IL MIO GATTO JUGOSLAVIA di Pajtim Statovci


Quando mi chiedono come mi chiamo, a volte dico il mio vero nome, ma spesso rispondo Michael o Jon, Alberto o Henry, così riesco ad evitare la seconda domanda: E da dove vieni?


3 aprile 2024

Identità, luoghi, radici. Il romanzo di formazione del giovane Statovci.

E’ davvero impossibile non lasciarsi travolgere dalle storie di Emine e di Bekim. Storie di crescita, di sogni che si schiantano contro la realtà, di spostamenti fisici e viaggi mentali in cui la morte appare sempre come l’unico capolinea.

Questo è il primo romanzo di Pajtim Statovci. E’ il romanzo in cui si racconta, una presentazione aspra e disincantata, poetica e dilaniante. Una storia che parte dalle radici in Kosovo, dove è nato, e arriva alla fine di un percorso di vita tormentato e sofferto in Finlandia, dove è cresciuto.

I gatti sono il filo conduttore. Insieme alla morte, che aleggia ovunque. Gatti come specchi riflettenti, adorabili e graffianti grilli parlanti, coscienza e monito per i due protagonisti.

Lei, Emine, diciassettenne nella primavera del 1980, schiacciata dalle convenzioni e dall’assenza di prospettive future. Nella provincia più sperduta del Kosovo sogna l’occidente ma sa che il suo destino è tutt’altro, E’ una donna, non può studiare, non ha talenti, non ha voce alcuna. L’unica sua dote è essere una brava casalinga. L’unica speranza è trovare un marito che sia buono con lei.

Lui, Bekim, quarto di cinque figli, è cresciuto in Finlandia, una terra estrema e misconosciuta, lontana anni luce dalla terra dei suoi genitori, il Kosovo. Del Kosovo, delle sue tradizioni, persino della sua lingua non conserva più nulla. Ormai le sue radici sono in quel nord freddo e asettico, che tuttavia lo respinge, lo giudica, lo vuole simile a sé ma gli rende impossibile diventarlo. Un immigrato dai capelli scuri e dal naso aquilino, guardato con sospetto, accusato di approfittare dello stato sociale finlandese, di non stare alle regole, di essere incivile e inutile. Una condizione che accompagna la sua infanzia e che finisce per allontanarlo dai suoi genitori, di cui si vergogna. La loro lingua stentata, il loro aspetto, le loro idee anacronistiche e fuori luogo.

Emine e Bakim sono le facce di una stessa medaglia. Lei incarna la giovinezza immolata nella speranza di un matrimonio felice, che puntualmente la deluderà nel profondo, insieme all’ideale maschile, crollato miseramente sotto i colpi della violenza e della noncuranza. La fuga, la speranza e il fallimento dell’integrazione all’estero. La famiglia disgregata, l’amore finito.

Lui è l’immigrato di seconda generazione, che si integra ma che cova solitudine, disincanto e odio. Guardato con sospetto, nonostante sia un ottimo studente e un cittadino diligente e corretto. Straniero in Finlandia, straniero in Kosovo. Senza radici, senza guida.

Il romanzo è condotto in prima persona. Le voci di Emine e di Bekim si alternano alla guida del racconto. Sono entrambe voci accorate, velate di dolore, alla ricerca di un modello in cui riconoscersi. Un percorso complesso, che si srotola pieno di asperità e di sgomenti mentre i Balcani si disgregano, i cieli solcati dai caccia, le bombe, la distruzione, il cambiamento.

Esce prepotentemente da queste pagine il desiderio di essere visti e riconosciuti dagli altri. Non più invisibili, non più persone da decifrare. Esseri umani che devono amalgamare secoli di tradizioni, di pensieri inculcati con la forza del tempo e del sangue, di schemi mentali e credenze inviolabili con un presente incomprensibile e difficile da sottoscrivere.

Così Bajram, marito di Emine, fautore della fuga verso il nord, ripiegherà sull’idea del ritorno, ormai inviso dai figli e soffocato da un sentimento insopportabile di rifiuto. Il Kosovo non saprà curare le sue ferite. Così Emine sceglierà di invecchiare sola, scendendo a patti con la società finlandese, dalla quale non si staccherà più. E così Bekim, il bambino irrequieto dilaniato dagli incubi, l’adolescente che sogna la letteratura, il giovane omosessuale incompreso dal padre, pedina impazzita, ago di una bussola senza magnete, farà pace con il passato della sua famiglia e lascerà che un uomo penetri la sua cortina di solitudine.

Statovci è una voce vibrante della letteratura contemporanea, che nasce da esperienze forti di vita e che succhia linfa vischiosa e spessa da un presente difficile e da un passato complesso e soverchiante. Una penna che è tuono e sussurro, una forza che incide ragnatele di sangue sulla pelle. La forza dell’esperienza di una vita che è l’esempio perfetto dei nostri tempi difficili. Migrati e migranti. Masse umane che si scontrano ed escono perdenti contro la posta in gioco, che è quella di trovare un luogo che accolga e ripari Una guerra di radici, di lingue, di gesti e abitudini. Odori, sapori, parole, regole. E aspettative impossibili, scontri di civiltà, di tradizioni.

Impossibile restare indifferenti davanti a questa prosa. Al cospetto di un vissuto che vediamo da lontano, spettatori insipidi e distratti che lasciano che la Storia li trapassi senza fallo.

Statovci riesce a scuotere i nostri corpi e a spingerli in zone pericolose, quelle che accuratamente evitiamo per non essere coinvolti e travolti dai macigni di una attualità che ci condanna ogni giorno. La sua prosa riesce a penetrare l’impenetrabile. A indurre quella pausa di riflessione che può elevare il nostro spirito dalla terra melmosa dell’indifferenza. A lasciare libera l’immedesimazione, sconosciuta e invisa capacità.

Una scrittura unica e sottile, come l’ago che affonda nella stoffa e la ricama delicatamente. Ciò che Statovci crea con la sua penna è davvero un capolavoro di introspezione, di sottilissima psicologia e di indagine nell’intimità dei suoi personaggi, attori millimetrici della Storia. Una penna che non rinuncia agli abbagli psichedelici del surreale, che rende ancora più speciale ed incisivo un racconto che è tragico nella sua potente realtà ma anche catalizzatore di magia e dei rimbombi di un’epoca perduta e mai dimenticata.


Il romanzo

Negli anni Ottanta, in un villaggio della Jugoslavia, Emine è una giovane donna che spesso si scontra con le idee del mondo attorno a sé e con un padre severo e superstizioso. Per un capriccio, un uomo che conosce appena le chiede la mano, e lei in quel matrimonio intravede la possibilità di un cambiamento. Quando i Balcani in guerra si sgretolano, la famiglia fugge in Finlandia e la vita nel nuovo paese è dominata dalla paura e dalla vergogna.
Accanto a lei, il figlio Bekim cresce in una terra dove a chi viene da fuori si comanda di accontentarsi di poco e di essere grati. Il ragazzo rischia di diventare un emarginato sociale, è un immigrato ed è gay, in un paese sospettoso verso gli stranieri fino alla violenza. Quando gli chiedono il suo nome, spesso ne inventa uno. A volte finge di essere russo. I duri del posto gli sputano in faccia. È ossessionato dalla pulizia e distaccato non solo dai suoi compagni di scuola ma anche dalla madre, che a sua volta è alla ricerca di una identità e di un futuro diversi. A parte incontri occasionali, l’unico compagno di Bekim è un enorme serpente, un boa che lascia vagare liberamente per l’appartamento. Poi, una notte in un gay bar, il giovane incontra un gatto come nessun altro. Questa creatura parlante, capricciosa, affascinante e manipolatrice lo guiderà in un viaggio sconvolgente nel passato, verso il Kosovo e i suoi demoni, per dare un senso alla storia magica e crudele della sua famiglia.
Il primo romanzo di Pajtim Statovci è una continua sorpresa: un serpente letale, un gatto sprezzante e sexy; incontri online e matrimoni balcanici; il caos surreale del l’identità; le cose che cambiano quando cambia il nostro mondo, quelle che invece non cambiano mai; il catastrofico antagonismo tra padri e figli; l’attonito sentimento dell’amore. Statovci è uno scrittore di singolare originalità e potenza, e in questo suo esordio abbraccia la complessità del nostro mondo creando un’opera letteraria che possiede la forza di un classico del futuro.


L’autore

Pajtim Statovci, nato in Kosovo nel 1990, è cresciuto in Finlandia dove si è trasferito con la famiglia fuggita dalla guerra quando aveva due anni. Il mio gatto Jugoslavia, uscito nel 2014 (Sellerio 2024), ha vinto il Premio Helsingin Sanomat. Le transizioni (Sellerio 2020), il suo secondo romanzo, tradotto in molte lingue, finalista al National Book Award, ha vinto il Toi-sinkoinen Literature Prize nel 2016 e nel 2018 gli è stato assegnato l’Helsinki Writer of the Year Award. Gli invisibili (Sellerio 2021) ha ricevuto il prestigioso Finlandia Prize, che consacra l’autore come il più giovane vincitore di ogni tempo.


  • Casa Editrice: Sellerio
  • Pagine: 289
  • Prezzo: E 17,00

Pubblicato da laurasalvadori

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