25 di Bernardo Zannoni

“Qualcosa succederà», gli aveva detto. Gero rimase incollato al muro per un tempo indefinibile. I minuti diventarono mezzore, poi ore intere, infine fu sera e fu buio. Il suo corpo non rispondeva più: era svuotato di tutto, dai muscoli ai nervi, dal fegato al cervello. Era uno spaventapasseri, impalato fra il divano e la porta, il custode inutile di un posto abbandonato. lo assalirono allora i suoi terribili pensieri, sempre esatti nel presentarsi, e lo fecero con una forza mai vista prima. Un’immensa slavina di solitudine lo scosse da capo a piedi, lo schiacciò come una carica di cavalleria rivolta il terreno e rade al suolo l’erba.

Adesso non aveva che se stesso al mondo: era l’unico ad appartenersi, l’unico a volersi bene, ad amarsi. La Grande Gabbia si definiva attorno a lui, e dentro era buio, ed ogni cosa nascosta, pronta a fargli più male, adesso che era solo. Gero scoprì una terribile paura, un terrore vorace che lo divorò in un istante, senza che potesse opporglisi: sentì di aver esaurito il tempo per sperare, che non ci fosse più rimedio.


05 ottobre 2023

C’è un prima e un dopo, sempre. E se il dopo segue ad un capolavoro della levatura de I miei stupidi intenti può diventare assai complesso da gestire.

Zannoni è piuttosto vicino, anagraficamente, a quei 25 di cui parla nel suo secondo romanzo, appena uscito per Sellerio Editore. Le incertezze, le inquietudini, gli stalli e le sbandate di un’età crudelissima che immagino conseguenti agli umori legati al parto del suo secondo romanzo, un nascituro con un’eredità davvero pesante da gestire.

Un romanzo che credo sia letto con occhi e aspettative diverse in base all’età del lettore. Per me, che praticamente raddoppio quel numero, è stata una lettura angosciante (figli in zona 25….) ma niente che già non conoscessi o non immaginassi. Certo è che Zannoni, impantanato nell’età ingrata in cui si può essere adulti senza esserlo davvero, si dimostra il portavoce perfetto per diffondere quel morbo curioso e allucinante, che spinge verso quel pertugio buio e spaventoso che è la maturità e la consapevolezza. Quell’insetto pruriginoso che è il posto che ci aspetta, il porto di approdo dopo una traversata con il mare in tempesta.

Il romanzo si svolge in un breve lasso di tempo. Gero, un ragazzone che vive passivamente le sue giornate senza attendere né pretendere, senza progetti né ambizioni particolari, quasi vittima di una vita che non ha voluto né vuole vivere, vive tuttavia una serie di eventi disorientanti. Eventi che pretendono di essere vissuti in prima fila, mettendoci volontà e sentimento, ogni sorta di azione e di emozione che Gero ha da tempo messo in soffitta, colmato di ragnatele, accantonato.

Come de resto ogni velleità che riguardi amicizia e amore, impegno, missione, lavoro. In una parola vita, quella cosa che è così faticoso condurre a traguardo. Lunga, il più delle volte. E noiosa. E anche spaventosa, se implica che qualcuno si aspetti qualcosa da te.

Gero vive in una casa spoglia, che gli ha lasciato sua madre. Ma sta spesso dalla zia, un essere umano grottesco che riporta Gero in superficie, ogni volta che tenta di inabissarsi. Per questo invisa, ma al tempo stesso una figura necessaria, l’unica ancora per Gero, legato a lei più per opportunismo che per affetto.

Gero non ha un lavoro. La sua unica esperienza si rivela un vero incubo, sotto ogni punto di vista.

Gero ha un paio di amici e basta, uno dei quali in coma. L’altro che appare e scompare, figura brumosa e inafferrabile. Ogni giorno è uguale al precedente, in perenne attesa che accada qualcosa. Una svolta, un punto di rottura. Un qualcosa che rompa uno stato di inedia totale, che si autoalimenta e che allontana Gero dalla vita vera. Gero, un animaletto viscido e sgusciante, poco presente finanche a se stesso, che subisce ogni singolo accadimento come se non potesse evitare di viverlo.

Chiuso in un guscio che è conforto e prigione insieme. Bisognoso di cambiare ma anche spaventato dal cambiamento. Ago impazzito in una bussola danneggiata, protagonista di una vita fatta di casualità spinta all’eccesso, vittima di eventi che gli scoppiano in mano senza che li abbia realmente voluti. Malato, come tanti suoi coetanei, di una malattia che gli altri vogliono curare a tutti i costi ma che in fondo va bene così.

Qual è il messaggio che sottintende questo romanzo?

Indulgenza verso una generazione danneggiata dalla generazione precedente, che ha sottratto desideri e portato al parossismo le aspettative? Ricerca di una chiave di condivisione, di un canale che renda possibile al resto del mondo sbirciare sui disagi dei giovani adulti del nostro tempo? Speranza che seppure nel lassismo più totale, le cose belle possano accadere comunque?

Non lo so. Fatevi una vostra idea una volta che avrete letto questo romanzo. Che è fatto di fumo di sigarette, di dormite senza sogni, di letti sfatti e di disordine e sporcizia. Di assenze importanti, di dimenticanze, di solitudine, quella che addormenta i sensi e i desideri.

Ed è fatto anche di una prosa ordinata, di una semplicità disarmante e di un’efficacia sorprendente, lontana anni luce da ogni manierismo. Che si legge in un attimo e dopo puff, tutto svanisce, lasciando un senso di vuoto. Un vuoto pieno zeppo di cose non dette, che non si riempie facilmente.

Un’opera che deve far riflettere noi “grandi”. Sulle nostre colpe, sulle nostre assenze e sui nostri alibi. Per tutti i Gero lasciati soli, stuzzicati da speroni sempre più insistenti, come se bastasse picchiare più forte per svegliare, per fa risplendere.

Ma non è così, questo è chiaro.

Stavolta non è l’animale che si umanizza e soffre per questa sua emancipazione consapevole e dolorosa, ma il piccolo uomo che tenta di fare un passo indietro, alla ricerca di un istinto salvifico che lo scuota e gli faccia trovare la via, lontano dalle inquietudini. Stranezze della nostra epoca, non c’è altro da dire.


Il romanzo

Gerolamo è una strana creatura, un ragazzo di venticinque anni che vive in una città di mare, abita da solo, mangia spesso dalla zia. Ha qualche amico e nessun lavoro, esce di sera e di notte, dorme la mattina. Aspetta, ma non si sa bene cosa. Lo agita un desiderio quasi violento di diventare adulto e al tempo stesso porta dentro di sé un Gerolamo precedente, bambino e adolescente, che non lo vuole abbandonare.
Eppure nella sua attesa, nell’immobilità, nell’indecisione sospesa tra dubbi e inesperienza, nella paura costante di perdersi, Gerolamo è travolto dall’intensità e dalla meraviglia di quanto gli accade. Ha un amico che sta molto male, un altro che finalmente si è innamorato, un pappagallo da accudire per qualche giorno, la ragazza del piano di sopra sul punto di partorire. Fuma molte sigarette, beve volentieri, ma soprattutto Gero spera che giunga un momento in cui le cose cambino, in cui per lui e per tutti quelli intorno a lui arrivi il «punto di rottura», un bagliore di chiarezza che squarcia le nubi piene di pioggia, la realtà finalmente tirata a lucido, la vita che si mette a scorrere nella direzione giusta.
Alla sua seconda opera Bernardo Zannoni racconta il mondo degli umani con la fantasia e la profondità emotiva con cui aveva narrato la società degli animali ne I miei stupidi intenti. Scrive un romanzo che ha i tempi scomposti e incoerenti della giovinezza, lo sguardo in cui si fondono dolcezza e crudeltà di chi ha fame di vita, la comicità e l’assurdo delle menti che si avviluppano su se stesse. Dalle sue incursioni appassionate, fiabesche, avventurose, scaturisce un disegno di sorprendente realismo, un ritratto pieno di curiosità e di premura, al tempo stesso divertito e sgomento di fronte a quegli strani esseri che compongono il genere umano.


L’autore

Bernardo Zannoni (1995) è nato e vive a Sarzana. I miei stupidi intenti (Sellerio 2021) è il suo primo romanzo.


  • Casa Editrice: Sellerio Editore
  • Genere: narrativa
  • Pagine: 192
  • Prezzo: E 16,00

Pubblicato da laurasalvadori

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