LE FAVOLE DEL COMUNISMO di Anita Likmeta


La verità è che se mia madre fosse qui mi racconterebbe una favola. E se nessuno mi racconta una favola, so che un giorno, quando avrò tutte le parole che servono, me la racconterò da sola.


29 luglio 2024

Al di là del mare, ciò che non abbiamo mai voluto sapere.


Al di la del mare, una terra dilaniata dal regime, dalla povertà, dalla guerra. E una bimba, che la madre ha lasciato ai nonni per andare in cerca di fortuna. 

Ari è ferita nel profondo dall’abbandono. La sua piccola vita è una rincorsa, una salita per sopravvivere e accettare le difficoltà e il disagio di vivere tra gli anni 80 e 90 in Albania, dove  non c’è l’acqua, la luce, ogni cosa è scarsa, anche la più elementare come il cibo e le scarpe. 

Quando il muro di Berlino cade in molti partono verso l’Italia ma i nonni di Ari restano, attaccati alla loro terra, convinti che rimanere sia la scelta più giusta. Certi che l’emigrazione possa trasformarli in creature invise e osteggiate.

Ari aspetta il ritorno della sua mamma. Spera che la porti via con sé verso l’Italia, verso l’ineffabile  miraggio dell’abbondanza. Nel frattempo si consola scrivendo delle favole. Sono parodie taglienti sulla realtà che la piccola vive, sulle dinamiche della dittatura, che non sa spiegarsi ma che emergono con tutto il loro stridore dalle storie, dove animali, personaggi strambi, soprusi ed  emarginazione consegnano a chi legge una morale, che è spesso un monito ad adattarsi ad una realtà cattiva ma pur sempre preferibile a violenza e prevaricazione.

Un romanzo ipnotico, crudo, spietato seppure condito di tenerezza, ironia e candore. Ogni stortura, ogni aberrazione risulta smorzata se è la voce di un bambino a raccontarla. Ma è al contempo ancora più inaccettabile e dolorosa. Una voce pura e disincantata, che sa concentrare in poche immagini una realtà che spacca il cuore. Luoghi e stato d’animo che stanno sospesi e agghiaccianti tra la miseria più sordida e l’incertezza spaventosa che segue ogni regime.

Ari calpesterà il suolo italiano e ne farà conquista, perché nel presente è ricca, colta, affascinante. Sotto il suo sguardo la Ari bambina non scompare mai del tutto. Sta lì, tra le ciglia, a dirci che tutto è possibile. Anche se hai al piede la catena più pesante.

Una lettura che illumina e crea senso di colpa. Indispensabile per ripensare e riscrivere la nostra storia recente. Perché degli errori del passato dovremmo fare tesoro.

Anita Likmeta, come già Pajtim Statovci, si fa portavoce di tutti gli esuli della storia presente. Fa luce sulla storia delle terre dilaniate al di là dell’Adriatico, e palesa meravigliosamente bene quell’urgenza che negli anni 90 creò i presupposti per una immigrazione di massa nel nostro paese. Un’urgenza di cui noi non sappiamo niente. Scambiata per bieco opportunismo. Banalizzata e sminuita. 

Una ferita ancora aperta per chi varcò il mare verso il sogno. Incompreso e inviso da coloro ai quali chiedeva aiuto e solidarietà. Una ferita putrescente, che ancora pulsa e fa male.

Possa la letteratura essere balsamo per tutto il sangue. Per tutto il dolore.


Il romanzo

Le favole del Paese delle Aquile raccontano di asini, meli, operazioni volte a salvare una ragazza pazza con la coda di cavallo, e di fogli che una volta piantati possono far germogliare non solo agli e cipolle, ma pure case. Il Paese delle Aquile è il più felice che ci sia. Anche se non c’è l’acqua corrente, anche se ci sono più bunker che mucche, anche se la mamma di Ari l’ha lasciata dai nonni perché è rimasta incinta troppo giovane per poter lavorare, e anche se quando cade il muro di Berlino altro che fine immediata della dittatura: nel Paese delle Aquile ci sono solo disordine e omicidi e uomini con la faccia coperta. Certo, quando cade il muro di Berlino molti partono per l’Italia, diretti alla riva opposta al Paese delle Aquile che è il più felice di tutti. Ma Ari e i nonni no, loro restano. I nonni si sentono troppo vecchi per partire, e allora Ari aspetta che la madre – partita sulla nave che hanno preso tutti gli altri – torni a prenderla.

Ci sono due Ari in questo romanzo: una è la bambina che vive in Albania tra gli anni Ottanta e Novanta, ed è senza scarpe, perché le scarpe non devono essere consumate e dunque si va scalzi; l’altra è una giovane donna che di scarpe ne ha moltissime, così come ha l’acqua corrente, e oggi vive nel centro di Milano, in un appartamento elegante, passando ore sotto la doccia perché gli shampoo biologici non fanno abbastanza schiuma. Le due si somigliano, un po’ perché sono belle e la bellezza è tutta uguale, un po’ perché sono la stessa Ari.

Anita Likmeta, con tenerezza e ironia, con allegria e spietatezza, esordisce nel romanzo e ci racconta un’infanzia dove, certe volte, pisciarsi sotto era l’unico modo per riscaldarsi.


L’autrice

Anita Likmeta  è un’imprenditrice nata a Durazzo, in Albania, durante il regime comunista di Enver Hoxha, naturalizzata italiana. Arrivata in Italia dopo la guerra civile nel 1997 ha conseguito la maturità classica e si è laureata in Lettere e Filosofia. Le favole del comunismo è il suo primo romanzo.


  • Casa Editrice: Marsilio Editore
  • Pagine: 158
  • Prezzo: E 16,00

Pubblicato da laurasalvadori

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