L’ISOLA E IL TEMPO di Claudia Lanteri



La storia è come la spugna: quando è aggrappata al fondale è tutta nera e sporca, piena di pezzi di cose attaccate, gusci di ammari, pietrisco, catrame; per farla bella e chiara bisogna sciacquarla bene con l’acqua di mare. Solo a ripeterla tante volte, con tutti i passaggi al loro posto, la storia si libera dei dispiaceri che porta.


17 giugno 2024

L’enigma che nasconde ciò che non si vuole vedere.

Un’isola vulcanica quasi sperduta nel canale di Sicilia. Un pugno di abitanti che sul finire degli anni 50 del novecento sembra soccombere dinnanzi al dispotismo dell’isolamento che chiude l’orizzonte, sebbene la vista spazi libera tra l’azzurro del cielo e le asperità nere delle scogliere.

Si vive di pesca, di capre, di capperi e lenticchie che crescono a stento in quell’ambiente salino e esposto ai venti.

Il mare è un dolcissimo tiranno, suadente quanto infido e ambiguo. E così è l’isola, poco più che uno scoglio battuto dal vento, avara di risorse con chi la abita, gelosa, possessiva, tanto da trattenere a sé i suoi abitanti con forza. Il mare è un confine invalicabile.

Onofrio (Nofriu), detto Nonò, è un ragazzetto di tredici anni. Curioso, grande osservatore, destinato a diventare un pescatore di spugne come suo padre. Ma Nonò ama la scienza, alla quale si avvicina grazie a Dalmasso, uno scienziato venuto sull’isola per catalogare e studiare le specie animali e vegetali presenti. L’incontro con Dalmasso è determinante per Nonò. Lo introduce all’utilizzo della logica, dell’esperimento, della deduzione.

Così, quando sull’isola giunge un barchino con a bordo un uomo e sua moglie morta, Nonò indaga a suo modo. Osserva, ascolta, sa come rendersi invisibile.

E scopre cose che cambiano il suo mondo, minano le sue certezze, sgretolano la rete di rapporti e le fondamenta della sua esistenza. La verità è pericolosa ma anche attraente e inevitabile. E impone scelte. Passa come un rullo compressore sull’ingenuità dell’infanzia, sulla buona fede, sulla fiducia. Distrugge tutto, persino la memoria e i ricordi che, come un filo che parte da una nassa e fa un buco come una voragine, scappano da tutte le parti se non si mantengono le cose più vicino possibile a come sono sempre state. 

Gli anni passano e Nofriu non sa dimenticare la vicenda della donna morta e le crepe che da lì sono partite. Ormai la verità è diventata un pungolo. È la prova che si cerca per difendersi dal sospetto. Che quando si trova è tardi. E il silenzio sigilla ogni cosa, tranne la coscienza. 

Nofriu invecchia dentro ai rimbombi di quella storia, che racconta a chiunque incontrerà, in un tempo ormai dilatato e sfuggente che muta l’isola, i suoi abitanti e tutto ciò che lo circonda. Ma non lui, che continuerà a condurre la sua vita fatta di piccole abitudini, riti e gesti ormai cristallizzati in un tempo che non c’è più.

Questa è stata una lettura completamente nelle mie corde. L’autrice, al suo esordio, è riuscita a rappresentare a pieno le atmosfere selvatiche e ammalianti tipiche degli ambienti chiusi e totalizzanti, quelli che abbracciano tutto l’essere di chi li abita, esistenze che diventano un tutt’uno con la natura testarda e sfuggente. Padroneggiando le insidie dei salti temporali e restituendo al lettore le ripercussioni delle dinamiche del tempo sui luoghi e sulle persone.  

La Sicilia insulare, che resta ai confini del mondo, lontana da tutto e da tutti. Le tradizioni che resistono al tempo e che cristallizzano luoghi e uomini indentro nicchie odorose e saline. La natura che impera, che allontana il cambiamento e lo rende nemico della memoria.

E il tempo, che resiste a se stesso. Che lima le asperità e che consegna la memoria al caos, e i ricordi al setaccio della coscienza. 

Un romanzo bellissimo, che si appropria delle parole e dei toni dei grandi romanzi della tradizione. Che ricorda le epopee delle famiglie siciliane del passato, circoscritte nell’abbraccio della sventura e del destino. Scritto in una suggestiva commistione con la lingua sicula e con le voci dell’infanzia, della fanciullezza e della maturità di Nofriu. Che parla di m0rte, di solitudine, di scoperta, di memoria e di giustizia.

Un plauso a Claudia Lanteri. La sua voce giunge forte e chiara e ci consegna un’opera che merita spazio e tempo. Dove il giallo di un mistero si lascia sopraffare dalla storia di un uomo e di un isola, in cui m0rte e vita, verità e finzione si mescolano e declinano nei toni sfumati del mutamento, che avvolge e confonde. Come un acquarello incompiuto.


Il romanzo

Ci sono luoghi che sono mondi. Cosí è l’isola mai nominata, di fronte alla ‘Mpidusa, verso la fine degli anni Cinquanta: pochi abitanti che si conoscono da sempre, tre cime viste dal mare, la vegetazione secca, la terra nera. E la fatica degli uomini e delle donne per la sussistenza: la pesca, le magre coltivazioni di capperi e lenticchie, qualche bestia. A spezzare il ritmo dei giorni è l’arrivo di un barchino con a bordo due persone: un uomo vivo e una donna morta. Un incendio ha distrutto la loro barca a vela, racconta il superstite, e nel naufragio hanno perso la vita anche i coniugi Domoculta e i loro tre bambini. Mentre il maresciallo Bonomo apre un’indagine convinto di poterla archiviare presto, il tredicenne Nonò s’improvvisa detective. Ascolta i discorsi di tutti nascosto negli angoli piú improbabili, fiuta piste, mette insieme i tasselli. Ma ogni cosa è piú complicata di come sembra, e anche questa storia, proprio come l’isola all’alba, appare avvolta di fatemorgane. Per riconoscerne i confini bisogna allontanarsi, fissare l’occhio sul paesaggio, su piccoli dettagli: persino certi luoghi – la caserma, il porticciolo, la pergola di Tina – scandiscono, mutando, il tempo e il senso delle cose. Ecco perché tutta la storia dev’essere narrata, con calma e da principio, a chiunque passi, alla ricerca del filo che continua a scappare dal disegno. Anche quando l’indagine volge al termine, Nonò non smette di correre per l’isola e perlustrarne i fondali, per trovare il punto in cui la barca si è inabissata. E quando finalmente, con l’aiuto del fratello Filippo, riesce a raggiungerla, insieme ai corpi dei Domoculta scopre un altro cadavere: quello del colpevole. Ma chi può credergli, se ormai tutti dicono che ha perso la ragione? Perché, di fatto, proprio nel momento in cui il giallo si sgarbuglia, tutto comincia a ingarbugliarsi nella memoria di Nonò, che a tratti rimuove le parti di racconto piú dolorose. Un narratore ferito, piú che inattendibile. In questo romanzo che vive di una scrittura letteraria molto potente, maestosa e naturale insieme, il tempo si morde la coda, è definito ma anche mobile: un tempo in cui tutto continua ad accadere. E chi racconta, con l’illusione di approdare prima o poi a un finale diverso, rimane agganciato per sempre – con il lettore – all’enigma irrisolto.


L’autrice

Claudia Lanteri vive a Palermo, dove fa la libraia. Ha pubblicato racconti su varie riviste («Snaporaz», «Malgrado le Mosche», «Micorrize »). L’isola e il tempo (Einaudi 2024) è il suo primo romanzo.


  • Casa Editrice: Einaudi Editore
  • Collana: unici
  • Pagine 355
  • Prezzo: E 19,00

Pubblicato da laurasalvadori

Consigli di lettura di una lettrice compulsiva! Parole, frasi, racconti, romanzi, letture e molto altro!

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