
A volte mi sveglio nel bel mezzo della notte e penso a quante volte ho dato per scontato il nome Noelia Vargas Vargas. Mi si ammassa un’energia nera nelle gambe, potrei prendere a calci qualcosa. Ma il massimo che prendo a calci è la coperta, più come un bambino capriccioso che come un uomo incazzato. Avrei dovuto usare di più il suo nome, avrei dovuto pronunciarlo invano. Ho buttato migliaia, milioni di opportunità di assaporarlo. Quando parlavo di lei, dicevo: «mia moglie». Quando la chiamavo, dicevo: «amore». Quando le mandavo un messaggio sul cellulare, non la salutavo nemmeno. Scrivevo semplicemente, come se fossimo immortali: Torni per pranzo?
I nutrimenti per vivere e sopravvivere al rimpianto: istruzioni per l’uso, con uso di tenerezza.
3 settembre 2025
C’è molto di insolito e sorprendente in questo romanzo di Laia Jufresa. Ci sono le eco della tradizione messicana. C’è la sapienza e la saggezza di un popolo. C’è un sistema geniale di sussistenza che consola anima e corpo. Lo scibile insolito di un accademico, che si crogiola nel labirinto del lutto e del rimpianto. La morte, giustappunto, che impera e punisce. Un modulo abitativo sui generis che sembra influenzare gli umori dei suoi abitanti, insolita giostra che compie la sua rotazione intorno ad una torre campanaria, dalle cui propaggini si affacciano le esistenze dei personaggi che affollano il romanzo.
E dietro il comprensorio di Villa Campanario c’è la milpa, leggendario sistema agricolo sulle cui fondamenta si è basata l’alimentazione dei popoli mesoamericani. La milpa appare come un miraggio nella mente di Ana, una bambina che vive ai margini del suo perimetro familiare dopo che la sorellina Luz, di soli 5 anni, è annegata, inghiottita dalle acque apparentemente innocue di un laghetto. La milpa è l’uovo di Colombo, il ritorno alle origini, la scoperta di una panacea che per qualche insondabile motivo è capace di ripristinare lo status quo, come un balsamo miracoloso che guarisce ogni male.
Gli abitanti di Villa Campanario vivono in una bolla di rimpianto perenne. Il loro vivere è un lavorio intestino attraverso il quale ripensare al passato e riscriverlo. Allo scopo di trovare una punizione di pari dimensione dell’errore che l’ha generata. Sono vittime della superficialità, che ha impedito loro di assaporare il presente, di cogliere le sue potenzialità, le sue eco di felicità e di pienezza. Si ripensa al vissuto, a Villa Campanario e si cerca la felicità dentro le mura delle sue case, che portano il nome dei cinque gusti fondamentali. L’idea dell’uomo di guarire grazie agli influssi imperscrutabili di oggetti e riverberi non è nuova a Villa Campanario. Ed è Ana a sponsorizzarla e a renderla concreta attraverso la realizzazione della sua milpa urbana, che è un po’ un ritorno alle origini e un po’ una medicina che promette miracoli. L’indicazione è che nel passato l’uomo sappia ritrovare se stesso. Nella semplicità, nella sussistenza. In quell’angolo di vita che rifugge sofismi e costruzioni mentali. Nella completezza della vita domestica, nella condivisione delle esperienze e dei pensieri. Nell’apertura verso l’altro, nella rinuncia al pregiudizio. Nella resa totale del desiderio, dell’ambizione. Nella fantasia che inventa nomi nuovi per i colori e nell’amarezza di un abbandono, di una lettera mai letta, di una rottura che non trova spiegazione.
In Umami il lettore si trova a dover decidere se sia più importante il dolore o la consolazione. Il ricordo o il presente. Se è lecito accettare il destino o cercare di governarlo. Se è più importante essere o desiderare. Ricordare o dimenticare. Il narrato di Jufresa è un’altalena di sensazioni, governate da una scrittura lucida, essenziale e tenerissima, pregna di compassione e di solidarietà. Una prosa accogliente, che non giudica. Che sa scendere nei recessi più intimi, che non si censura neanche quando mette a nudo debolezze e segreti inconfessabili. Contenente un accenno di sorriso, un tocco di ironia, che la rende unica e colma di empatia verso l’essere umano, che per Jufresa non è mai patetico ma sempre meritevole di perdono.
Le storie di Umami sono a lieto fine, perché in essere sono visibili i riverberi di un destino materno. Sono piccoli scrigni di quotidianità, dove ogni evento è maturo e ogni personaggio consapevole delle sue fragilità, che cerca di governare a suo vantaggio.
I temi del romanzo sono universali: la perdita e la memoria che si cura con il ricordo anziché con la ricerca ossessiva di una risposta. La speranza, la crescita, che si coltivano con piccoli rituali e con atti di resistenza. La visione multipla, mai unidirezionale o assoluta, che consente di ottenere un quadro unitario e solidale di voci e di esperienze. E infine il quinto gusto, l’umami, come metafora della malinconia: il sapore del ricordo di chi non c’è più.
Umami è un romanzo che sfugge alle etichette, proprio come il gusto da cui prende il nome. Umani è il sapore sottile della malinconia, la nota nascosta che dona profondità all’esistenza. Un’opera tenera e lucida capace di raccontare l’assenza con grazia e di far scoprire che anche nella perdita può germogliare qualcosa di vivo. Un romanzo corale, intimo e malinconico, ma anche pieno di tenerezza e di resistenza silenziosa. Un libro che non ha fretta e che ti resta addosso molto più a lungo di quanto credi.
C’è qualcosa di profondamente umano in questo libro, che non si può spiegare ma solo sentire. Proprio come l’umami.
Il romanzo
Nel romanzo d’esordio di Laia Jufresa si incrociano i destini di una ragazzina che sogna di coltivare mais in cortile, un antropologo vedovo, una giovane pittrice che inventa colori, due musicisti, una mamma hippy e un papà contabile.
Nel corso dell’afosa estate di Città del Messico, mentre Ana è intenta ad allestire il suo orticello, scopriamo le storie dei suoi vicini, tra segreti e non detti che solo poco a poco ci permettono di completare il puzzle della narrazione. Chi era davvero mia moglie? Perché mamma se n’è andata? Com’è possibile che una bambina che sapeva nuotare sia affogata? Queste e molte altre sono le domande alle quali i deliziosi personaggi del romanzo tentano di dare risposta tornando, ognuno a modo suo, a interrogare un passato che è ancora più presente che mai.
Con una scrittura delicata e mai banale, Laia Jufresa racconta una storia di innocenza e perdita, ma anche di crescita e ritorno alla vita, che nella stessa pagina riesce a farci ridere, commuovere, e sorridere ancora.
L’autrice
Laia Jufresa (1983) è una scrittrice messicana. I suoi racconti sono stati pubblicati in varie antologie e riviste come Letras Libres, Pen Atlas, Words Without Borders e McSweeney’s. Nel 2015 è stata selezionata tra i migliori venti scrittori messicani sotto i quarant’anni nell’ambito del progetto México20. È autrice della raccolta di racconti El esquinista (2014). Umami (2015) è il suo primo romanzo.
- Casa Editrice: Sur Edizioni
- Traduzione: Giulia Zavagna
- Pagine: 254
- Data uscita: 16 aprile 2025
- Prezzo: E 19
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