LA BABILONESE di Antonella Cilento



Stia in guardia dal passato, Mr Layard, cerca sempre di raggiungerci, non importa quanto andiamo veloce.

Mentre il palazzo si allontana e Ninive svanisce, Libbali immagina le guardie reali che la cercano: manca il cadavere della regina,il medico di corte è stato ucciso, avranno riferito. E a se stessa promette: tornerò. Se il dio Luna Sin fa reincarnare Acherib e Assunrbanipal, io tornerò. Quattro volte o quaranta volte quattro, se serve. Una per ogni occhio e ogni dente di Ninlil, Nintu, Ninmah e Uttu.


24 febbraio 2025

Un viaggio tra storia, arte e destino. La piccola fiamma metafora della salvezza.

I romanzi, spesso, nascono per caso. La Babilonese di Antonella Cilento nasce da una visita ad una mostra allestita nel 2019 al MANN (Gli Assiri all’ombra del Vesuvio) e da un ricordo mai completamente sedimentato nella memoria, quello di un fumetto dell’infanzia, Le lenticchie di Babilonia.

Da questo incontro, più che mai fortuito e improbabile, Cilento ha costruito una storia grandiosa, una sorta di romanzo della memoria che parte da Ninive, la leggendaria e antica capitale dell’Impero Assiro e finisce al giorno d’oggi, a Napoli. Nelle amalgame della storia, che avanza nel tempo con lo scorrere dei capitoli, appaiono personaggi storici come Henry Layard, archeologo inglese vissuto nel XIX secolo, scopritore della città di Ninive, e il pittore Aniello Falcone, vissuto nel XV secolo, coevo di Velasquez, al quale la sua opera viene spesso paragonata.

La vendetta è il filo conduttore che lega questa storia, che mescola fantasia e realismo, un mix che esplode grazie al talento dell’autrice che avevo già conosciuto con Lisario o Il piacere infinito delle donne, finalista al Premio Strega 2014. Entrambi i romanzi intrecciano storia e immaginazione mediante una scrittura raffinata, vivace ed altamente evocativa. Entrambi si divertono a stupire il lettore con un linguaggio colorato, che ricorre spesso al dialetto, proponendo immagini forti, epopee spesso grottesche, personaggi a volte quasi caricaturali immersi in vicende avventurose in cui le passioni sono cavalli bizzarri e indomabili, che tengono in scacco l’uomo governando le sue azioni, sempre un passo avanti rispetto al rigore del raziocinio.

Come nella migliore tradizione, sarà uno scavo archeologico ad agitare il ricordo di un amore segnato dal tradimento e dalla tragedia. I rimbombi di vendetta e di morte sono echi inarrestabili che rimbalzano nelle pareti del tempo e giungono fino a noi. Un’immagine si sussegue nel tempo, quella di una bambina bionda con una lucerna.

I personaggi sulla scena saranno tutti ossessionati da quella visione. E l’interrogativo che è il leitmotiv della storia è quello di un sogno al quale tutti torniamo infinite volte, perché è la storia stessa che si ripete, nel tempo e nello spazio, creando collegamenti e connessioni che sfuggono al raziocinio. Così Layard è avvolto dalla visione di se stesso nelle vesti di Assurbanipal, il re di Ninive che fece decapitare il giovane ebreo dagli occhi azzurri amante della moglie e uccidere la quattro figliolette di lei.

Il tema del viaggio è pregnante, muove i personaggi attraverso i secoli, dove il destino sembra ripetersi in un ciclo di vita, morte e rinascita. E il tema della memoria come necessità di tramandare i fatti del passato e di preservarne gli afflati, rivendicando i destini che vi si sono avviluppati.

La figura della donna segue le fila del tempo, mostrandosi ora detentrice di una qualche forma di potere, ora prigioniera di ruoli che la condannano a essere senza voce né libertà. La fiammella che la bambina bionda porta con sé rischiara in qualche modo la condizione femminile e la storia tutta, apportando la speranza in tempi migliori e acuendo l’esigenza di non dimenticare le nostre origini e il nostro passato. Tutto il narrato sembra segnato da un filo invisibile che collega ogni fatto a epoche e a vite precedenti. Il tema della reincarnazione emerge con forza: ciò che è stato continua ad influenzare il presente. Riflessione, questa, già presente in qualche modo in Lisario o Il piacere infinito delle donne dove la protagonista sfida le leggi del tempo attraverso la scrittura e il corpo. In La babilonese il tema si amplia: la bambina con la lucerna diventa il simbolo dell’eterno ritorno, di una ricerca interiore che trascende le singole vite.

Napoli è l’altra protagonista. Città dai mille volti, capace ogni volta di riemergere dalle ceneri dei suoi errori e delle sue disgrazie, folle di un linguaggio che è spesso inesplicabile, tortuoso e musicalmente irresistibile.

Un romanzo corposo, complesso, avvincente come un’avventura che ci incanta e ci tiene stretti a sé. Un contenitore di cultura, tradizioni popolari e verità storica. Un vero scrigno di sapere che penetra la cortina impenetrabile del mito storico in un crescendo di emozionanti gesta che portano la narrazione ad un livello molto alto di coinvolgimento.

Il romanzo è stato candidato al Premio Strega 2025 da Sandra Petrignani. Della sua motivazione riporto con piacere l’immagine della bimba con la luce, metafora, a suo dire, del potere salvifico della letteratura, per chi scrive e per chi legge.


Il romanzo

Ninive, VI secolo a.C.: la vita di Libbali, sposa del dio-re Assurbanipal, scorre immutabile finché alla ziggurat reale non arriva un giovane prigioniero ebreo dagli occhi color lapislazzulo. Tra Avhiram e Libbali nasce una passione travolgente, destinata a essere scoperta con tragiche conseguenze: nel giorno in cui Avhiram viene giustiziato e le figlie della regina pagano con la vita la colpa della madre, Libbali scampa alla morte grazie a una bambina che porta fra le mani una lucerna e la trascina con sé in una fuga nel tempo senza fine. Londra, 1848: l’archeologo Henry Layard, scopritore delle città assire, è perseguitato dalla visione di una donna accompagnata da una bambina che porta una lucerna. Napoli, 1655: mentre la peste infuria il pittore Aniello Falcone incontra la maga Albalì e la sua sfuggente figlia. Nel 1683, l’erudito Sebastiano Resta rinviene un disegno di Falcone che allude a una madonna o a una maga. Ed è il 1881 quando Filomena Argento, ultima di una dinastia di setaioli, eredita quel disegno e incontra Madame Ballu, negromante, e sua figlia… Infine, nella Napoli di oggi una coppia fronteggia il fallimento di un progetto imprenditoriale: anche il loro destino sarà segnato dall’incontro con una giovane e luminosa ragazzina. “Un trauma costruisce un inceppo della memoria: finché non è superato ce lo racconteremo, in attesa che le parole lo esauriscano”. In questo vertiginoso romanzo di romanzi ciascun personaggio ha un immenso dolore e un amore ardente da attraversare, e dunque da narrare.


L’autrice


Antonella Cilento (Napoli 1970) scrive e insegna scrittura creativa. È stata segnalata al Premio Calvino 1998 con il romanzo inedito Ora d’aria.
Tra le sue pubblicazioni: Il cielo capovolto (Avagliano, 2000), Una lunga notte (Guanda, 2002 – Premio Fiesole e il Premio Viadana, finalista al Premio Greppi e al Premio Vigevano), Non è il Paradiso (Sironi, 2003), Neronapoletano (Guanda, 2004), L’amore, quello vero (Guanda, 2005 – Premio Brancati nel 2007), Napoli sul mare luccica (Laterza, 2007), Nessun sogno finisce (Giannino Stoppani, 2007 – romanzo per ragazzi), Isole senza mare (Guanda, 2009), La paura della lince (Rogiosi, 2012), Lisario o il piacere infinito delle donne (Mondadori, 2014), finalista al Premio Strega 2014 e vincitore del Premio Boccaccio, Morfisa e l’acqua delle donne (Mondadori 2018).


  • Casa Editrice: Bompiani
  • Pagine: 372
  • Prezzo: E 20,00

LEGGILO Q U I

Pubblicato da laurasalvadori

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