HOTEL MADRIDDA di Grazia Verasani



Ci si può omologare a tanta indifferenza, basta imparare a distogliere lo sguardo senza digrignare i denti o sentire che stai andando in mille pezzi, perché in fondo a svanire è solo la vita di qualcun altro che non conoscevi, e il tuo istinto do conservazione è ancora forte: il mondo in cui hai vissuto e che non riconosci più ti ha insegnato che l’impulso di vivere è più tenace di qualsiasi atterramento.


10 giugno 2024

Le ombre di oggi disegnano un domani senza rabbia.

Non ci sono date, né appigli per determinare in quale punto della linea del tempo ci troviamo. E questa è la sfida più incisiva che Grazia Verasani lancia al lettore. Che è pieno di speranza se crede che la storia narrata in Hotel Madridda sia ambientata nel futuro. E che è preda dei peggiori presagi se data la storia nel presente.

Quel che è certo è che Verasani lancia una provocazione così tagliente da far sanguinare. Il suo è un mondo dove non c’è più rabbia, né ribellione. La voce latita, schiacciata da una rassegnazione cosmica. Che coglie anche chi alla rabbia è stato legato, coloro per i quali la rabbia era il motore della lotta. Oggi hanno i capelli bianchi, le ossa fragili, guardano in faccia la morte seppure con spavento. Sono ghettizzati a Balanskaja, un condominio asfittico, privati di ogni piccola comodità, pressati dal timore che altri denuncino ogni atteggiamento che possa assomigliare a un vagito di ribellione. Un tempo loro pensavano, scrivevano, usavano l’arte per disegnare il presente, per dissentire e per dissacrare. Oggi sono ridotti ad un cumulo di paura, avvinti ad un silenzio che li protegge. Per quanto valga la pena proteggere quella brutta copia di vita che vivono, lontana anni luce dalla libertà di espressione che esercitavano con orgoglio e passione. Tacitati e derisi da un regime che distrugge e cancella la memoria. Oppressi dalla censura, dissolti dall’indifferenza.

I giovani invece si ribellano. Hanno trovato il modo per fuggire all’oblio della dittatura morendo. Dandosi la morte lanciandosi nel vuoto dal decimo piano dell’Hotel Madridda, che, come un fatiscente feticcio, incombe sul residence dei vecchi pensatori, costretti ad assistere a quei voli a testa in giù, incontro a marciapiedi sudici sui quali schiantarsi, sottraendosi al regime e consegnandosi alla vita eterna. Un grottesco modo di lottare, di protestare. Quello di offrire le macerie dei loro corpi smembrati al nemico che vuole annientarli. Un monito e la peggiore delle punizioni per chi è costretto ad essere spettatore.

La visione di quei corpi volanti è la cosa più dirompente per Selma, finita a Balanskaja per espiare la colpa di essere stata una giornalista. La sua vita è impenetrabile, oltre che attraversata dalla monotonia, dalla paura, dall’incapacità di ribellarsi. Ed è sola, non può in alcun modo cercare la solidarietà degli altri sventurati condomini.

Eppure basta pochissimo per innescare un ordigno capace di esplodere. Uno sguardo, un gesto gentile. E un ragazzo che si nasconde in casa tua in attesa di fare il suo volo verso il basso.

Selma conosce Tino e Tino si rifugia in Selma. Due mondi impenetrabili, incomprensibili l’uno agli occhi dell’altro. In un attimo le maschere cadono e la vita si affaccia al margine di uno sguardo.

Il romanzo di Grazia Verasani è una parodia illuminata e straziante. Eppure vi ho trovato tanta speranza, quell’impeto insopprimibile che possiede la vita, capace sempre di reinventarsi, di trovare nuovi spunti per sopravvivere. C’è un’immagine forte nel libro, ed è quella di un gatto macilento che tutti i giorni si presenta alla porta di Selma a reclamare due briciole di cibo, rifuggendo ogni carezza ma esprimendo chiaramente quel bisogno primordiale di contatto. Non c’è niente di più eversivo di quel gesto. Quello di accogliere un altro essere umano nel proprio spazio emotivo, offrendogli quel poco che si può. In quel gesto ogni ombra, ogni scia di repressione, svanisce e si dissolve. Fin quando un essere umano potrà toccare un altro essere umano offrendo conforto.

Questo è un romanzo forte, spaventoso, un lampo che squarcia la quiete, laddove la quiete è stasi, rassegnazione, indifferenza. Che ci sveglia e che allontana il sonno, mantenendoci vigili, attenti e ancora umani. Una parodia dell’oggi illuminante, precisa, affilata che Verasani propone con una scrittura evocativa, efficace, che procede senza fretta, senza fronzoli, senza filtri. Un monito a restare chi siamo, a non arrenderci, a non tacere. Il futuro è oggi e l’oggi un ponte per domani.


Il romanzo

Il caseggiato a Balanskaja-Madridda è grigio, e grigia è la vita che si conduce al suo interno. Ci vivono persone che sono state giornalisti, professori, studiosi, irregolari, artisti. Hanno parlato tanto, ormai parlano poco. Davanti alle finestre del caseggiato c’è un albergo, che ha dieci piani e un tempo è stato bello: l’Hotel Madridda. Adesso è chiuso. Nessuno va più in albergo, e quasi più nessuno parla. Nemmeno Selma, la protagonista di questo romanzo, che passa il tempo a scrivere alla sorella Ida e a nutrire un gatto. Parlare non si può. E non si deve. Le parole sono vietate quasi tutte e non si capisce cosa sia un irregolare finché non ti hanno arrestato. L’hotel è transennato perché l’ultima forma di protesta dei ragazzi e delle ragazze che hanno più rabbia che paura consiste nel salire sul tetto dell’albergo e buttarsi di sotto. Così, quando Selma sente un trambusto nelle scale del caseggiato, apre la porta, osserva e torna a chiudersi dentro, senza stupirsi troppo del fatto che in casa sua, dietro la tenda, non ci sia più il gatto, ma un ragazzo: uno di quelli che voleva buttarsi per protesta è sfuggito alla polizia che lo inseguiva e si è nascosto lì.

In questo romanzo veloce e limpido, doloroso e spavaldo, Grazia Verasani racconta che cosa succede in una comunità che è stata abituata a pensare ma che, per paura, si è disabituata a farlo: quando tutto è disperazione e l’unica cosa possibile sembra essere ammazzarsi per tentare di risvegliare le coscienze – e soprattutto per sottrarre carne al regime –, ci sono ancora parole che possono essere dette. Hotel Madridda racconta perché per interpretare il futuro ci vuole il presente e il presente bisogna prenderselo.


L’autrice

Grazia Verasani ha esordito giovanissima con alcuni racconti apparsi su il manifesto. Oltre a Quo vadis, baby?– da cui nel 2005 è stato tratto l’omonimo film di Gabriele Salvatores e nel 2008 una serie tv prodotta da Sky – e agli altri romanzi della serie con protagonista l’investigatrice Giorgia Cantini (l’ultimo, uscito nel 2020, è Come la pioggia sul cellofan), ha pubblicato varie opere tra cui From Medea (Sironi 2004), da cui nel 2012 è stato realizzato il film Maternity Blues di Fabrizio Cattani, Tutto il freddo che ho preso (Feltrinelli 2008), Mare d’inverno (Giunti 2014), Lettera a Dina (Giunti 2016) e La vita com’è (La nave di Teseo 2017). Per Marsilio, nel 2021 è uscito Non ho molto tempo, in cui racconta della propria amicizia con Ezio Bosso. I suoi libri sono tradotti in vari paesi tra cui Francia, Germania, Portogallo, Stati Uniti e Russia.


  • Casa editrice: Marsilio
  • Pagine: 123
  • Prezzo: 15,00

Pubblicato da laurasalvadori

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