinché sia il pensiero stesso a mettersi in moto.


Scatti che respirano: l’amore messo a fuoco in L’uso della foto.

19 novembre 2025

Una coppia trasforma oggetti e istanti fotografati in un racconto a due voci, dove l’amore emerge nella sua nudità, semplice e vertiginosa. Fotografie come nature morte, frammenti di quotidiano, oggetti che diventano testimoni silenziosi di un’intimità che non ha bisogno di proclami.

La stanza inondata della luce del mattino è una sorta di tela condivisa. Un vestito lasciato a terra è un’onda; una scarpa slanciata, un vettore di desiderio; la piega di un lenzuolo, un segreto che si lascia intravedere. La materia è comune, ma la percezione è doppia: il quadro respira perché la voce non è mai una sola. È un dipinto di pura prossimità: nessuna posa, nessuna strategia narrativa, solo la volontà di fermare ciò che normalmente passa inosservato.

Il romanzo offre un’estetica dell’istante minimo che si spalanca su qualcosa di più grande. Una visione in cui gli oggetti sono la sintassi e il sentimento è il significato. E chi legge resta lì, sospeso, con la sensazione di aver guardato attraverso una fessura sacra: la verità semplice e devastante dell’amore che accade.

In L’uso della foto Annie Ernaux apre un varco, come se la narrazione tradizionale fosse diventata troppo stretta per contenere la densità dell’esperienza. Un romanzo che nasce dall’urgenza di trovare un altro modo di raccontare, di celebrare la vita e il corpo quando la malattia attraversa tutto, rendendo il linguaggio un territorio fragile.

La foto è fissa, è vertiginosa. La sua ambiguità ferisce e illumina insieme: è un resto, una traccia, un silenzio che pulsa. Ernaux la usa per incidere la memoria senza abbellirla, per scavarci dentro con una sincerità ostinata. La scrittura, di fronte a queste immagini, diventa una danza di avvicinamenti e ritirate. È un tentativo di non tradire la verità che la fotografia trattiene senza sapere di trattenerla. È il gesto di osservare ciò che resta, di dare dignità ai margini dell’esperienza: il pigiama accartocciato, una borsa aperta sul pavimento, la traccia lasciata da una presenza che non c’è più. La foto, nella sua crudele immobilità, racconta ciò che il dolore impedisce di dire. E la scrittura tenta di respirare insieme a essa, come se ogni frase fosse un passo dentro l’ombra e dentro la luce.

Il coinvolgimento di Marc Marie è la leva che rivoluziona davvero il libro. Ernaux non vuole un monologo, non vuole essere l’unica a produrre senso. L’esperienza condivisa esige due sguardi, due metriche, due percezioni del medesimo istante. La doppia voce narrante assume così un valore politico e sentimentale: impedisce la centralizzazione dell’io, disinnesca la tentazione di dominare la memoria, evita che una sola versione diventi “la” versione.

Ernaux e Marie firmano una sorta di patto d’autenticità: nessuno possiede la verità dell’altro, ma insieme possono avvicinarsi a un ritratto più ampio, più fedele, più umano. La loro scrittura dialoga, diverge, si incastra, mostrando che l’amore è sempre un prodotto a due voci, mai un soliloquio. È la celebrazione dell’enormità e della semplicità di amare senza sovrastrutture.

Intorno a loro il mondo sembra rallentare fino a raccogliersi in un punto luminoso e fragile. Ogni oggetto fotografato diventa un nodo narrativo, un gesto di presenza, una particella di tempo che smette di scorrere e si lascia osservare. Il quadro che esce dal romanzo è quasi pittorico: una stanza che vibra di luce obliqua, stoffe come onde mute, ombre che raccontano ciò che le parole sfiorano soltanto.

Leggere L’uso della foto significa attraversare una soglia: quella in cui il ricordo diventa materia viva, in cui il corpo femminile malato e amato non è tabù ma centro del mondo, in cui lo sguardo sostituisce la voce senza impoverirla. È un libro che incanta ed esalta ogni senso perché non fa scenografie: mostra. E nella semplicità delle sue immagini, nella precisione implacabile del suo stile, accende un desiderio quasi fisico di continuare a guardare, a leggere, a restare.

La poetica di Annie Ernaux si conferma archeologia del sé e radiografia sociale. In Ernaux la vita privata è materia politica, la memoria un campo di lotta, il testo un luogo dove l’io è sempre attraversato dall’epoca, dal ceto, dal genere. Ernaux cambia le metriche del vero, mostrando come potere, classe, patriarcato e desiderio si depositino nei piccoli gesti. La sua opera è una bussola per orientarsi nel tardo Novecento e nei primi anni del XXI secolo e per capire come la vita quotidiana diventi storia e come la scrittura possa essere uno strumento operativo di libertà.


Il romanzo

Dopo ogni incontro, una donna e un uomo fotografano il paesaggio che il sesso lascia dietro di sé: vestiti sul pavimento, scarpe rovesciate, lenzuola sgualcite. Non ritraggono i corpi, ma le tracce dell’accaduto, la mappa di un’intimità che si è consumata e già svanisce. È così che, per tutto il 2003, si amano la scrittrice Annie Ernaux e l’autore e giornalista Marc Marie. Per lei è un anno cruciale, segnato dall’operazione e dalla cura di un tumore al seno. Quegli scatti in pellicola, che richiedono tempo per essere sviluppati, fanno nascere un piccolo cerimoniale domestico.
Poi l’idea di scegliere alcune immagini e scriverne, elaborando ognuno il proprio testo in solitudine, «senza mai mostrare né accennare nulla all’altro». Le fotografie diventano così lo spazio da cui può prendere forma anche il racconto della malattia, «l’altra scena», assente negli scatti ma presente nel corpo di lei.
Libro unico e irripetibile, L’uso della foto indaga il desiderio, la perdita, la distanza tra ciò che si vede e ciò che si vive, nella consapevolezza che «il più alto grado di realtà sarà raggiunto solo se queste fotografie scritte si trasformeranno in altre scene nella memoria dei lettori».


L’autrice

Annie Ernaux è nata a Lillebonne nel 1940 ed è una delle voci più autorevoli del panorama culturale francese. Studiata e pubblicata in tutto il mondo, nei suoi libri ha reinventato i modi e le possibilità dell’autobiografia, trasformando il racconto della propria vita in acuminato strumento di indagine sociale, politica ed esistenziale. Considerata un classico contemporaneo, è amata da generazioni di lettrici e lettori. Nel 2022 è stata insignita del Premio Nobel per la letteratura.


  • Casa Editrice: L’Orma Editore
  • Traduzione: Lorenzo Flabbi
  • Pagine: 168
  • Prezzo: E 17,10

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Pubblicato da laurasalvadori

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